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Prime osservazioni sul disegno di legge sul negozio di affidamento fiduciario

Terza parte
Portovenere, agosto 2019
Ph. Francesca Russo / Portovenere, agosto 2019

I primi quattordici articoli del disegno di legge definiscono la disciplina positiva del contratto di affidamento fiduciario. A questi tengono dietro una serie di ulteriori disposizioni per complessivi ventinove articoli suddivise in ben sette capi: Capo III- Disposizioni particolari; Capo IV - Tutela dei diritti; Capo V- Modificazioni al Codice Civile; Capo VI- Disposizione penale; Capo VII- Disposizioni tributarie.

È questo certamente un grosso pregio del disegno di legge che predispone una disciplina completa, sotto tutti i profili, civile, penale e tributario del contratto di affidamento che viene inquadrato sistematicamente da ogni punto di vista senza che lasciare spazio a incertezze o a fraintendimenti interpretativi per quanto riguarda almeno il suo porsi all’interno dell’ordinamento. E quanto sia importante poter disporre di una normativa organica ce lo dimostrano il tempo speso e le continue oscillazioni che, se pensiamo al trust, si sono succedute sotto il profilo dell’imposizione tributaria, della riconoscibilità del trust autodichiarato o sulla corretta operatività di termini quali nullità, inesistenza, sham ecc. Sicuramente il disegno di legge offre quindi un ottimo compendio di volontà politica e tecnica redazionale.

Le disposizioni particolari dunque (articoli 15-17) trattano della tutela dei legittimari (Articolo 15) riconoscendo quella passiva dell’affidatario, oltre che dei beneficiari, riguardo all’esercizio dell’azione di riduzione. Disposizione che appare indispensabile nel caso in cui la successione si apra mentre l’affidatario non ha potuto ancora dare seguito al mandato ricevuto.

La norma inoltre disciplina puntualmente la posizione del soggetto debole (di cui la norma fornisce la definizione), ammesso ad agire in riduzione solo se i beni del patrimonio affidato sono “manifestamente insufficienti “ per il soddisfacimento dei suoi bisogni, mentre i legittimari possono esercitare la stessa azione nei confronti  del soggetto debole in vita per quella parte del patrimonio affidato che sia, sempre rispetto ai suoi bisogni, “manifestamente eccessiva”, ma solo  se la relativa quota di legittima sia stata ridotta della metà.

Al di là dell’intento di non lasciare margini di incertezza, dobbiamo notare come espressioni quali “manifestamente eccessiva “e manifestamente insufficienti” introducano categorie di non agevole determinazione. Intanto perché parlando di bisogni sorge il dubbio ci si sia voluti riferire solo al soddisfacimento dei bisogni primari ovvero  di quelle che possono essere esigenze legate al corrente tenore di vita di un determinato soggetto.

Inoltre l’avverbio “manifestamente” induce a ritenere che l’esercizio dell’azione sia subordinato alla presenza di una sperequazione particolarmente significativa, ravvisabile ictu oculi, ma quale sia il discrimine che ci faccia individuare quando una situazione si appalesi manifestamente eccessiva o insufficiente questo non è per nulla agevole determinare e si rischia così di lasciare le cose in uno stato di eccessiva incertezza.

Mancato il soggetto debole, ovvero laddove questi non sia più qualificabile come tale, l’azione può dirigersi avuto riguardo al solo al patrimonio affidato allora esistente.

Della tutela dei creditori tratta l’articolo successivo (articolo 16) che provvede a individuare il destinatario dell’azione di riduzione e sgombra il campo da equivoci in ordine a chi debba essere considerato legittimato passivo (equivoci che si sono prodotti riguardo ai trust laddove si disputa se legittimato passivo debba ritenersi solo il trustee oppure anche i beneficiari) con una disposizione che ricorda quanto previsto in tema di esecutore testamentario. L’articolo 17, infine, tratta dell’esercizio professionale dell’attività di affidatario e di garante introducendo la previsione di criteri che rappresentano una tutela, almeno sotto il profilo formale, rispetto al compimento di abusi da parte di chi svolga questo delicato ruolo.

Quanto al garante, questo ruolo può essere svolto tanto da una persona fisica (per la quale non sono richiesti particolari requisiti) quanto da una persona giuridica, ma solo “che abbia come scopo sociale prevalente la tu­tela dei soggetti deboli di cui all’articolo 15, comma 3”.

A questo proposito sfuggono le ragioni per cui si sia voluto introdurre un criterio così restrittivo nella scelta di un garante diverso dalla persona fisica, escludendo quindi a priori, per esempio, società fiduciarie che non abbiano come scopo sociale prevalente quello appena indicato. Infatti, se è indubbio che una persona giuridica che presenti le caratteristiche sopra indicate offre maggiori garanzie di professionalità circa lo svolgimento dei compiti che possono esserle richiesti nel rapporto con un soggetto debole, è anche vero che per le persone fisiche non sono richieste particolari esperienze o professionalità, e che non sempre il contratto di affidamento presuppone la presenza di un soggetto debole, così che l’esclusione di società fiduciarie o trust companies da questo ruolo potrebbe apparire troppo penalizzante.

