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Procreazione medicalmente assistita: l’ordine degli interessi tutelati è uno solo

Note a Tribunale di Firenze, Ordinanza 22 dicembre 2007 ex articolo 700 c.p.c.

Note a margine della c.d. Ordinanza Mariani adottata in tema di fecondazione assistita e diagnosi genetica di pre impianto, dal Tribunale di Firenze ex art. 700 c.p.c., il 22 dicembre 2007

SINTESI

Motivazione e dispositivo

1) In forza di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della L. 40/04 emerge che il divieto di diagnosi pre impianto (PDG) non esiste essendo stato posto illegittimamente dalle sole linee guida (DM 21 luglio 2004) che vanno pertanto disapplicate perché contra legem: a) L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E *+ L. n. 145 del 2001 ratifica Conv. Oviedo; b) violazione gerarchia delle fonti (L. 4000/88); c)violazione principio di tassatività del precetto penale rif. previsto dall’art. 13 l. 40/04).

2) il Centro deve procedere alla PMA previa esecuzione della PDG;

3) il Centro deve trasferire solo gli embrioni sani e crioconservare quelli malati sino al giudizio di merito (in contrasto con quanto previsto dall’art. 14 c. 1 L. 40/04);

4) il Centro deve eseguire il trattamento di PMA (numero di embrioni da produrre ed eventuale crioconservazione; numero di embrioni da trasferire (oggi stabiliti tassativamente dall’art. 14 c. 2 L. 40/04)), secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre (e non del nascituro ex art. 13 c. 2 L. 40/04)).

Da quanto precede deriva che il Giudice facendo proprie le istanze dei ricorrenti attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della complessiva disciplina in materia di Proc.Medic.Ass. ( L. 40/04; DM 21 luglio 2004; L. 145/2001; Linee Guida 21 luglio 2004) ‘supera’ alcune delle previsioni più controverse contenute nella legge e nelle successive linee guida.

Sommario:

1. Premessa: il riconoscimento di diritti soggettivi fondamentali e l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge.

2. Il fatto.

3. Il provvedimento d’urgenza adottato ex art. 700 c.p.c.: fumus boni juris e periculum in mora.

4. Il dispositivo: ordine al Centro di procedere alla PDG, di crioconservare gli embrioni malati, di adeguare il protocollo di PMA alle esigenze di tutela della salute della donna

1. Premessa: il riconoscimento di diritti soggettivi fondamentali e l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge.

I due assunti preliminari che hanno consentito una positiva soluzione e un corretto inquadramento delle varie questioni prospettate nel ricorso e accolte dall’ordinanza fiorentina, ineriscono aspetti sostanziali e di metodo da cui non si può non prendere le mosse nella ricostruzione di una decisione che, comunque la si pensi, riapre in maniera ‘fragorosa’ il dibattito intorno alla fecondazione medicalmente assista e alle connesse questioni bioetiche.

Innanzitutto il riconoscimento e la piena vigenza nel nostro ordinamento, e in particolare in subectia materia, della centralità dei principi di consenso informato come condizione legittimante del trattamento sanitario e di una libertà di autodeterminazione in ordine al proprio corpo da cui discende un diritto alla procreazione cosciente e responsabile. Tali affermazioni, apparentemente scontate, con l’entrata in vigore della legge 40/04 lo erano un pò meno, prevedendo il legislatore taluni importanti limiti che talvolta assumevano i caratteri di vere e proprie deroghe ai richiamati principi ove essi risultassero contrastanti con l’interesse alla vita, allo sviluppo e alla salute dell’embrione assurto al rango di soggetto di diritto.

Anche con riguardo all’assunto di metodo, solo apparentemente si tratta di uno scontato presupposto: il giudice ordinario nell’applicare la legge deve sempre e comunque operare secundum Costituzione. Con riferimento a tale aspetto, si rileva come è principio ormai pacifico in dottrina e in giurisprudenza che nell’applicare la legge il giudice debba sempre procedere ad una interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ della stessa nel senso che il significato da attribuire alla norma ordinaria debba sempre essere mediato alla luce dei principi e dei valori della Carta fondamentale. In caso di contrasto tra possibile opzioni interpretative è lo stesso principio di legalità, sistematicamente e teleologicamente ricostruito, ad obbligare l’interprete ad adottare la soluzione più conforme a Costituzione in luogo di ogni altra[1] (anche se più vicina al tenore letterale delle espressioni utilizzate).

Solo partendo da tali assunti è possibile comprendere la coerenza formale e la logica sostanziale del ragionamento svolto dal giudice fiorentino, che con il suo provvedimento di urgenza riaccende il dibattito tra bioeticisti e giuristi con importanti ricadute anche per il legislatore chiamato proprio in questo periodo a rivedere le Linee Guida ministeriali.

