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Procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata: le questioni aperte

e le risposte nella giurisprudenza di Strasburgo
Monte Terminillo, Rieti
Ph. Federico Radi / Monte Terminillo, Rieti

Abstract

Il contributo esamina i principi desumibili dalla giurisprudenza di Strasburgo idonei a colmare i vuoti di tutela, nell’ordinamento italiano, degli interessi in gioco in caso di procreazione medicalmente assistita e maternità surrogata.

The contribution analyses the principles that can be derived from the Strasbourg case law and that may be used to fill the gaps of the Italian legal system as regards the protection of the interests at stake in the context of medically assisted procreation and gestational surrogacy.

 

Indice:

1. Vuoti di tutela legislativa nel sistema italiano

2. Come si interpreta l’articolo 8 CEDU?

2.1 Le nozioni autonome di vita privata e familiare

2.2 Valutazione di proporzionalità

2.3 Margine di apprezzamento

3. Gli interessi dei genitori

3.1 L’interesse alla procreazione di coppie dello stesso sesso o di single

3.2 L’interesse alla tutela della vita familiare

3.3 L’interesse dei genitori di intenzione a veder riconosciuto il legame familiare che origina da accordi di maternità surrogata

4. Gli interessi dei figli

4.1 Gli interessi dei nati da maternità surrogata al riconoscimento dello status filiationis

4.2 L’interesse dei nati da maternità surrogata o p.m.a. eterologa alla conoscenza delle proprie origini

5. Conclusioni

 

1. Vuoti di tutela legislativa nel sistema italiano

La procreazione medicalmente assistita (p.m.a.) e la maternità surrogata (“gestazione per altri”, o g.p.a.) coinvolgono un numero elevato di interessi, di cui sono titolari soggetti diversi: coloro che desiderino diventare genitori nonostante preclusioni di tipo fisico o pratico; il/la nato/a da p.m.a. o g.p.a.; il donatore o la madre surrogata; la collettività. Tali interessi ben possono entrare in conflitto tra loro: l’interesse del/della figlio/a nato/a da fecondazione eterologa o g.p.a. a conoscere le proprie origini può scontrarsi con il desiderio del donatore/della donatrice o della madre surrogata di restare anonimo/a; gli interessi di coloro che desiderano diventare genitori tramite maternità surrogata possono scontrarsi con gli interessi di una donna in stato di inferiorità sociale, culturale ed economica a non essere indotta a prestare un consenso “viziato” ad un accordo di surroga; e via dicendo.

Il legislatore italiano ha disciplinato la p.m.a. con la legge 40/2004, che contiene anche un riferimento alla g.p.a. (pratica medica tout court vietata). Tale disciplina lascia privi di tutela taluni degli interessi in gioco e non sempre opera un bilanciamento tra interessi contrastanti. Il legislatore, ad esempio, non considera l’interesse alla procreazione di coppie dello stesso sesso, o di persone single che desiderino diventare genitori. Il legislatore, inoltre, non affronta il tema del ricorso ad accordi di maternità surrogata all’estero, e il conseguente interesse dei genitori di intenzione e del/la figlio/a alla regolarizzazione dello status una volta rientrati in Italia. Per quanto riguarda, poi, l’interesse del nato/a da fecondazione eterologa o g.p.a. alla conoscenza delle proprie origini, tale interesse è allo stato attuale recessivo rispetto all’interesse del donatore all’anonimato[1].

La giurisprudenza si trova da anni a dover operare in assenza di indicazioni legislative, con risultati talora contrastanti,[2] e talora insoddisfacenti:

taluni vuoti di tutela restano, e se in passato la Consulta non ha esitato ad intervenire con pronunce “additive”, [3]  essa non può e non vuole spingersi oltre certi limiti.

Con le due recentissime sentenze “gemelle” n. 32 e 33 del 2021 (depositate il 9 marzo 2021), la Corte Costituzionale ha deciso di non intervenire a colmare il vuoto di tutela degli interessi dei minori:

  • nati nel contesto di famiglia fondata da persone dello stesso sesso grazie a p.m.a. eterologa, per i quali vi è impossibilità di ottenere il riconoscimento del legame con il genitore non biologico qualora, a causa di un’intervenuta crisi di coppia, non sia praticabile il ricorso alla c.d. “adozione non legittimante”[4] (C. Cost. sent. 32/2021);
  • nati da maternità surrogata all’estero, per i quali non è possibile ottenere in Italia il riconoscimento del legame con il genitore non biologico, se non tramite il ricorso all’“adozione non legittimante”, con tutti i limiti che essa patisce (C. Cost. Sent. 33/2021).  