L’ultimo comma della disposizione in esame estende alle persone giuridiche, che operano in qualità di affidatario fiduciario e di garante in forma professionale, le diposizioni del decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e delle associazioni.

Il Capo IV (artt.18-21) tratta della tutela dei diritti e le disposizioni lì presenti prendono in considerazione vari aspetti: dal termine (decennale) di prescrizione per l’azione di ciascun beneficiario contro l’affidatario, al riconoscimento della piena ammissione della prova testimoniale anche in ordine alle dichiarazioni o agli accordi verbali successivi alla conclusione del contratto.

L’ammissione della prova per testimoni in materia si disallinea rispetto alla disciplina codicistica in merito, che mostra di diffidare dei testimoni, privilegia il dato formale (la scrittura) e vieta la prova testimoniale laddove il valore dell’oggetto ecceda € 2,58 (articolo 2721 codice civile), ma in piena sintonia con il principio della confidentia. Si tratta di una significativa innovazione che dev’essere riguardata con favore e che è pienamente in linea col principio della tutela dell’affidamento e con quella che potremmo chiamare una privatizzazione della materia e che si attua anche demandando a una figura privata, il guardiano, cui viene riconosciuta una serie di poteri, la soluzione di quelle crisi che possono insorgere all’interno di un rapporto di durata e che, in altri contesti, e in altri tempi, sarebbero stati devoluti a un giudice.

L’articolo 20 individua i beneficiari titolari di diritti sul patrimonio affidato anche sotto condizione come litisconsorti necessari, mentre l’articolo 21 nel definire puntualmente la competenza dell’autorità giudiziaria, attribuisce alla stessa poteri particolarmente incisivi che si estendono al potere di sostituire, nell’inerzia dei titolari, l’affidatario fiduciario, di esonerarlo nominandone un altro, con la possibilità di compiere atti con effetti reali sul patrimonio affidato.

Il giudice può inoltre intervenire sul programma, integrando, modificando o eliminando singole disposizioni ove questo sia utile per la miglior realizzazione del programma. Infine può convalidare atti annullabili e impartire direttive a un affidatario su richiesta dello stesso o addirittura di qualsiasi interessato.

Questi poteri richiamano il Beddoe order, vale a dire quel provvedimento, emesso da un giudice, attraverso il quale vengono fornite, su richiesta del trustee, istruzioni circa il comportamento da tenere da parte di quest’ultimo purché non si tratti di attività che rientrano nella discrezionalità del trustee e che, basandosi sul rapporto fiduciario esistente fra questi e il disponente, non possono essere rimesse alla valutazione di un terzo, sia pure di un giudice.

Questo tipo di intervento è piuttosto raro in Italia.

Un provvedimento di questo tipo è stato emesso per esempio (T. Firenze) in occasione di una controversia fra beneficiari in cui era stata contestata da uno di questi la posizione non neutrale assunta dal trustee in una controversia in cui era stato citato in giudizio non solo in quanto tale, ma per rispondere anche di supposti danni arrecati dalla sua condotta. Di qui la richiesta al Collegio per ricevere indicazioni in ordine al comportamento da osservare in sede processuale. Pur esprimendosi in modo un po’ anodino, il Collegio avallò di fatto il comportamento del trustee .

Un potere così incisivo, si ispira, più in generale, a quanto previsto in ordine ai poteri di intervento che la legge di Jersey riconosce alla Corte (s. 43-47) e che hanno una latitudine assai ampia consentendo anche il potere di esonerare un trustee dalla sua responsabilità e di intervenire nell’atto istitutivo modificandolo a seconda degli interessi di taluni beneficiari.

Anche questa previsione deve essere riguardata con favore perché elimina le incertezze che nei trust interni emergono quando si debba richiedere l’intervento di un giudice in ipotesi riconducibili concettualmente alla volontaria giurisdizione, ma per situazioni che esulano dalla tassativa casistica all’interno della quale l’ordinamento interno ammette questo tipo di ricorso all’autorità giudiziaria.

Il Capo V indica le modificazioni al codice civile che si rendono necessarie al fine del recepimento di questo nuovo istituto e del suo coordinamento con la normativa esistente. In particolare l’articolo 2643 codice civile viene integrato con la previsione che debbano essere resi pubblici col mezzo della trascrizione “gli atti che trasferiscono o vincolano diritti reali immobiliari per l’esecuzione di un contratto di affidamento fiduciario”. L’integrazione all’articolo 2659 codice civile precisa i dati che debbono essere inseriti nella nota di trascrizione, mentre si prevede che fra gli atti soggetti a trascrizione debbano essere ricompresi anche “gli atti che trasferiscono o vincolano diritti reali in esecuzione di un contratto di affidamento fiduciario”.