2. Il fatto

Una coppia sterile e portatrice di patologia genetica grave e trasmissibile alla prole[2] si rivolge al giudice per chiedere attraverso l’emanazione di un provvedimento d’urgenza ex 700 c.p.c., il superamento del divieto di diagnosi genetica di pre-impianto espressamente stabilito dalle Linee Guida ministeriali pronunciandosi sulla illegittimità delle stesse per contrarietà a Costituzione e alla stessa legge 40/04 e disponendone la disapplicazione[3]. Chiede inoltre di crioconservare gli embrioni non utilizzati (atto anche questo vietato espressamente dalla legge fuori dalle ipotesi previste dall’art. 14 c. 3) e infine l’adeguamento del protocollo terapeutico di procreazione medicalmente assistita (la legge prevede tassativamente che possono essere prodotti massimo 3 embrioni e che quanto prodotto sia contemporaneamente trasferito senza eccezione alcuna, art. 14 c. 2) alle esigenze del caso concreto[4]. Il giudice accoglie integralmente le richieste della coppia e con una interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ della legge e dei provvedimenti collegati, supera alcune tra le questioni più controverse poste dalla norma creando un precedente giurisprudenziale che aggiungendosi a quanto già statuito in materia dal Tribunale di Cagliari[5], anche in considerazione dell’articolazione delle argomentazione e delle novità contenute nel dispositivo, apre la strada per una ‘riforma’ per via giudiziale della legge[6].

3. Il provvedimento d’urgenza adottato ex art. 700 c.p.c.: fumus boni juris e periculum in mora.

Il giudice adito ritiene integrati entrambi i requisiti per la legittimità del provvedimento assunto in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. In particolare, con riguardo al fumus boni juris dopo aver correttamente inquadrato il ricorso nell’ambito della tutela di situazioni soggettive fondamentali della persona[7] il Tribunale procede ad una ricognizione del quadro normativo regolante la diagnosi genetica pre-impianto[8] all’esito del quale ritiene che la previsione contenuta nell’art. 13 c. 3 delle Linee Guida[9], rappresenta una regola creata ex novo dal regolamento ministeriale “costituendo una fattispecie di divieto non previsto dalla legge, in contrasto coi principi della legge stessa, in contrasto coi principi costituzionali e da disattendere ex art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all E”.

Precisa il Giudice come il Ministro, travalicando i poteri conferiti dalla Legge 40/04 ex art. 7, era stato delegato di emanare un decreto contenente l’indicazione delle procedure e tecniche di PMA e non autorizzato ad introdurre nuove disposizioni di legge da aggiungere a quanto già previsto nel testo. A tale riguardo, richiamando la sentenza del Tribunale di Cagliari del 22 settembre 2007, il giudice fiorentino ritiene che di un tale divieto nella legge 40/04 non vi sia traccia atteso che l’art. 13 stabilisce i limiti generali alla ricerca scientifica sull’embrione mentre l’art. 14 è diretto alla regolamentazione del rapporto tra la coppia che decide di ricorrere alla PMA e l’embrione stesso prevedendo espressamente al comma 5 la possibilità per tali soggetti di informarsi sullo stato di salute degli embrioni da trasferire[10]. D’altra parte, rileva correttamente il magistrato, come un tale divieto sarebbe risultato censurabile sotto il profilo dei principi costituzionali di ragionevolezza e di uguaglianza[11] oltre che in evidente contrasto con la legge 194/78 atteso che risulta contrario alle regole della logica e al semplice buon senso, sia ipotizzare la sussistenza di un obbligo inderogabile all’impianto fermo restando la possibilità di ricorrere successivamente all’aborto, che ammettere tecniche di diagnostica pre-natale come l’amniocentesi e la villocentesi sul feto e vietare l’esecuzione di analoghe tecniche sull’embrione[12]. Sulla base delle argomentazioni che precedono le linee guida nel prevedere che l’indagine pre impianto può essere solo osservazionale introducono un divieto contra legem[13] incidendo su normazione primaria superiore –oltre alla L. 40/04 aggiungerei anche la legge 145/01, art. 12[14] che espressamente ammette i test genetici predittivi privi di finalità eugenetiche- e vanno pertanto disapplicate ex art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all E[15].

Con riguardo al periculum in mora, osserva il giudice “è insito nella situazione sostanziale tutelata”. Infatti i tempi relativamente lunghi per la tutela in via ordinaria, attesa la situazione di pericolo attuale per la salute psichica e fisica della madre (e della coppia) potrebbe determinare un danno un grave consistente in “un vulnus non risarcibile perché attinente ad un bene della vita”.

4. Il dispositivo: ordine al Centro di procedere alla PDG, di crioconservare gli embrioni malati, di adeguare il protocollo di PMA alle esigenze di tutela della salute della donna.

