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Prime osservazioni sul disegno di legge sul negozio di affidamento fiduciario

Parte I
Chioggia, 11 maggio 2019
Ph. Marta Stranges / Chioggia, 11 maggio 2019

Con un comunicato indirizzato ai soci, l’associazione “Il Trust in Italia” ha reso noto di aver collaborato alla redazione di un disegno di legge di iniziativa della senatrice Riccardi

- "Disposizioni sul negozio di affidamento fiduciario" –“il cui obiettivo è quello di far venire in essere rapporti giuridici comparabili con quelli derivanti dall’istituzione di trust, tuttavia avvalendosi di strumenti offerti dal diritto civile”.

L’iniziativa rappresenta l’ultimo di una serie di tentativi che nel tempo si sono succeduti, finora con poca fortuna, al fine di dotare l’Italia di uno strumento analogo al trust di diritto anglosassone, strumento che ora difetta, e che obbliga chi voglia istituire un trust, a scegliere, come legge regolatrice, quella di un paese che disponga di una legislazione in tal senso.

Nell’introduzione al disegno di legge, dopo aver rilevato l’affermarsi prepotente del trust anche in paesi di tradizione civilistica, si fa notare come i tentativi che in altri paesi sono stati posti in essere per creare legislativamente uno strumento “nazionale”, che trasferisse la struttura del trust al loro interno, hanno dato vita per lo più a “leggi non real­mente competitive rispetto all’originale e tal­volta di problematica applicazione”.

Dopo aver rilevato, inoltre, come secondo gli studi condotti dal Prof. Lupoi “l’insieme dei dati teorici caratterizzanti il trust ebbe origine nella dottrina giuridica canonico-civilistica rinascimentale e quindi sul terreno della tradizione del diritto romano”, la dottrina del negozio di affidamento fiduciario ha elaborato principi e regole che si collocano nel disegno di legge e che, invece di provare a tradurre il trust nel diritto interno, come finora è stato fatto laddove gli Stati si sono cimentati nel perseguimento di questo obiettivo, “addita una via interamente appartenente alla civil law”.

Ci troviamo di fronte dunque a uno strumento, il negozio di affidamento fiduciario, che si inserisce sicuramente nell’ambito previsionale dell’articolo 2 della Convenzione. Come vedremo infatti, nel contratto di affidamento, dei beni sono, coerentemente alla previsione della norma citata, “posti sotto il controllo di un trustee nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato;

… costituiscono una massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;

b. … sono intestati al trustee o ad un altro soggetto per conto del trustee;

c. Il trustee è investito del potere e onerato dell’obbligo, di cui deve rendere conto, di amministrare, gestire o disporre dei beni in conformità alle disposizioni del trust e secondo le norme imposte dalla legge al trustee.

Il fatto che il disponente conservi alcuni diritti e facoltà o che il trustee abbia alcuni diritti in qualità di beneficiario non è necessariamente incompatibile con l’esistenza di un trust.

D’altra parte, questo negozio è un qualcosa di sostanzialmente diverso da un trust: questo sorge in virtù di un atto unilaterale, quello è un contratto. Vedremo fra poco quali siano altre distinzioni fra i due istituti, con l’avviso che non intendiamo prospettare le cose nell’ottica di una competizione fra questi istituti, ma solo in quella di, una sia pur succinta, analisi comparata. Del resto è agevole rilevare che si tratta di due strumenti fra loro diversi, ma tali da poter coesistere sicuramente e quindi con pieno diritto di cittadinanza, per entrambi, all’interno dell’ordinamento. A seconda delle esigenze da soddisfare ciascuno sarà quindi libero di scegliere l’uno piuttosto che l’altro per la maggior tutela dei propri interessi.

Si esamineranno ora quelle che ci sono sembrate le caratteristiche salienti di questo negozio illustrando le differenze rispetto al trust con l’avvertenza che a tal fine prenderemo in esame il trust di Jersey come quello che appare sicuramente il modello di più ampia diffusione nei trust interni. Esamineremo dunque i primi sei articoli (Capo 1 – Disposizioni generali) rimandando a un secondo momento la lettura delle altre disposizioni.