A ulteriore riprova della completezza del disegno di legge in commento, questo prevede anche una disposizione penale specifica riguardante la nuova figura dell’appropriazione dei beni affidati e che stabilisce la pena edittale della reclusione da tre a sei anni – salvo che il fatto non costituisca più grave reato – per l’affidatario fiduciario (si tratta quindi di un reato tipico) che violando  le disposizioni previste per legge o dal negozio “impiega i beni del patrimonio affidato a proprio o altrui profitto”.

Nonostante che la Cassazione abbia riconosciuto (Cass. 3 dicembre 2014, n.50672) la responsabilità penale di un trustee per il delitto di appropriazione indebita, sussiste una incompatibilità ontologica nel ritenere il trustee, come pure l’affidatario fiduciario, responsabili per questo reato proprio perché il patrimonio, da un lato diviene proprietà del trustee, e dall’altro “appartiene temporaneamente all’affi­datario fiduciario”, venendo così meno, in entrambi i casi, un presupposto logico del reato, quello cioè dell’appropriazione “di denaro o cosa mobile altrui”.

In entrambi i casi si tratta, infatti, di una proprietà finalizzata e l’affidatario versa in una posizione analoga a quella del trustee che ha il titulus, ma non il commodum. A evitare incertezze, il disegno di legge introduce, opportunamente, questa specifica figura di reato.

A ben vedere, la disposizione in esame appare più rigorosa di quella dettata a proposito dell’appropriazione indebita che subordina, fra l’altro, il ricorrere del reato “all’ingiusto profitto” che l’agente debba essersi procurato. In questo caso invece è sufficiente che l’affidatario “impieghi” i beni affidatigli “a proprio o altrui profitto”.

Anche la pena edittale è più severa (reclusione da tre a sei anni, rispetto ai due/cinque previsti dal 646 c.p.), il che si spiega col fatto che in questo caso ricorre sempre la circostanza aggravante consistente nell’aver commesso il fatto su cose detenute a titolo di deposito necessario. La querela inoltre non è prevista come condizione di procedibilità del reato per cui si procede d’ufficio, come accadeva nel caso di appropriazione su cose detenute a titolo di deposito necessario, prima novella introdotta dall’articolo 10 del decreto legislativo 10 maggio 2018, n. 36.

Di rilevante interesse le disposizioni contenute nel Capo VII, dedicato alla disciplina tributaria attraverso le quali si realizza finalmente il lodevole obiettivo di eliminare alla radice tutti quei contorcimenti dottrinari, spese inutili e spreco di tempo che abbiamo visto purtroppo affliggere la tematica relativa all’apporto di beni in trust.

Il principio è quello per cui tutti gli atti di natura traslativa o dichiarativa, fino al trasferimento definitivo ai beneficiari finali, scontano un’imposta in misura fissa pari a 200 euro. Lo stesso principio (imposizione in misura fissa) si applica per le imposte ipotecarie e catastali (articolo 25).

Infine, per quanto attiene alle imposte sui redditi, si prevede che i patrimoni affidati siano soggetti all’imposta sul reddito delle società e che la tassazione avvenga per trasparenza nel caso di beneficiari individuati. A integrazione dell’articolo 86 del decreto legislativo 22 dicembre 1986, n. 917, si precisa infine che i trasferimenti a un affidatario fiduciario di beni d’impresa non costituiscono realizzo di plusvalenze o di minusvalenze.

Responsabile del pagamento è l’affidatario che ha diritto di rivalsa nei confronti del patrimonio affidato qualora paghi con mezzi propri.

Anche per il patrimonio affidato, al pari di quanto accade con il trust deve essere richiesta l’attribuzione del codice fiscale che rimane inalterato indipendentemente dal cambiamento della persona dell’affidatario.

L’articolo 29 detta infine le norme per garantire la copertura finanziaria del provvedimento in esame.

A conclusione di questa succinta disamina, solo alcune considerazioni riepilogative.

Il negozio di affidamento fiduciario si pone come strumento competitivo rispetto al trust e si inserisce nel solco di una tradizione autoctona, possiamo dire, che trae le sue origini dal diritto canonico e dal diritto comune e che rappresenta l’antecedente storico dell’istituto del trust che poi ha trovato, nel mondo anglosassone una sua naturale e specifica evoluzione.

Il negozio di affidamento risponde poi all’esigenza di operare con concetti giuridici ben conosciuti evitando le incertezze di una normativa e di una giurisprudenza non sempre facilmente accessibile.

In conclusione questo progetto, ove attuato può rappresentare un arricchimento nella elaborazione di quegli strumenti che servono a superare la diffidenza naturalmente esistente nel mondo delle relazioni umane affermando, da un lato i valori dell’affidamento, e dall’altro privilegiando, sempre all’interno di questa ottica, la soluzione dei momenti di crisi a una figura privata escludendo quindi il giudice da ambiti molto spesso assai personali.