Il dispositivo dell’ordinanza, che come è noto, decorso il termine di 10 gg. per la reclamabilità su iniziativa di controparte, acquista, a maggior ragione dopo la recente riforma del codice di procedura civile introdotta con gli artt. 669 bis-quaterdecies, effetto di sostanziale giudicato con contenuto anticipatore del provvedimento di merito, contiene decisioni che sono sicuramente destinate a far discutere. Infatti non solo il Giudice accertata l’illegittimità, procede alla disapplicazione della parte delle linee guida che introduce il divieto alla PDG ordinando al Centro medico di effettuare la diagnosi genetica di pre impianto degli embrioni creati tramite i gameti della coppia, ma ordina anche “di trasferire in utero solo gli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia di cui soffre la ricorrente, con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito”nonché di eseguire il tutto (PMA e PDG) “secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre”.

Sul punto si osserva come prevedendo l’obbligo per il centro medico di procedere alla crioconservazione degli embrioni che dovessero risultare affetti dalla patologia genetica, il Tribunale supera l’espressa disposizione di cui all’art. 14 c. 1 L. 40/04 -che stabilisce un divieto assoluto di congelamento dell’embrione salvo l’ipotesi di cui al successivo comma 3 che esula però dal caso in esame- introducendo di fatto un’ipotesi non prevista dalla legge. Ciò in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa priva di alternative: oltre questa, secondo il Tribunale fiorentino, l’incidente di costituzionalità diventerebbe inevitabile posto che l’ordine di tutela degli interessi coinvolti nella vicenda non può sfuggire ad una valutazione sistematica ed assiologica che prenda le mosse dalla Carta fondamentale così come interpretata dalla Consulta a partire dal 1975 nella richiamata sentenza n. 27.

Ma sono le ultime due righe di chiusura del dispositivo a risultare, a nostro avviso, dirompenti per la legge. Ad una prima lettura il contenuto di tali affermazioni potrebbe risultare ovvio per non dire scontato. Si precisa che è il medico (e non il legislatore) che seguendo le migliori regole della scienza deve operare per la tutela della salute della madre. Ex adverso, sia pur in maniera implicita, con esse si riafferma un principio, pacificamente accolto nel nostro ordinamento sino all’introduzione della legge 40/04, secondo il quale nello svolgimento di un trattamento sanitario è il medico che stabilisce le modalità tecniche della prestazione nell’esclusivo interesse del paziente e laddove vi sia, come in ambito procreativo, un conflitto tra interessi alla vita e alla salute della madre e i corrispondenti interessi del concepito, inevitabilmente si accorderà prevalenza ai primi rispetto ai secondi.

Ciò significa in primo luogo restituire al medico quella autonomia di valutare la scelta terapeutica più adeguata al caso concreto, che in materia di PMA vuol dire in primis scelta della metodica più idonea nonché scelta sul numero di embrioni da produrre e da trasferire in relazione agli specifici problemi manifestati dalla donna (e dalla coppia). E’ in base alle regole della miglior scienza ed esperienza, nel rispetto dei principi del proprio codice deontologico e di quelli generali dell’ordinamento che esso dovrà operare.

Ma la portata della decisione è ancora maggiore se posta in relazione al significato assiologico ragionevolmente riconducibile alla stessa in forza dei richiami operati dal giudice alla giurisprudenza della Consulta, alla legge 194/78 e ai principi di autodeterminazione sul proprio corpo e di procreazione cosciente e responsabile.

Non si tratta, come da qualche parte si è già detto, di negare i diritti dell’embrione in contrasto con quanto disposto dalla legge, quanto di ricollocare gli stessi nello ‘spazio più vasto’ di un ordinamento che si pretende unitario e che pertanto non può ammettere l’esistenza al proprio interno di antinomie, logico-razionali prima che giuridico-normative. Che senso ha precludere alla donna di effettuare la PDG a maggior ragione quando essa risulti anche portatrice di gravi ed incurabili patologie (virali e/o genetiche) trasmissibili alla prole e poi consentirLe di abortire? Come si può, ove la diagnosi effettuata dal medico evidenzi gravi rischi per la salute del paziente, comunque procedere alla creazione e al contemporaneo trasferimento di un numero predeterminato di embrioni? Come si può prevedere che una volta creato l’embrione, la madre non possa, per nessun motivo, revocare il consenso all’impianto?

Viene semplicemente (si fa per dire) riaffermato come in ambito procreativo e quindi anche nell’ipotesi in cui il concepimento avvenga in provetta, l’ordine di tutela degli interessi, costituzionalmente rilevante, è uno soltato. E ciò vale per tutti…legislatore compreso!