Entrambe le pronunce hanno invitato il legislatore ad intervenire, la prima dichiarando inammissibili le questioni di legittimità costituzionale in ragione del “rispetto dovuto alla prioritaria valutazione del legislatore circa la congruità dei mezzi adatti a raggiungere un fine costituzionalmente necessario”, e la seconda riconoscendo che “di fronte al ventaglio delle opzioni possibili, tutte compatibili con la Costituzione e tutte implicanti interventi su materie di grande complessità sistematica, questa Corte non può, allo stato, che arrestarsi, e cedere doverosamente il passo alla discrezionalità del legislatore, nella ormai indifferibile individuazione delle soluzioni in grado di porre rimedio all’attuale situazione di insufficiente tutela degli interessi del minore”.

Nell’attesa dell’auspicato intervento legislativo, è inevitabile che le corti di merito continuino a confrontarsi con istanze di tutela di interessi correntemente “scoperti”. In tale quadro, l’avvocato/a ha un ruolo decisivo nel far valere argomentazioni conformi agli standard imposti dalla CEDU, ed in particolare alla giurisprudenza della Corte di Strasburgo sull’articolo 8 CEDU (diritto al rispetto della vita privata e familiare).

Tale giurisprudenza può infatti fornire utili indicazioni circa la via “convenzionalmente adeguata” di tutela e bilanciamento di taluni degli interessi coinvolti da p.m.a. e g.p.a., ricordando che la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo ha rango subcostituzionale nel sistema delle fonti italiano (C. Cost., sentt. 347 e 348/2007) e che la giurisprudenza della Corte di Strasburgo delinea standard di tutela vincolanti per tutte le autorità statali, inclusa la magistratura.

 

2. Come si interpreta l’articolo 8 CEDU?

Come anticipato, la norma CEDU che viene in considerazione quando si parla di p.m.a. e maternità surrogata è l’articolo 8, che tutela il “diritto al rispetto della vita privata e familiare”. Per comprendere la portata di questa norma è importante accennare, seppur brevemente, a tre concetti centrali nell’interpretazione dei diritti CEDU: il principio delle nozioni autonome, la valutazione di proporzionalità, e la dottrina del margine di apprezzamento.

 

2.1 Le nozioni autonome di vita privata e familiare

In base al principio delle nozioni autonome, le nozioni contenute nella CEDU hanno un significato autonomo e indipendente da quello in uso negli Stati Parte alla Convenzione, e tale significato è determinato dalla giurisprudenza di Strasburgo. Il principio è strumentale a garantire uniformità di tutela: l’interpretazione autonoma di un termine quale quello di “famiglia” rende uniforme tale nozione e la tutela che alla famiglia si accorda in ognuno dei 47 ordinamenti che alla Convenzione accedono, rendendo irrilevanti eventuali discrepanze derivanti, ad esempio, da un atteggiamento più o meno tradizionalista. Inoltre, il principio delle nozioni autonome è strumentale a garantire effettività di tutela: se si lasciasse agli Stati il potere di definire che cos’è “famiglia” e cosa non lo è, si rimetterebbe loro la libertà di definire il campo di applicazione dell’articolo 8 CEDU.

Le nozioni di “vita privata” e “vita familiare” sono dunque autonome nel sistema CEDU.

L’esistenza di una “vita familiare” nell’ottica di Strasburgo dipende dal ricorrere di legami personali stretti, potendo originare anche da un legame de facto, e non solo da rapporti di parentela giuridicamente riconosciuti. Così, ad esempio, nel caso Moretti e Benetti c. Italia 2010 si è considerato integrare “vita familiare” il rapporto creatosi tra titolari di un affidamento eterofamiliare e il minore affidato, in considerazione di elementi quali “il tempo vissuto insieme, la qualità delle relazioni nonché il ruolo assunto dall’adulto nei confronti del bambino” (§§ 48-52).

Importante è ricordare che il diritto al rispetto di una “vita familiare” presuppone l’esistenza di una famiglia: pertanto, le disposizioni dell’articolo 8 non garantiscono né il diritto di formare una famiglia né il diritto di adottare (E.B. c. Francia (GC) 2008).

La nozione di “vita privata” è ampia, e ricomprende aspetti dell’identità fisica e sociale della persona quali il diritto all’autodeterminazione e allo sviluppo personale, nonché il “diritto al rispetto per le decisioni di diventare, o meno, genitori” (Evans c. Regno Unito (GC) 2007). Così, ad esempio, nel caso Dickson c. Regno Unito (GC) 2007, la Corte ha affermato che il rifiuto opposto dalle autorità alla richiesta di un detenuto di accedere a tecniche di inseminazione artificiale per poter procreare con la compagna durante la propria (lunga) detenzione costituisse interferenza con la vita privata di costui.

