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Power of Variation: ambito e limiti

Trust
Ph. Simona Loprete / Trust

In un recente intervento sul suo sito, Saverio Bartoli riferisce di un interessante caso, sollevato avanti la Corte di San Marino sul Trust, di cui di seguito riferisco parafrasando, o talora riportando testualmente, i dati forniti e le parole del suo autore.

Abbiamo dunque due trust, istituiti in Italia, regolati uno dalla legge di Guernsey (2007) e l'altro dalla legge di San Marino (2010). Si tratta di trust familiari in cui sono presenti anche dei minori quali beneficiari.

Fra le clausole che interessano, il Disponente ha il potere ”personale” di nominare e sostituire il guardiano e il trustee, e, col consenso del guardiano, può modificare il contenuto del trust “nell’interesse delle finalità da esso perseguite”, coerentemente a quanto previsto dalle leggi che regolano i due trust “(art.47.1 della legge di Guernsey, per il quale “The terms of a trust may be varied in any manner provided by those terms" e l'art.13.1 di quella di San Marino, per il quale "L’atto istitutivo può prevedere che le disposizioni in esso contenute e la scelta della legge regolatrice siano modificabili nell'interesse dei beneficiari o per promuovere lo scopo del trust")”.

Infine una clausola attribuisce alla Corte per il Trust e i Rapporti Fiduciari la competenza su ogni richiesta mirante alla emanazione di direttive al Trustee.

Essendo venuto a mancare il Guardiano, il trustee, insieme al nuovo guardiano, ritengono di dover modificare l’atto di trust nel senso di riconoscere, a quest’ultimo, i poteri di cui lo stesso era investito quando il ruolo era ricoperto dal disponente, ma rendendo tali poteri “fiduciari” e non più “personali” come in precedenza.

Nonostante il fatto che la modifica non alteri in alcun modo la posizione dei beneficiari, né le finalità ultime del trust, il trustee ritiene di sottoporre la questione alla Corte Sanmarinese per farsi autorizzare alla modifica suddetta. E la Corte ratifica rilevando incidentalmente, e correttamente, che qualificare i poteri del guardiano come fiduciari non faceva che sottrarre la posizione dei beneficiari stessi a una aleatorietà, altrimenti intrinseca alla natura personale di detti poteri.

Un altro caso che illustra bene la latitudine dell’intervento di cui una Corte può disporre è dato dal caso in Re Weston’s Settlement Trusts [1969] 1 Ch 223, [1968] 3 All ER 338, in cui il disponente aveva richiesto a una Corte di essere autorizzato a trasferire la sede del trust a Jersey, dove aveva intenzione di stabilirsi.

La Corte valutando la richiesta in base al CA 1968 Act, non si limitò a considerare solo i benefici di ordine economico dei minori o dei figli non ancora nati, ma anche quelli di ordine sociale ed educativo e, dopo aver rilevato che occorreva tener conto dell’esistenza di valori ancora più importanti del denaro, ritenne che non fosse profittevole, né per i minori né per i figli non ancora nati, che il trasferimento avesse luogo.

Secondo Lord Denning, “nell’esercizio della sua discrezionalità la funzione di una Corte è quella di proteggere coloro che non sono in grado di farlo da sé, e siccome la variazione di sede proposta non si ritiene essere a vantaggio di una specifica classe di beneficiari, per questo la Corte si è rifiutata di approvarla”.

In Holt’s Settlement Trusts [1969]1 Ch 100, Chancery Division, il disponente aveva stabilito di riconoscere 15 mila sterline a favore di sua figlia per la durata della sua vita (tenant fo life) indicando in remainder, dopo la morte della figlia, ciascuno dei di lei figli che avesse raggiunto il 21anno di età.

A seguito di una serie di investimenti, il fondo raggiunse una consistenza pari a 320 mila sterline e, a quel punto, la figlia manifestò il desiderio di apportare alcune variazioni allo strumento originario, nel senso di riconoscere la metà del suo life interest a favore dei suoi figli, modificando al tempo stesso l’atto di trust in modo che i figli non avessero diritto alle rispettive quote prima di aver raggiunto l’età di trenta anni, mentre la metà del reddito derivante da tali quote sarebbe stata riconosciuta a ciascun figlio mano a mano che ciascuno di essi avesse raggiunto il 25° anno, ovvero, se anteriore, una volta trascorsi ventuno anni dalla data dell’approvazione della variazione da parte della Corte.