[Prof. Avv. Gianni Baldini (legale della coppia ricorrente)]



[1] Sul punto cfr per tutti: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, in part. p. 538 ss; ID Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Rass. dir. civ., 2005, p. 204; Idem L’interpretazione della legge come sistematica e assiologia, Il brocardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, p. 990 ss; E. NAVARRETTA Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti di diritto privato, in Rivista del diritto civile, 2001, 779 ss.; ID Bilanciameno i interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv. Crit. Dir. Priv. 1999, p. 645

[2] L’Esostosi multipla ereditaria (EME) è una malattia congenita che colpisce l’apparato osteo articolare e si manifesta con la crescita, su diversi segmenti scheletrici, di protuberanze ossee (chiamate esostosi) che possono variare di dimensioni, localizzazione e quantità. Le esostosi si localizzano principalmente a carico delle ossa lunghe degli arti inferiori e superiori, con maggiore frequenza in prossimità delle articolazioni (ginocchia, spalle, caviglie, anche e polsi); secondariamente possono comparire anche sulle ossa del tronco, a carico del bacino e delle scapole. Non sono mai coinvolte le ossa del capo o del viso. Le esostosi insorgono generalmente durante i primi anni di vita e crescono insieme allo sviluppo del bambino. Normalmente la loro crescita s’interrompe definitivamente con il raggiungimento dell’età adulta, quando lo sviluppo dell’individuo è completato La diagnosi della malattia è relativamente facile e si basa su un’attenta valutazione clinico-radiografica. L’EME colpisce circa una persona ogni 50.000, uomini e donne con pari possibilità. L’esostosi multipla è solitamente una malattia ereditaria, trasmessa al figlio da uno dei genitori (sette malati su dieci ereditano la malattia da uno dei genitori) e se un genitore n’è affetto, ci sono il 50% di possibilità che anche il figlio sviluppi la malattia.

[3] Potere, come noto, riconosciuto al giudice ordinario, in forza della legge L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, artt. 4 e 5.

[4] In questo caso la donna affetta da una grave ed incurabile patologia genetica, sia per la conformazione fisica che per lo stato di salute generale, correrebbe gravi rischi dall’essere sottoposta a ripetuti interventi di stimolazione ovarica ovvero dall’eventualità di una gravidanza gemellare nel caso di attecchimento di tutti gli embrioni trasferiti.

[5] Trib. Cagliari (ord.) 16 luglio 2005. Per un primo commento sia consentito il rinvio a G. BALDINI, Libertà procreativa e fecondazione artificiale, ESI, Napoli, 2006, p. 155 ss; Trib. Cagliari, 25 settembre 2007, per la quale si rinvia a tecnologie riproduttive e tutela della persona . Verso un comune diritto europeo per la bioetica, Firenze, 2007 p. 149 ss.n

[6] Questa è l’impressione generale che è possibile trarre dalle prime contrastanti reazione all’indomani dell’uscita dell’ordinanza.

[7] Trib. Firenze 19 dicembre 2007,p. 5: “La parte ricorrente agisce a tutela del diritto alla salute proprio e del nucleo familiare, del diritto alla informazione nel caso di trattamento sanitario e del diritto di una libera e cosciente procreazione. Sono incontestati ed anzi ammessi come assolutamente corrispondenti al vero e riscontrati dalla parte convenuta i dati della sterilità della coppia e della malattia genetica che affligge il membro femminile della stessa”

[8] Trib. Firenze 19 dicembre 2007,p. 6: “ Articolo 13, L. 40/04: sperimentazione sugli embrioni umani commi 1 e 2 (…); D.M. 21 luglio 2004, art. 13 c.3 (…)” cui deve aggiungersi la L. 145/01 di ratifica della convenzione di Oviedo sulle biotecnologie che all’art. 12 espressamente consente i test genetici predittivi ove non perseguano finalità eugenetiche.

[9] Che stabilisce come “ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro (…) dovrà essere di tipo osservazionale…”

[10] Secondo il Giudice “…è evidente che tale informazione non può essere collegata ad una fatua curiosità dei futuri genitori, ma deve evidentemente essere posta in relazione alla necessità che i trattamenti terapeutici siano accompagnati dalla informazione necessaria ad esprimere il necessario consenso (né qui importa richiamare la ampia giurisprudenza della S.C. che si è formata sul punto) come d’altra parte espressamente previsto dall’art. 4 lett. b) e dall’art. 6 (…in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione…); ancora, la informazione deve essere ancorata alle disposizioni contenute nella legge 194/1978 due volte richiamata all’interno dello stesso art. 14 (….)”.

[11] Osserva il giudice (trib. Firenze, cit., p. 11, come “non può infatti tacersi che altra lettura della norma necessiterebbe il ricorso alla valutazione di costituzionalità. Non solo infatti la necessità di tutelare situazioni uguali in modo uguale (…), ma anche la tutela della salute di cui all’art. 32 Cost. (non può essere ignorato il richiamo della Corte Costituzionale alla tutela prioritaria del già nato rispetto al feto: v. per tutte Corte cost., 18.02.01975, n. 27 “Il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre immediato e non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute della madre che è già persona, e quello dell’embrione che persona deve ancora diventare”) e infine la necessità di salvaguardare la pari dignità di uomo e donna (art. 13 I° comma), impedendo quello che autorevole dottrina ha definito come la legislazione in ordine al corpo della donna come “luogo pubblico”, contro e oltre il suo privato convincimento, depongono per la lettura dell’art. 14 nel senso indicato”.