 

Articolo 1 - Il negozio di affidamento fiduciario

Il primo comma contiene importanti riferimenti al programma che affidante e affidatario fiduciario convengono e che quest’ultimo si obbliga ad attuare impiegando uno o più beni a favore di uno o più beneficiari entro, al massimo, novanta anni.

Le finalità dell’affidamento fiduciario consistono nella realizzazione di vantaggi suscettibili di valutazione economica in fa­vore dei beneficiari.

Vige il principio di prova scritta a pena di nullità per la stipula del contratto, le modifiche, e l’accettazione. Affermazione che è coerente sia con quanto previsto dalla Convenzione all’articolo 2, sia con il fatto di trovarsi di fronte a un contratto. Anche il trust “amorfo” quello cioè che emerge dalla Convenzione, non si sottrae al rispetto del principio della prova scritta con la differenza che sembrerebbe a tutta prima più ampio il margine di discrezionalità che può essere fiduciariamente attribuito al trustee per il semplice fatto che le pattuizioni contrattuali devono essere necessariamente più definite.

Quanto alla durata, com’è noto le leggi che disciplinano i trust oscillano fino ad arrivare a ipotizzare un trust di durata illimitata, come del resto la legge di Jersey (s.15)prevede. Tuttavia, anche se alcune leggi consentono un termine di durata più ampio dei novanta anni, i trust interni rispettano, in linea di massima questo periodo, che è poi quello previsto dall’articolo 2645 ter codice civile sulla durata dell’atto di destinazione per non correre il rischio di incappare nella violazione di un principio di ordine pubblico.

Si afferma, nelle premesse introduttive, che la presenza di un programma da realizzare costituisce l’elemento tipizzante di questo contratto, non richiesto dalle leggi straniere sul trust.

Questo è vero, se vogliamo, da un punto di vista formale, ma, in pratica, non  mi sembra di cogliere una grande differenza rispetto al trust.

Infatti, a parte che, di norma, si afferma comunemente, come del resto è vero, che l’atto istitutivo contiene il programma che il trustee dovrà attuare, non risulta chiaro come si  configuri questo programma nel negozio, ma, il fatto che si evidenzi la sua necessaria presenza a differenza di quanto accade con il trust, induce a pensare che esso debba essere sufficientemente dettagliato e tendenzialmente rigido con conseguente riduzione e contenimento dei margini di discrezionalità di cui, all’interno di un rapporto di fiducia, il trustee gode e che rappresenta un aspetto che consente invece al trust – anche con tutti i rischi del caso – una latitudine operativa  potenzialmente molto ampia.

Che poi nei trust interni la discrezionalità del trustee risulti generalmente assai compressa, questo è un altro discorso. Il contratto di affidamento sembrerebbe avvicinarsi pertanto a una sorta di trust fisso, cosa che potrebbe anche rappresentare un vantaggio sol che si consideri quante volte si deve verificare che troppa fiducia risulta sovente essere mal riposta. D’altro canto, laddove ci trovassimo di fronte a un programma troppo generico, questo potrebbe mettere in discussione l’esistenza stessa del contratto per indeterminatezza dell’oggetto. In ogni caso, nessun giudizio di merito fra le due soluzioni prospettate: saranno gli interessati a scegliere quella che essi ritengano più confacente al soddisfacimento dei loro interessi.

Continuando nella configurazione del negozio, emerge un aspetto che per la verità non mi è chiaro se rappresenti una sostanziale diversità, almeno rispetto al trust di Jersey (non quello inglese), perché sembra che il contratto di affidamento possa essere posto in essere solo a vantaggio di beneficiari persone fisiche, e non quindi anche per uno scopo. A parte che la distinzione potrebbe essere aggirata – perché basterebbe, solo per fare un esempio, configurare un trust liquidatorio anziché come trust di scopo (quello di realizzare la liquidazione di un patrimonio) come un trust i cui beneficiari sono i creditori per risolvere il problema – a me non è chiaro quale sia la risposta corretta.