 

2.2 Valutazione di proporzionalità

Nel sistema della Convenzione, quando un comportamento dello Stato interferisce con un diritto tutelato dalla CEDU, non necessariamente ciò determina violazione di quel diritto.

L’automatismo interferenza-violazione è sempre vero per i c.d. diritti assoluti, ovvero, nel sistema CEDU, i diritti che non tollerano alcuna forma di compressione: si pensi al diritto alla vita (art. 2) , o al divieto di tortura (art. 3).

Viceversa, nel caso dei c.d. diritti relativi, o suscettibili di compressione (artt. 8-11 CEDU), un’interferenza nel diritto in questione può essere convenzionalmente legittima, senza quindi integrare violazione. Gli stessi articoli della CEDU che contengono diritti relativi individuano, al loro comma secondo, i requisiti sulla cui base un’interferenza è convenzionalmente ammissibile, ovvero: 1) l’esistenza di una base legale, 2) il perseguimento di uno scopo legittimo e 3) una relazione di proporzionalità tra la restrizione al diritto e lo scopo legittimo perseguito.

Si prenda ad esempio il caso S.H. e altri c. Austria (GC) 2011. La Corte di Strasburgo ha ritenuto che la proibizione della donazione di gameti per fecondazione in vitro contenuta nella legge austriaca costitutiva un’interferenza nel diritto dei ricorrenti al rispetto della loro decisione di diventare genitori: tuttavia, tale interferenza aveva una sufficiente base legale nel diritto nazionale, perseguiva uno scopo legittimo, ed era, per come formulata, proporzionata. Pertanto, all’affermazione di applicabilità dell’articolo 8 CEDU non seguì una dichiarazione di violazione di tale norma.

 

2.3 Margine di apprezzamento

Il caso S.H. e altri c. Austria (GC) 2011 permette altresì di introdurre il tema del margine di apprezzamento, cui la Corte di Strasburgo spesso si riferisce quando valuta la proporzionalità di un’interferenza. In quel caso, infatti, la dichiarazione di non violazione dell’articolo 8 CEDU si fondò, tra l’altro, sulla considerazione per cui in materia di fecondazione eterologa in vitro il margine di apprezzamento dello Stato è ampio: ciò perché si tratta di tema che solleva questioni delicate di ordine etico e morale, sulle quali non vi è ancora omogeneità di vedute tra gli Stati membri.

Semplificando una nozione assai complessa (per il cui approfondimento si rinvia alle fonti qui citate), si può dire che il margine di apprezzamento rappresenta lo spazio di manovra entro il quale la garanzia del rispetto dei diritti CEDU è riservata alle autorità nazionali: uno spazio nel quale la Corte di Strasburgo si astiene dall’intervenire e dal sindacare la scelte operate a livello nazionale.

Il margine di apprezzamento è tendenzialmente ampio quando non vi è “omogeneità di vedute” sulla tutela degli interessi in gioco tra gli Stati Parte alla CEDU (mancanza del c.d. consenso europeo); ma si restringe quando viene in considerazione un aspetto particolarmente importante dell’identità della persona.

Così, ad esempio, per ciò che concerne la maternità surrogata, nel caso Mennesson c. Francia 2014 (su cui si ritornerà in seguito) la Corte effettuò un esame comparato della legislazione in vigore in 35 Stati Parte della CEDU (tra cui l’Italia), rilevando che la maternità surrogata era proibita espressamente in 14 Stati su 35, consentita in solamente 7, e che in soli 13 Stati era possibile ottenere il riconoscimento del legame familiare con il figlio non biologico. La Corte notò, dunque, che non vi era consenso tra gli Stati circa le modalità di bilanciamento e tutela degli interessi in gioco quando si parla di maternità surrogata; allo stesso tempo, essa notò che la maternità surrogata tocca un interesse particolarmente centrale dell’identità dell’individuo, in particolare l’interesse del figlio al riconoscimento del suo status nella società. Pertanto, due “forze opposte” agivano sul margine di apprezzamento dello Stato, ampliandolo da un lato e restringendolo dall’altro.

Concluse le indispensabili premesse metodologiche, si può passare ad analizzare che tipo di tutela offra l’articolo 8 CEDU per gli interessi delle parti coinvolte in procedura di p.m.a., o in accordi di maternità surrogata.

 

3. Gli interessi dei genitori

3.1 L’interesse alla procreazione di coppie dello stesso sesso o di single

Come si è detto, il diritto al rispetto per le decisioni di diventare o mento genitori, se del caso tramite il ricorso a procreazione medicalmente assistita, è parte integrante della nozione di “vita privata” dell’individuo (vedasi i precedentemente menzionati caso Dickson c. Regno Unito (GC) 2007 e S.H. e altri c. Austria (GC) 2011). Pertanto, pur in assenza di precedenti in materia, è possibile affermare che l’interesse alla procreazione di coppie dello stesso sesso o di single costituisce un aspetto della loro “vita privata” ai sensi dell’articolo 8 CEDU.