[12] Secondo il Tribunale di Firenze, cit., p. 10, in forza dei richiami operati dalla L. 40/04 alla L. 194/78 , “E’ pertanto evidente (…), la possibilità di ricorso all’IVG per problemi di salute della donna derivanti anche da previsioni di anomalie o malformazioni del feto, poiché tali anomalie vengono comunemente valutate colle tecniche ormai di accesso sociale della amniocentesi e della villocentesi, che altrettanta tutela deve essere riconosciuta alla donna alla quale l’impianto non è stato ancora praticato, coll’accesso alla diagnosi reimpianto. Veramente non solo irrazionale ma addirittura fuori dal senso morale è semplicemente pensare che si debba procedere all’impianto per poi, successivamente alla valutazione clinica del feto, procedere ad iun aborto, che questa sarebbe la conseguenza del riconoscere la esistenza di un divieto di diagnosi pre-impianto nella legge 40/04”

[13] Si legge nell’ordinanza fiorentina , cit., p. 8, come il Ministro “(…) ha creato un ulteriore divieto normativo aggiungendo ulteriori commi all’art. 13 con ciò violando il principio di legalità nonché le regole che presiedono alla gerarchia delle fonti e ai limiti del potere regolamentare ministeriale (art. 17 L. 400/1988) oltrechè ledendo il principio di tassatività che sovrintende la creazione del precetto penale (l’art. 13 infatti qualifica come reato il comportamento violativo dei precetti contenuti nello stesso articolo”

[14] Legge 28 marzo 2001, n.145 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2001) Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignita’ dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, approvata ad Oviedo il 4 aprile 1997, nonche’ del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani..

[15] Come si ricorderà l’art. 4 della citata legge prevede che “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’Autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti Autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso. L’art. 5 dispone che “ In questo come in ogni altro caso, le Autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle legge”.

Note a margine della c.d. Ordinanza Mariani adottata in tema di fecondazione assistita e diagnosi genetica di pre impianto, dal Tribunale di Firenze ex art. 700 c.p.c., il 22 dicembre 2007

SINTESI

Motivazione e dispositivo

1) In forza di una interpretazione sistematica e costituzionalmente orientata della L. 40/04 emerge che il divieto di diagnosi pre impianto (PDG) non esiste essendo stato posto illegittimamente dalle sole linee guida (DM 21 luglio 2004) che vanno pertanto disapplicate perché contra legem: a) L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E *+ L. n. 145 del 2001 ratifica Conv. Oviedo; b) violazione gerarchia delle fonti (L. 4000/88); c)violazione principio di tassatività del precetto penale rif. previsto dall’art. 13 l. 40/04).

2) il Centro deve procedere alla PMA previa esecuzione della PDG;

3) il Centro deve trasferire solo gli embrioni sani e crioconservare quelli malati sino al giudizio di merito (in contrasto con quanto previsto dall’art. 14 c. 1 L. 40/04);

4) il Centro deve eseguire il trattamento di PMA (numero di embrioni da produrre ed eventuale crioconservazione; numero di embrioni da trasferire (oggi stabiliti tassativamente dall’art. 14 c. 2 L. 40/04)), secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre (e non del nascituro ex art. 13 c. 2 L. 40/04)).

Da quanto precede deriva che il Giudice facendo proprie le istanze dei ricorrenti attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata della complessiva disciplina in materia di Proc.Medic.Ass. ( L. 40/04; DM 21 luglio 2004; L. 145/2001; Linee Guida 21 luglio 2004) ‘supera’ alcune delle previsioni più controverse contenute nella legge e nelle successive linee guida.

Sommario:

1. Premessa: il riconoscimento di diritti soggettivi fondamentali e l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge.

2. Il fatto.

3. Il provvedimento d’urgenza adottato ex art. 700 c.p.c.: fumus boni juris e periculum in mora.

4. Il dispositivo: ordine al Centro di procedere alla PDG, di crioconservare gli embrioni malati, di adeguare il protocollo di PMA alle esigenze di tutela della salute della donna

1. Premessa: il riconoscimento di diritti soggettivi fondamentali e l’interpretazione costituzionalmente orientata della legge.

I due assunti preliminari che hanno consentito una positiva soluzione e un corretto inquadramento delle varie questioni prospettate nel ricorso e accolte dall’ordinanza fiorentina, ineriscono aspetti sostanziali e di metodo da cui non si può non prendere le mosse nella ricostruzione di una decisione che, comunque la si pensi, riapre in maniera ‘fragorosa’ il dibattito intorno alla fecondazione medicalmente assista e alle connesse questioni bioetiche.