Infatti, trattando dei beneficiari, la norma (articolo 5) precisa che  possono essere tali “ i discendenti di una determinata persona vivente al tempo della conclusione del negozio, benché non ancora concepiti” e qui è abbastanza evidente, al di là delle conclusioni cui un’interpretazione strettamente letterale potrebbe portare, che l’ambito di riferimento è strettamente familiare; poi il comma 3 della norma in esame precisa, che “È valida la disposizione del negozio che rimette all’affidante o all’affidatario fi­duciario o a un terzo: a) l’indicazione dei beneficiari tra più persone determinate o appartenenti a deter­minate famiglie o categorie di persone o tra più enti; b) la determinazione dei diritti dei be­neficiari o di alcuni fra essi” con una formula che potrebbe astrattamente ben ricomprendere, per rimanere nell’esempio in precedenza utilizzato, i creditori di una procedura fallimentare, e categorie di essi.

Nonostante questo, a me non sembra però questa la finalità per cui il negozio di affidamento è stato pensato senza contare che risulterebbe piuttosto complicato strutturare in questo caso un contratto di affidamento fiduciario, che verrebbe ad assumere la natura di un contratto a favore di terzo.

L’articolato poi prosegue distinguendo un negozio posto in essere fra vivi ovvero contenuto in un testamento. In questo caso l’affidatario, a meno che non l’abbia fatto prima,  può solo accettare, ma non “convenire” con l’affidante essendo questi già venuto a mancare al momento dell’accettazione cosa che fa sorgere qualche dubbio circa il fatto che si possa continuare a parlare di contratto atteso che, di norma, il venir meno di una delle parti all’interno di un rapporto contrattuale fa venir meno il contratto stesso.

D’altro canto non si potrebbe ipotizzare un mandato post mortem – che però non dovrebbe rivestire carattere patrimoniale per non incorrere nel divieto dei patti successori – ma neppure un mandato mortis causa attribuendo al mandatario l’incarico di compiere, dopo la morte del mandante, atti che importino l’attribuzione di diritti patrimoniali successori, dato che anche questo risulterebbe nullo laddove violasse il suddetto divieto. Anche il trust può essere istituito con testamento e al riguardo si possono ipotizzare varie alternative, la più classica delle quali è quella in cui il disponente istituisce un trust con il testamento, indicando chi debba rivestire il ruolo di trustee, quali beni siano conferiti in trust, chi siano i beneficiari ecc.

Un’altra modalità prevede che il trust sia istituito dal disponente in vita, ma sia destinato ad attivarsi dopo la sua morte (trust dormiente) con quei beni che il de cuius attribuirà al trustee. Altre ipotesi che ci limitiamo solo ad accennare si riferiscono al trust segreto, a quello semisegreto e alla probate doctrine of incorporation by reference.

Anche il riferimento alla mancata applicazione del 3° comma dell’articolo 703 codice civile può far sorgere qualche problema. [La norma richiamata, “Funzioni dell’esecutore testamentario”, prevede infatti, al terzo comma quanto segue: Il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l’autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata che non potrà mai superare un altro anno].

Infatti ben può darsi che il negozio di affidamento contenuto in un testamento non esaurisca la totalità del patrimonio relitto per il quale l’esecutore dovrebbe procedere all’attuazione delle ultime volontà del defunto. Allora, se le due figure coincidono, non vi sarebbe ragione di ipotizzare una deroga alla durata dell’ufficio dell’esecutore per quella parte del patrimonio del de cuius non rientrante nel patrimonio affidato.

Nulla da rilevare, in particolare circa la figura del garante  che sembra avere il suo omologo nel guardiano o protector nel trust anche se questa figura è appena accennata e il testo normativo non si diffonde troppo a disciplinarne i contorni, il funzionamento, diritti, doveri e poteri, salvo quanto previsto al successivo articolo 7 secondo cui il “negozio determina in quali circostanze il preventivo consenso dell’affidante, del garante del contratto o di un terzo è richiesto per il valido compimento di un atto dell’affidatario fiduciario” e all’articolo 17, che prevede che tale ruolo possa essere svolto o da una persona fisica ovvero in forma professionale da una persona giuridica  che abbia come scopo sociale prevalente la tutela dei soggetti deboli di cui all’articolo 15, comma 3.