Purtroppo, la Corte di Strasburgo non ha ancora avuto occasione di pronunciarsi sul merito di un tema certamente rilevante, ovvero se impedire alle coppie omosessuali o ai single l’accesso alle tecniche di p.m.a. possa costituire violazione dell’articolo 8 CEDU, in combinato disposto con l’articolo 14 (divieto di discriminazione). Nel caso Charron e Merle-Montet c. Francia 2018, una coppia di donne aveva sollevato tale quesito alla Corte: tuttavia, il ricorso fu dichiarato irricevibile per mancato esaurimento delle vie di ricorso interne. È inevitabile che in futuro la questione si riproponga: non resta che sperare nell’avvocato/a dei/delle ricorrenti, e nella sua adeguata conoscenza dei criteri di ricevibilità del ricorso.

 

3.2 L’interesse alla tutela della vita familiare

Come in precedenza chiarito, l’esistenza di una “vita familiare” nell’ottica di Strasburgo dipende dal ricorrere di legami personali stretti, potendo originare anche da un legame de facto, e non solo da rapporti di parentela giuridicamente riconosciuti. Pertanto, quando “vita familiare” sussiste, poco importa la sua origine e il suo contesto (p.m.a./maternità surrogata; coppie dello stesso sesso o di sesso diverso; ecc.): essa troverà tutela ai sensi dell’articolo 8 CEDU, potendo eventuali interferenze essere giustificate solo nel rispetto dei requisiti base legale-scopo legittimo-proporzionalità.

Nel recentissimo caso Honner c. Francia 2020 , la Corte EDU ha esaminato il ricorso proposto da una donna che, dopo la separazione con la sua partner, aveva inutilmente fatto ricorso alle corti interne per ottenere tutela del suo diritto di visitare il minore, nato da p.m.a. e a lei non legato geneticamente, ma frutto del progetto di coppia.

La Corte ha ricordato che secondo la propria giurisprudenza la relazione tra due donne che vivono in regime di convivenza legalmente riconosciuto e il bambino nato da una di esse e cresciuto da entrambe, è idoneo a integrare vita familiare ai sensi dell'articolo 8 (X. e altri c. Austria 2013; Gas e Dubois c. Francia (dec) 2010), e che tale norma tutela il diritto del "genitore de facto" a preservare il legame familiare (Moretti e Benetti c. Italia 2010 , V.D. e altri c. Russia 2019).

La Corte ha dunque confermato la sussistenza nel caso concreto di una vita familiare. Tuttavia, ha concluso negativamente quanto ad una violazione dell’articolo 8 CEDU: l’interferenza delle autorità con il diritto della ricorrente (ergo la decisione delle corti francesi di non garantire il diritto di visita) era infatti giustificata dal superiore interesse del minore. Le corti interne avevano concluso che, in vista dell’alta conflittualità della coppia e del grave disagio piscologico manifestato dal minore a causa del mantenimento delle visite con la ricorrente, proseguire tali visite non sarebbe stato rispettoso del suo interesse.  

 

3.3 L’interesse dei genitori di intenzione a veder riconosciuto il legame familiare che origina da accordi di maternità surrogata

Gli interessi dei genitori che ricorrono ad accordi di maternità surrogata sono stati ricompresi dalla Corte, alternativamente, nella nozione di “vita privata” o di “vita familiare”. La scelta non è priva di conseguenze: la nozione di “vita familiare” implica l’esistenza (e la tutela) di relazioni, tra cui quella con un minore, il cui interesse è sempre prevalente. Viceversa, la nozione di “vita privata” concerne gli interessi di un individuo: se tale individuo è il minore, ai suoi interessi verrà accordata una tutela particolare, ma se tale individuo è il genitore di intenzione, ai suoi interessi verrà accordata una tutela ben diversa, “attenuata” rispetto a quella che verrebbe accordata se ricorresse una “vita familiare”.

Si prenda ad esempio il caso Paradiso e Campanelli c. Italia, e le conclusioni diametralmente opposte raggiunte nella sentenza di camera del 2015 e nella sentenza di Grande Camera del 2017.