Innanzitutto il riconoscimento e la piena vigenza nel nostro ordinamento, e in particolare in subectia materia, della centralità dei principi di consenso informato come condizione legittimante del trattamento sanitario e di una libertà di autodeterminazione in ordine al proprio corpo da cui discende un diritto alla procreazione cosciente e responsabile. Tali affermazioni, apparentemente scontate, con l’entrata in vigore della legge 40/04 lo erano un pò meno, prevedendo il legislatore taluni importanti limiti che talvolta assumevano i caratteri di vere e proprie deroghe ai richiamati principi ove essi risultassero contrastanti con l’interesse alla vita, allo sviluppo e alla salute dell’embrione assurto al rango di soggetto di diritto.

Anche con riguardo all’assunto di metodo, solo apparentemente si tratta di uno scontato presupposto: il giudice ordinario nell’applicare la legge deve sempre e comunque operare secundum Costituzione. Con riferimento a tale aspetto, si rileva come è principio ormai pacifico in dottrina e in giurisprudenza che nell’applicare la legge il giudice debba sempre procedere ad una interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ della stessa nel senso che il significato da attribuire alla norma ordinaria debba sempre essere mediato alla luce dei principi e dei valori della Carta fondamentale. In caso di contrasto tra possibile opzioni interpretative è lo stesso principio di legalità, sistematicamente e teleologicamente ricostruito, ad obbligare l’interprete ad adottare la soluzione più conforme a Costituzione in luogo di ogni altra[1] (anche se più vicina al tenore letterale delle espressioni utilizzate).

Solo partendo da tali assunti è possibile comprendere la coerenza formale e la logica sostanziale del ragionamento svolto dal giudice fiorentino, che con il suo provvedimento di urgenza riaccende il dibattito tra bioeticisti e giuristi con importanti ricadute anche per il legislatore chiamato proprio in questo periodo a rivedere le Linee Guida ministeriali.

2. Il fatto

Una coppia sterile e portatrice di patologia genetica grave e trasmissibile alla prole[2] si rivolge al giudice per chiedere attraverso l’emanazione di un provvedimento d’urgenza ex 700 c.p.c., il superamento del divieto di diagnosi genetica di pre-impianto espressamente stabilito dalle Linee Guida ministeriali pronunciandosi sulla illegittimità delle stesse per contrarietà a Costituzione e alla stessa legge 40/04 e disponendone la disapplicazione[3]. Chiede inoltre di crioconservare gli embrioni non utilizzati (atto anche questo vietato espressamente dalla legge fuori dalle ipotesi previste dall’art. 14 c. 3) e infine l’adeguamento del protocollo terapeutico di procreazione medicalmente assistita (la legge prevede tassativamente che possono essere prodotti massimo 3 embrioni e che quanto prodotto sia contemporaneamente trasferito senza eccezione alcuna, art. 14 c. 2) alle esigenze del caso concreto[4]. Il giudice accoglie integralmente le richieste della coppia e con una interpretazione ‘costituzionalmente orientata’ della legge e dei provvedimenti collegati, supera alcune tra le questioni più controverse poste dalla norma creando un precedente giurisprudenziale che aggiungendosi a quanto già statuito in materia dal Tribunale di Cagliari[5], anche in considerazione dell’articolazione delle argomentazione e delle novità contenute nel dispositivo, apre la strada per una ‘riforma’ per via giudiziale della legge[6].

3. Il provvedimento d’urgenza adottato ex art. 700 c.p.c.: fumus boni juris e periculum in mora.

Il giudice adito ritiene integrati entrambi i requisiti per la legittimità del provvedimento assunto in via d’urgenza ex art. 700 c.p.c. In particolare, con riguardo al fumus boni juris dopo aver correttamente inquadrato il ricorso nell’ambito della tutela di situazioni soggettive fondamentali della persona[7] il Tribunale procede ad una ricognizione del quadro normativo regolante la diagnosi genetica pre-impianto[8] all’esito del quale ritiene che la previsione contenuta nell’art. 13 c. 3 delle Linee Guida[9], rappresenta una regola creata ex novo dal regolamento ministeriale “costituendo una fattispecie di divieto non previsto dalla legge, in contrasto coi principi della legge stessa, in contrasto coi principi costituzionali e da disattendere ex art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all E”.