In questo caso la Corte approvò la variazione.

In Re Pettifort’s Will Trust[1966] Ch 257, Chancery Division, il testatore aveva lasciato in trust a sua figlia Sarah, for life, la sua residua proprietà fondiaria e in remainder a tre beneficiari unitamente a ciascun figlio che fosse nato da Sarah. Pertanto le quote spettanti ai beneficiari in remainder si sarebbero ridotte solo a Sarah fosse nato un figlio. Volendo distribuire quanto di loro spettanza ai beneficiari, si provvide in tal senso, detratto l’ammontare di un’assicurazione per il caso in cui Sarah avesse avuto un figlio.

Avendo all’epoca Sarah 78 anni, ci si chiese se, date le circostanze, l’applicazione della s.1 del Variation Act 1958 fosse appropriata. La risposta della Corte fu nel senso di ritenere che, siccome la condizione (nascita di un figlio) doveva ritenersi impossibile attesa l’età di Sarah, non c’era nessun bisogno di invocare la disposizione del VA 1958 perché non c’era bisogno di operare alcuna variazione.

Questi casi, oltre ai due segnalati da Bartoli, rappresentano una varietà di situazioni che serve a dare un’idea dell’ampiezza dell’ambito di impiego del power of variation, essendo appunto le fattispecie rappresentate obiettivamente assai diverse l’una dall’altra.

Quanto ai primi due casi, possiamo notare come la variazione introdotta sia stata minima e tale da non giustificare neppure il ricorso al giudice. Infatti sia la legge di Guernsey che quella di San Marino contengono una disposizione di default che consente ampiamente la modifica operata dal trustee, né del resto, a ben guardare, saremmo nell’ambito delle direttive da richiedere (Beddoe Order) che, per loro natura non possono riguardare, come in questo caso, l’esercizio di un potere discrezionale da parte del trustee.

Generalmente questo comportamento da parte di un trustee, di ricorrere al giudice anche al di fuori di una reale necessità, viene posto in essere per eccesso di zelo o quando ci si vuol coprire le spalle circa l’esercizio anche di un minimo di discrezionalità.

In Re Weston, la situazione è molto diversa perché il disponente sembrerebbe, attraverso lo spostamento della sede del trust non solo voler conseguire vantaggi di tipo economico, a vantaggio dei beneficiari, ma anche soddisfare una sua scelta di vita, che la Corte non ha ritenuto coerente con gli interessi dei beneficiari (i figli). Quindi siamo di fronte a un esercizio del potere di controllo assai penetrante da parte della Corte anche in presenza di una variazione apparentemente irrilevante (lo spostamento della sede).

In Re Holt, al contrario, la variazione che la figlia beneficiaria intende, e poi riesce, col consenso della Corte, ad apportare, risulta tale da scardinare l’impianto del trust per come ipotizzato dal disponente, ma, nonostante ciò, riesce a ottenere l’autorizzazione alla modifica richiesta. Il caso ha sollevato varie questioni: in primis si è posto il problema della compatibilità della modifica con le norme del Perpetuities Act 1964; poi sembrava che la fattispecie dovesse essere configurata, più propriamente, come una revoca del trust esistente e un successivo resettlement; infine quello della determinazione del dies a quo da cui sarebbe dovuta decorrere la variazione in base al Variation Act, se cioè dalla data della decisione della Corte, ovvero in base ad altri criteri.

D’altra parte la Corte ha valutato, dopo ampio dibattito, che la nuova sistemazione, proposta e approvata con i diversi aggiustamenti apportati nel corso del giudizio di approvazione, poteva essere considerata come mera variazione del trust perché le modifiche introdotte non intaccavano in sostanza, il precedente atto istitutivo.

Infine, nell’esempio da ultimo riportato, il caso di Sarah, la Corte non ha ritenuto, per le ragioni che abbiamo esposto, che la variazione potesse aver luogo.