Il caso, certamente molto noto, riguardava una coppia italiana con problemi di fertilità che, dopo aver lungamente provato a ricorrere a tecniche di p.m.a. nonché all’adozione, aveva fatto ricorso a un accordo di maternità surrogata in Russia. Secondo tale accordo, il bambino sarebbe stato concepito in vitro con gameti del padre e di una donatrice anonima, e poi “portato” da una madre surrogata. Alla nascita, le autorità russe rilasciarono un certificato che indicava la coppia italiana come genitori. Con tale certificato, essi ottennero dall’Ambasciata Italiana a Mosca i documenti per rientrare in Italia, ma al loro rientro furono indagati per alterazione di stato e uso di atto falso, aprendosi inoltre la procedura per l’adozione del minore, considerato “in stato di abbandono”. Le varie perizie psicologiche e le relazioni degli assistenti sociali riscontrano una situazione positiva per il bambino in seno al nucleo familiare. Tuttavia, nel contesto di tali procedure si riscontrò anche che il bambino non era legato geneticamente a nessuno dei due componenti della coppia: si scoprì poi che la clinica russa aveva proceduto alla fecondazione in vitro utilizzando, per errore, gameti di un terzo e non del padre. Il bambino, che aveva ormai sette mesi, fu considerato “in stato di abbandono” in quanto i suoi genitori biologici erano ignoti, e fu sottratto alla coppia. Trascorse quindici mesi in una casa famiglia, senza alcuna possibilità di contatto con la coppia, e fu infine dato in affido e adottato sotto altro nome.

La coppia ricorse alla Corte di Strasburgo, sostenendo che le misure adottate dalle autorità nazionali nei confronti del minore erano incompatibili con il proprio diritto alla vita privata e familiare tutelato dall’articolo 8 della Convenzione, nonché con quello del minore. La Corte considerò solo le doglianze sollevate dai ricorrenti in nome proprio, ritenendo che essi non avessero locus standi per agire anche in nome del minore.

La sentenza di Camera del 2015 riscontrò la sussistenza di una “vita familiare” di fatto tra la coppia e il minore, in virtù del chiaro progetto di vita comune che aveva dato origine alla relazione e dell’instaurarsi di una vita familiare di fatto per 7 mesi.

Tale conclusione fu rovesciata dalla sentenza di Grande Camera del 2017, la quale concluse che, in considerazione dell’assenza di legame biologico, del breve periodo trascorso insieme, e dell’incertezza legale originaria dei rapporti tra la coppia e il bambino, non poteva nel caso di specie riscontrarsi una “vita familiare”. Stabilì, quindi, che ciò che era in gioco era la decisione dei ricorrenti di diventare genitori: perciò, la loro “vita privata”.

La riqualificazione ebbe dirompenti conseguenze. Com’è ovvio, al ricorrere di una vita familiare (anche di fatto) che coinvolge un minore, gli interessi di quest’ultimo dovranno essere presi, seppur indirettamente, in considerazione. Si applicheranno, pertanto, principi ormai assodati nella giurisprudenza della Corte di Strasburgo, quali:

- le decisioni che coinvolgono un minore devono sempre far prevalere l’interesse superiore di costui (Wagner e J.M.W.L. c. Lussemburgo 2007 , §§ 133-134; Mennesson c. Francia 2014 § 81; Labassee c. Francia 2014 § 60);

- la separazione del minore da famiglia è misura di ultima istanza che è giustificata solo con l’obiettivo di tutelare quest’ultimo da un pericolo imminente (Scozzari e Giunta c. Italia (GC) 2000 § 148; Neulinger e Shuruk c. Svizzera 2010 § 136;  Y.C. c. Regno Unito 2012, §§ 133-138; Pontes c. Portogallo 2012 §§ 74-80).

Proprio sulla base di tali principi, la sentenza di Camera nel caso Paradiso e Campanelli concluse che la decisione delle autorità italiane di sottrarre il bambino alla coppia e di darlo in adozione costituisse violazione dell’articolo 8 CEDU sub specie “vita familiare”.

Viceversa, la sentenza di Grande Camera, concluse per un giudizio di non violazione della “vita privata” (della coppia ricorrente): non venendo più in considerazione la necessità di far prevalere l’interesse superiore del minore, il margine di apprezzamento fu considerato ampio in ragione dell’assenza di consenso europeo.

Pertanto, l’avvocato/a che intenda tutelare gli interessi di una coppia che fa ritorno in Italia con il minore nato da maternità surrogata, avrà interesse a ben conoscere la giurisprudenza in materia ai fini di argomentare a favore dell’esistenza di una vita familiare.

 

4. Gli interessi dei figli

4.1 Gli interessi dei nati da maternità surrogata al riconoscimento dello status filiationis

L’importanza dell’interesse superiore del minore nella giurisprudenza di Strasburgo è confermata dalle pronunce che riguardano la tutela del/la nato/a da maternità surrogata al riconoscimento del proprio status una volta rientrato con i genitori di intenzione nel loro paese di residenza e cittadinanza.