Precisa il Giudice come il Ministro, travalicando i poteri conferiti dalla Legge 40/04 ex art. 7, era stato delegato di emanare un decreto contenente l’indicazione delle procedure e tecniche di PMA e non autorizzato ad introdurre nuove disposizioni di legge da aggiungere a quanto già previsto nel testo. A tale riguardo, richiamando la sentenza del Tribunale di Cagliari del 22 settembre 2007, il giudice fiorentino ritiene che di un tale divieto nella legge 40/04 non vi sia traccia atteso che l’art. 13 stabilisce i limiti generali alla ricerca scientifica sull’embrione mentre l’art. 14 è diretto alla regolamentazione del rapporto tra la coppia che decide di ricorrere alla PMA e l’embrione stesso prevedendo espressamente al comma 5 la possibilità per tali soggetti di informarsi sullo stato di salute degli embrioni da trasferire[10]. D’altra parte, rileva correttamente il magistrato, come un tale divieto sarebbe risultato censurabile sotto il profilo dei principi costituzionali di ragionevolezza e di uguaglianza[11] oltre che in evidente contrasto con la legge 194/78 atteso che risulta contrario alle regole della logica e al semplice buon senso, sia ipotizzare la sussistenza di un obbligo inderogabile all’impianto fermo restando la possibilità di ricorrere successivamente all’aborto, che ammettere tecniche di diagnostica pre-natale come l’amniocentesi e la villocentesi sul feto e vietare l’esecuzione di analoghe tecniche sull’embrione[12]. Sulla base delle argomentazioni che precedono le linee guida nel prevedere che l’indagine pre impianto può essere solo osservazionale introducono un divieto contra legem[13] incidendo su normazione primaria superiore –oltre alla L. 40/04 aggiungerei anche la legge 145/01, art. 12[14] che espressamente ammette i test genetici predittivi privi di finalità eugenetiche- e vanno pertanto disapplicate ex art. 5 L. 20 marzo 1865 n. 2248 all E[15].

Con riguardo al periculum in mora, osserva il giudice “è insito nella situazione sostanziale tutelata”. Infatti i tempi relativamente lunghi per la tutela in via ordinaria, attesa la situazione di pericolo attuale per la salute psichica e fisica della madre (e della coppia) potrebbe determinare un danno un grave consistente in “un vulnus non risarcibile perché attinente ad un bene della vita”.

4. Il dispositivo: ordine al Centro di procedere alla PDG, di crioconservare gli embrioni malati, di adeguare il protocollo di PMA alle esigenze di tutela della salute della donna.

Il dispositivo dell’ordinanza, che come è noto, decorso il termine di 10 gg. per la reclamabilità su iniziativa di controparte, acquista, a maggior ragione dopo la recente riforma del codice di procedura civile introdotta con gli artt. 669 bis-quaterdecies, effetto di sostanziale giudicato con contenuto anticipatore del provvedimento di merito, contiene decisioni che sono sicuramente destinate a far discutere. Infatti non solo il Giudice accertata l’illegittimità, procede alla disapplicazione della parte delle linee guida che introduce il divieto alla PDG ordinando al Centro medico di effettuare la diagnosi genetica di pre impianto degli embrioni creati tramite i gameti della coppia, ma ordina anche “di trasferire in utero solo gli embrioni sani o portatori sani rispetto alla patologia di cui soffre la ricorrente, con crioconservazione degli embrioni malati sino all’esito della tutela di merito”nonché di eseguire il tutto (PMA e PDG) “secondo le migliori regole della scienza in relazione alla salute della madre”.

Sul punto si osserva come prevedendo l’obbligo per il centro medico di procedere alla crioconservazione degli embrioni che dovessero risultare affetti dalla patologia genetica, il Tribunale supera l’espressa disposizione di cui all’art. 14 c. 1 L. 40/04 -che stabilisce un divieto assoluto di congelamento dell’embrione salvo l’ipotesi di cui al successivo comma 3 che esula però dal caso in esame- introducendo di fatto un’ipotesi non prevista dalla legge. Ciò in forza di un’interpretazione costituzionalmente orientata della stessa priva di alternative: oltre questa, secondo il Tribunale fiorentino, l’incidente di costituzionalità diventerebbe inevitabile posto che l’ordine di tutela degli interessi coinvolti nella vicenda non può sfuggire ad una valutazione sistematica ed assiologica che prenda le mosse dalla Carta fondamentale così come interpretata dalla Consulta a partire dal 1975 nella richiamata sentenza n. 27.

Ma sono le ultime due righe di chiusura del dispositivo a risultare, a nostro avviso, dirompenti per la legge. Ad una prima lettura il contenuto di tali affermazioni potrebbe risultare ovvio per non dire scontato. Si precisa che è il medico (e non il legislatore) che seguendo le migliori regole della scienza deve operare per la tutela della salute della madre. Ex adverso, sia pur in maniera implicita, con esse si riafferma un principio, pacificamente accolto nel nostro ordinamento sino all’introduzione della legge 40/04, secondo il quale nello svolgimento di un trattamento sanitario è il medico che stabilisce le modalità tecniche della prestazione nell’esclusivo interesse del paziente e laddove vi sia, come in ambito procreativo, un conflitto tra interessi alla vita e alla salute della madre e i corrispondenti interessi del concepito, inevitabilmente si accorderà prevalenza ai primi rispetto ai secondi.