E qui vien da chiedersi il perché di questa limitazione per quanto attiene alla possibilità che il ruolo non possa essere svolto da una persona giuridica che abbia un diverso scopo sociale o il cui statuto non contenga quella esplicita previsione atteso che il negozio di affidamento, per come configurato, non prevede limitazioni per quanto attiene ai beneficiari.

Peraltro, a differenza di quanto accade nel trust, il guardiano, oltre a essere investito del potere autorizzativo, può essere anche solo “sentito”, e quindi esser titolare di un poter di controllo meno incisivo, quando si vuole che il trustee mantenga una sua piena autonomia, ma che al tempo stesso il guardiano sia informato delle sue scelte.

 

Articolo 3 - Patrimonio affidato

La disciplina del patrimonio affidato ricalca in sostanza quanto previsto dalla Convenzione in materia nel senso per cui il patrimonio in oggetto comprende anche gli incrementi, le trasmutazioni, i frutti e gli accrescimenti.

 

Articolo 4 - Affidante

Si dice che l’affidante possa assumere temporaneamente la qualità di affidatario fiduciario a condizione, fra l’altro, che il programma non vada, anche solo parzialmente, a suo vantaggio.

Questa si palesa come un’ulteriore configurazione del negozio di affidamento: contratto, atto unilaterale, contratto con sé stesso, in cui il fatto che il contratto non vada, anche solo parzialmente, a vantaggio dell’affidante, non sembra escludere, astrattamente, tutte le possibilità di conflitto di interessi con le conseguenze che ne potrebbero derivare.

La norma in esame si differenzia ancora rispetto ai principi in tema di trust quando, sia pure non in modo automatico, ma in forza di patto contrario, prevede che diritti e poteri dell’affidante possano essere trasferiti ai suoi eredi.

 

Articolo 5 – Beneficiari

Fra i beneficiari possono essere indicati: a) l’affidante, purché non rivesta la qualità di affidatario fiduciario; b) l’affidatario fiduciario.

Che l’affidatario fiduciario possa essere beneficiario lo possiamo comprendere. Che fra  i beneficiari possa annoverarsi l’affidante, sembra avvicinare molto questo istituto al trust nudo (bare trust). La legge di Jersey sul trust consente che il disponente mantenga certi poteri e possa anche godere di certi benefici dall’istituzione del trust. La formulazione della norma in esame sembra che non ponga limiti da questo punto di vista il che potrebbe risultare interessante salvo il rischio che possa servire per sottrarsi alla responsabilità patrimoniale nei confronti dei propri creditori senza che questo possa assumere una valenza patologica.

 

Articolo 6 – Mancanza di beneficiari

Questa norma traduce in modo plastico il concetto di resulting trust e della sua rappresentazione figurata della palla legata a un elastico che una volta lanciata torna inevitabilmente indietro. Infatti, se mancano i beneficiari, i beni ritornano nella piena disponibilità del disponente (affidante in questo caso). Si osserva per inciso che questa previsione che, in quanto prevista da una norma di diritto interno non pone problemi, è invece di dubbia applicazione ai trust, pur essendo quella del resulting trust un effetto tipico delle leggi in materia, perché, la Convenzione (articolo 3) riconosce solo i trust “provati per iscritto” con la conseguenza per cui i trust che non essendo espressamente istituiti, e di cui non può darsi evidenza scritta, quali i resulting, i constructive, gli implied trust, esulerebbero dall’ambito previsionale della Convenzione dell’Aja. L’esclusione non sembrerebbe operare invece per gli statutory trust che traggono la loro fonte da una legge e quindi rispettano il principio della scrittura.

Se poi, al momento in cui l’impossibilità si è verificata, mancassero anche l’affidante e i suoi eredi, e l’affidante non avesse diversamente disposto, secondo quanto la norma consente, i beni saranno distribuiti in base alle norme sulla successione.