In Mennesson c. Francia 2014, la Corte esaminò il caso di una coppia (eterosessuale) francese che aveva fatto ricorso alla maternità surrogata in California, utilizzando gameti del padre e di una donatrice anonima, e facendo portare a termine la gestazione da una madre surrogata terza. I due gemelli nati dal parto erano stati registrati dalle corti californiane come figli della coppia, e in virtù dello ius soli erano stati considerati cittadini americani, e come tali dotati di passaporto. La famiglia aveva dunque fatto ritorno in Francia con i passaporti stranieri. Al loro rientro, i genitori avevano domandato (e inizialmente ottenuto) la trascrizione dell’atto di nascita e della sentenza californiana nei registri dello stato civile francese. Una procedura penale avviata nei loro confronti per falsificazione dell’atto di nascita venne archiviata perché secondo la lex loci di produzione di tale atto il reato non sussisteva. Il pubblico ministero aveva però anche esercitato un’azione volta a invalidare la trascrizione degli atti nel registro dello stato civile, in quanto frutto di un contratto (maternità surrogata) contrario all’ordine pubblico francese. Dopo alterne vicende davanti le corti interne, l’azione di invalidazione fu accolta. I gemelli avevano ormai 11 anni, e nonostante il loro status fosse in qualche modo tutelato dalla cittadinanza americana e dal riconoscimento del loro legame familiare secondo la legge straniera, essi riscontravano difficoltà nella vita di tutti i giorni per atti quali l’iscrizione a scuola o l’attribuzione di un medico, visto che secondo il diritto francese non erano legati da rapporti di parentela con i genitori (nemmeno con il padre, a loro legato geneticamente).

La Corte EDU fu adita dall’intera famiglia (inclusi i figli minori, che per giurisprudenza di Strasburgo possono autonomamente ricorrere davanti alla Corte: A c. Regno Unito 1998), lamentando una violazione dell’articolo 8.

La Corte chiarì che nel caso di specie si ravvisava un’interferenza sia nel diritto alla vita privata che nel diritto alla vita familiare dei ricorrenti. Tale interferenza aveva una base legale (una previsione del codice civile francese espressamente dichiara nulli per contrasto con l’ordine pubblico i contratti aventi ad oggetto maternità surrogata) e uno scopo legittimo (tutela del bambino e della madre surrogata).

Quanto alla valutazione di proporzionalità, la Corte esaminò separatamente gli effetti dell’ingerenza con rispetto alla vita familiare e alla vita privata, concludendo che:

  • Nonostante le evidenti difficoltà pratiche derivanti dal mancato riconoscimento della relazione genitori-figli secondo la legislazione francese, il godimento di una vita familiare non era stato impedito. La famiglia viveva in Francia e non emergeva alcun rischio per la sua unità: pertanto, le restrizioni alla “vita familiare” dei ricorrenti non potevano considerarsi sproporzionate;
  • Il rispetto per la vita privata impone che ciascuno possa stabilire gli elementi essenziali della propria identità come essere umano, il che include la relazione figli-genitori e la nazionalità. Nel caso di specie, le conseguenze negative sulla vita privata derivanti dalla legislazione francese ricadevano non solo sui genitori (che avevano effettuato una scelta consapevole di ricorrere a un accordo vietato dalla legge) ma anche sui figli. Costoro si vedevano addirittura disconosciuti della possibilità di essere considerati legati giuridicamente al loro padre genetico. Ciò poneva un serio problema di compatibilità con le esigenze ricollegate al principio dell’“interesse superiore del minore”.

La Corte concluse che impedire l’instaurarsi di qualsiasi legame giuridico tra i figli nati da maternità surrogata e il padre di intenzione che sia anche genitore biologico rappresenta un’interferenza sproporzionata nel diritto alla vita privata dei figli, ravvisandosi così violazione dell’articolo 8 CEDU. Tale conclusione fu poi confermata nei casi Foulon e Bouvet c. Francia 2016 e Laborie c. Francia 2017.

Restava aperto però il problema del mancato riconoscimento del rapporto tra figli nati da maternità surrogata e la madre, compagna/moglie del padre a loro legato geneticamente.