Il potere di variare è un potere ricorrente all’interno degli atti di trust perché, trattandosi di un atto destinato a durare nel tempo, è abbastanza naturale che possano intervenire variazioni nella situazione di fatto, a regolare la quale il trust è stato istituito, che rendono necessaria o quantomeno opportuna l’introduzione di alcuni correttivi. Le situazioni che in linea astratta possono ipotizzarsi sono così riassumibili:

  • Il trustee è investito del potere di modificare in modo più o meno ampio l’atto istitutivo e può esercitare questo potere o autonomamente ovvero col consenso del guardiano;
  • il trustee non ha il potere di modificare l’atto, ma si rivolge alla Corte per essere autorizzato a farlo, ovvero sollecitando un intervento diretto da parte della Corte, al sopraggiungere di situazioni non previste nell’atto, ovvero quando egli difetti del potere di fare qualcosa che invece ritenga necessario nell’interesse dei beneficiari. Questo caso è diverso, concettualmente, dall’ipotesi in cui il trustee ricorra alla Corte per ottenere direttive, perché ci si muove, come abbiamo accennato, in un diverso ambito;
  • chiunque vi abbia interesse può adire la Corte per sollecitare il suo potere di intervento al fine di supplire a carenze dell’atto, ovvero a inerzia del trustee.

Questa breve digressione mira a far comprendere, sia pure attraverso pochi esempi, come possa spaziare la possibilità di variare un atto di trust, sia pur lasciando da parte, in questa sede, le considerazioni che può suscitare al riguardo il radicale rimedio offerto dall’applicazione della regola in Saunders v Vautier. Per riprendere ora il filo del discorso di Bartoli, questi introduce un ulteriore tema di rilevante interesse. Dopo aver premesso di non sapere se i due casi da lui citati riguardassero trust interni, premessa decisiva al fine di valutare l’applicabilità o meno della Convenzione dell’Aja, Bartoli dice:

In particolare, riesce difficile comprendere come sia possibile modificare il contenuto di un trust (che è pur sempre un negozio giuridico) ad iniziativa del solo trustee e senza l'adesione dei beneficiari”.

Osserva infatti il citato autore, che, da un lato, non appare convincente affermare che questa possibilità sia prevista dall’atto di trust, né, dall’altro, il fatto che le posizioni dei beneficiari non vengono pregiudicate. Infatti, prosegue,

Resta il fatto che il trust è un negozio e che tale negozio ha prodotto effetti anche nella sfera giuridica dei beneficiari, della cui volontà dunque forse non può non tenersi conto allorché s'intenda modificarne il contenuto (quando mai, del resto, è possibile nel nostro diritto modificare il contenuto di un negozio senza il consenso di tutti i soggetti in esso coinvolti?)”.

Ulteriore complicazione- aggiunge ancora il citato autore - potrebbe esser rappresentata dalla presenza, fra i beneficiari, di minori, dei cui diritti potrebbe disporsi solo attraverso l’intervento del giudice italiano.

Le considerazioni dell’amico Bartoli esprimono un autorevole punto di vista col quale però non mi sento di concordare appieno. Incontestata l’applicazione dell’art. 15 della Convenzione ai trust interni, a me sembra, infatti, di poter affermare, schematizzando, che il negozio (trust) produce effetti nella sfera giuridica dei beneficiari al momento in cui questi ricevono delle utilità, o nella forma del reddito o in quella di capitale.

Ora se è evidente che quanto percepito non può essere rimesso in discussione, il diritto alla percezione del capitale o a un reddito, alle scadenze rispettivamente previste, si configura pur sempre come un’aspettativa di diritto che può essere modificata, nel corso del tempo, per ciò che attiene alla sua consistenza, non solo per circostanze sopraggiunte (variazione della reddittività del fondo), ma anche perché così prevede l’atto istitutivo attribuendone il relativo potere al trustee. L’attribuzione di reddito o capitale ai beneficiari viene effettuata senza consideration.

Quindi i beneficiari sono a mio avviso, dei donatari nei cui confronti la donazione non si è perfezionata. Questa si perfezionerà al momento della materiale apprensione del bene (reddito o capitale), ma fino a quel momento è da ritenere liberamente revocabile. Una ulteriore domanda: è compatibile la presenza di una posizione vested a favore di un beneficiario laddove il trustee sia titolare di un power of variation? La risposta deve essere data caso per caso esaminando la latitudine del potere di variazione. Se questa riguarda solo certe parti dell’atto, quali la legge regolatrice, la sede, le regole sull’amministrazione, direi che non ci sono problemi.

Se al contrario il potere può essere diretto a incidere, modificandolo sul contenuto del gift riconosciuto ai beneficiari, ovvero addirittura sulla esclusione degli stessi, allora non possiamo trovarci di fronte a una posizione quesita, ma potremo parlare più propriamente di una posizione contingent o dire che i beneficiari sono titolari di un defeasible interest, a seconda dei casi.