Ancora una volta la questione fu affrontata dalla Corte di Strasburgo grazie all’attivismo dei coniugi Mennesson. A seguito della sentenza resa dalla Corte EDU, costoro ottennero che il legame tra figli e padre fosse riconosciuto nell’atto di nascita: tuttavia, il legame con la madre restava tutelabile solo mediante l’istituto dell’adozione. Adirono dunque le corti interne, e la Corte di Cassazione francese richiese un parere consultivo alla Corte di Strasburgo (il primo di questo tipo ai sensi dell’articolo 1 Protocollo 16).[5]

Con Parere Consultivo del 10 aprile 2019, la Corte EDU precisò che l’opinione richiesta si sarebbe strettamente limitata a quanto rilevante nei fatti di causa, e che quindi le sue conclusioni si sarebbero limitate al caso in cui sia in questione un accordo di maternità surrogata dove sono stati utilizzati i gameti del padre e di una donatrice, e alla verifica di compatibilità con l’articolo 8 dello strumento dell’adozione sub specie di rispetto per la vita privata del minore (e non dei genitori, né della vita familiare).

Richiamati i principi fondamentali espressi nella propria giurisprudenza quanto all’interesse superiore del minore, e alla necessità di verificare caso per caso come i diversi interessi in gioco debbano bilanciarsi nel caso concreto, la Corte affermò:

  1. che un’impossibilità generale e assoluta di ottenere il riconoscimento della relazione tra figlio nato tramite maternità surrogata all’estero con gameti del padre e la madre d’intenzione è incompatibile con l’interesse superiore del minore, che richiede quantomeno che ciascuna situazione sia esaminata alla luce delle particolari circostanze del caso concreto;
  2. che il diritto al rispetto per la vita privata di cui all’articolo 8 della convenzione di un bambino nato all’estero tramite maternità surrogata [nelle condizioni di cui si è detto, i.e. il cui padre sia anche il padre biologico] impone che la normativa interna dia la possibilità di un riconoscimento del legame legale tra il figlio e la madre d’intenzione (conclusione che a maggior ragione si applicherebbe se tra il figlio e la madre d’intenzione ci fosse altresì un legame biologico);
  3. In assenza di consenso a livello europeo circa le modalità con cui garantire il riconoscimento legale di tale relazione, e visto che l’aspetto della vita privata che consiste nell’identità dell’individuo è meno direttamente toccato dalla questione di come viene riconosciuta la relazione che dalla questione del riconoscimento in se, l’articolo 8 della Convenzione non impone agli Stati un’obbligazione generale di riconoscere ab initio la relazione genitore-figlio tra il minore e la madre d’intenzione: ciò che conta è che, “al più tardi quando, in base ad una valutazione delle circostanze del caso concreto, la relazione tra il figlio e la madre d’intenzione sia divenuta una realtà [valutazione che devono effettuare le autorità interne], esista un meccanismo effettivo che consenta il riconoscimento di tale relazione”

Pertanto, l’adozione può rappresentare un meccanismo soddisfacente se opera con condizioni appropriate e consente di ottenere una decisione rapida, così che il figlio non sia mantenuto per un lasso di tempo eccessivamente lungo in una posizione di incertezza giuridica.

In applicazione di tali principi, nel successivo caso C e E c. Francia (dec) 2019, la Corte di Strasburgo rigettò come manifestamente infondati i ricorsi presentati da madri di intenzione che lamentavano di non aver potuto ottenere la registrazione del loro nominativo nei registri dello stato civile francese (a differenza dei compagni, che tale registrazione avevano ottenuto in quanto legati geneticamente ai figli nati da maternità surrogata). La Corte EDU verificò che nel sistema francese l’adozione della progenie del compagno/marito si completa in 4/5 mesi, e considerò questo lasso di tempo ragionevole ai fini di garantire sicurezza giuridica agli interessi del minore.

Interessante, perché fornisce ulteriori chiarimenti sull’operatività dei principi espressi nel parere consultivo, è la recentissima sentenza nel caso D c. Francia 2020. I ricorrenti avevano avuto una figlia in Ucraina tramite maternità surrogata, ma i gameti erano loro e quindi il minore era legato geneticamente ad entrambi. Ciononostante, le autorità francesi accettarono di registrare solo il legame con il padre in sede di trascrizione dell’atto di nascita, dovendo dunque la madre biologica ricorrere all’istituto dell’adozione.

La Corte di Strasburgo chiarì che l’esistenza di un legame genetico non implica necessariamente che la vita privata del minore debba essere tutelata mediante riconoscimento dello status filiationis nel contesto della trascrizione dell’atto di nascita formato all’estero: l’importante è che vi sia un meccanismo effettivo e sufficientemente rapido perché tale status sia riconosciuto (cosa che, nel sistema francese, esiste: v. la menzionata C e E c. Francia).

Purtroppo, i ricorrenti avevano sollevato tardivamente una questione interessante: quella della violazione dell’articolo 14 (discriminazione) in relazione ai diritti della madre. Tale questione non fu pertanto esaminata dalla Corte EDU.

 

4.2 L’interesse dei nati da maternità surrogata o p.m.a. eterologa alla conoscenza delle proprie origini

A conoscenza di chi scrive, non sussiste allo stato giurisprudenza di Strasburgo circa l’interesse dei figli nati da accordi di maternità surrogata o da p.m.a. eterologa alla conoscenza delle proprie origini. Tuttavia, è abbondante la giurisprudenza che affronta il tema dell’interesse alla conoscenza delle proprie origini con riferimento a parti anonimi e a figli non riconosciuti dal padre.

Nei casi Godelli c. Italia 2012 e Odièvre c. Francia 2003, la Corte ha chiarito che il diritto di conoscere la propria ascendenza rientra nel campo di applicazione della nozione di “vita privata” di cui all’articolo 8 CEDU, e che una legislazione che impedisca in modo assoluto ai figli nati con parto anonimo di ottenere qualunque tipo di informazioni circa le proprie origini costituisce un’interferenza sproporzionata in tale diritto. Viceversa, una legislazione che contemperi i contrapposti interessi all’anonimato e alla conoscenza delle origini mediante, ad esempio, la possibilità di ottenere informazioni non identificanti sulla madre, o la possibilità quantomeno di contattare tramite le autorità la madre al fine di verificare il persistere della sua scelta di anonimato, è compatibile con le esigenze di cui all’articolo 8.

Come efficacemente notato nel contributo di T. Chortara, S. Penasa e Lucia Busatta, The best interests of the child born via cross-border surrogacy. a comparison between Greece and Italy, è discutibile l’applicabilità in via analogica di tali conclusioni ai casi di donazione di gameti, perché il bilanciamento degli interessi in gioco è parzialmente diverso. Sarebbe, dunque, opportuna una disciplina legislativa che consenta di contemperare gli interessi contrapposti.

 

5. Conclusioni

Come si è visto, gli interessi coinvolti nella filiazione tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita e/o maternità surrogata sono molti, possono confliggere tra loro, e non sempre sono presi in considerazione dal legislatore italiano. La giurisprudenza CEDU fornisce indicazioni circa la tutela da offrire ad alcuni di tali interessi.

L’interesse superiore del minore è certamente un principio cardine in materia. Quando l’assenza di disciplina nazionale si traduce nell’impossibilità per il minore di vedere affermata la propria identità sociale, l’articolo 8 CEDU entra in gioco dando un margine di apprezzamento molto ristretto allo Stato. Similmente, quando delle relazioni che coinvolgono minori rientrano nella definizione di “vita familiare” di facto, l’articolo 8 CEDU richiede che qualunque interferenza in tali relazioni sia governata dal rispetto dell’interesse superiore del minore, che deve quantomeno essere preso in considerazione dalle autorità nazionali. Viceversa, quando a venire in gioco siano i soli interessi dei genitori, e tali interessi attengano alla loro “vita privata”, il margine di apprezzamento lasciato agli Stati in questa materia, eticamente e socialmente sensibile e controversa, è ampio.

In base all’esaminata giurisprudenza, si può dunque concludere che l’articolo 8 CEDU, sub specie “vita privata”, tutela il diritto degli aspiranti genitori alla procreazione anche tramite ricorso a tecniche di p.m.a., e il diritto dei figli nati da p.m.a. o maternità surrogata al riconoscimento del legame con i genitori di intenzione. Inoltre, la stessa norma offre tutela secondo i principi generali in materia alla “vita familiare” di fatto che origini da p.m.a. o maternità surrogata, purché già esistente.

 

[1] V. De Santis, Diritto a conoscere le proprie origini come aspetto della relazione materna. Adozione, p.m.a. eterologa e cognome materno, Nomos 1/2018.

[2] Si pensi alla giurisprudenza di merito favorevole alla trascrizione nei registri dello stato civile di atti stranieri che attribuiscono la paternità/maternità del figlio nato da g.p.a. al genitore non biologico, e agli interventi della Cassazione volti a “sedare” tali tendenze: Cassazione civile, sez. I, sentenza 11/11/2014 n° 24001; Cass, SS.UU. civili, sentenza 8/5/2019 n° 12193.

[3] Si pensi all’interesse a procreare delle coppie fertili portatrici di patologie geneticamente trasmissibili, tutelato grazie alla sentenza 96/2015, o all’interesse a procreare mediante ricorso a tecniche di fecondazione eterologa, tutelato grazie alla sentenza 162/2014.

[4] I.e., adozione in casi particolari prevista dall’art. 44, comma primo, lett. d), della legge n.184/1993

[5] Questo Protocollo è stato firmato dall’Italia nel 2013, ma non ancora ratificato e pertanto non opera nei confronti delle autorità giurisdizionali italiane