Ciò significa in primo luogo restituire al medico quella autonomia di valutare la scelta terapeutica più adeguata al caso concreto, che in materia di PMA vuol dire in primis scelta della metodica più idonea nonché scelta sul numero di embrioni da produrre e da trasferire in relazione agli specifici problemi manifestati dalla donna (e dalla coppia). E’ in base alle regole della miglior scienza ed esperienza, nel rispetto dei principi del proprio codice deontologico e di quelli generali dell’ordinamento che esso dovrà operare.

Ma la portata della decisione è ancora maggiore se posta in relazione al significato assiologico ragionevolmente riconducibile alla stessa in forza dei richiami operati dal giudice alla giurisprudenza della Consulta, alla legge 194/78 e ai principi di autodeterminazione sul proprio corpo e di procreazione cosciente e responsabile.

Non si tratta, come da qualche parte si è già detto, di negare i diritti dell’embrione in contrasto con quanto disposto dalla legge, quanto di ricollocare gli stessi nello ‘spazio più vasto’ di un ordinamento che si pretende unitario e che pertanto non può ammettere l’esistenza al proprio interno di antinomie, logico-razionali prima che giuridico-normative. Che senso ha precludere alla donna di effettuare la PDG a maggior ragione quando essa risulti anche portatrice di gravi ed incurabili patologie (virali e/o genetiche) trasmissibili alla prole e poi consentirLe di abortire? Come si può, ove la diagnosi effettuata dal medico evidenzi gravi rischi per la salute del paziente, comunque procedere alla creazione e al contemporaneo trasferimento di un numero predeterminato di embrioni? Come si può prevedere che una volta creato l’embrione, la madre non possa, per nessun motivo, revocare il consenso all’impianto?

Viene semplicemente (si fa per dire) riaffermato come in ambito procreativo e quindi anche nell’ipotesi in cui il concepimento avvenga in provetta, l’ordine di tutela degli interessi, costituzionalmente rilevante, è uno soltato. E ciò vale per tutti…legislatore compreso!

[Prof. Avv. Gianni Baldini (legale della coppia ricorrente)]



[1] Sul punto cfr per tutti: P. PERLINGIERI, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo comunitario delle fonti, Napoli, in part. p. 538 ss; ID Complessità e unitarietà dell’ordinamento giuridico vigente, in Rass. dir. civ., 2005, p. 204; Idem L’interpretazione della legge come sistematica e assiologia, Il brocardo in claris non fit interpretatio, il ruolo dell’art. 12 disp. prel. c.c. e la nuova scuola dell’esegesi, in Rass. dir. civ., 1985, p. 990 ss; E. NAVARRETTA Complessità dell’argomentazione per principi nel sistema attuale delle fonti di diritto privato, in Rivista del diritto civile, 2001, 779 ss.; ID Bilanciameno i interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv. Crit. Dir. Priv. 1999, p. 645

[2] L’Esostosi multipla ereditaria (EME) è una malattia congenita che colpisce l’apparato osteo articolare e si manifesta con la crescita, su diversi segmenti scheletrici, di protuberanze ossee (chiamate esostosi) che possono variare di dimensioni, localizzazione e quantità. Le esostosi si localizzano principalmente a carico delle ossa lunghe degli arti inferiori e superiori, con maggiore frequenza in prossimità delle articolazioni (ginocchia, spalle, caviglie, anche e polsi); secondariamente possono comparire anche sulle ossa del tronco, a carico del bacino e delle scapole. Non sono mai coinvolte le ossa del capo o del viso. Le esostosi insorgono generalmente durante i primi anni di vita e crescono insieme allo sviluppo del bambino. Normalmente la loro crescita s’interrompe definitivamente con il raggiungimento dell’età adulta, quando lo sviluppo dell’individuo è completato La diagnosi della malattia è relativamente facile e si basa su un’attenta valutazione clinico-radiografica. L’EME colpisce circa una persona ogni 50.000, uomini e donne con pari possibilità. L’esostosi multipla è solitamente una malattia ereditaria, trasmessa al figlio da uno dei genitori (sette malati su dieci ereditano la malattia da uno dei genitori) e se un genitore n’è affetto, ci sono il 50% di possibilità che anche il figlio sviluppi la malattia.

[3] Potere, come noto, riconosciuto al giudice ordinario, in forza della legge L. 20 marzo 1865 n. 2248 all. E, artt. 4 e 5.

[4] In questo caso la donna affetta da una grave ed incurabile patologia genetica, sia per la conformazione fisica che per lo stato di salute generale, correrebbe gravi rischi dall’essere sottoposta a ripetuti interventi di stimolazione ovarica ovvero dall’eventualità di una gravidanza gemellare nel caso di attecchimento di tutti gli embrioni trasferiti.

[5] Trib. Cagliari (ord.) 16 luglio 2005. Per un primo commento sia consentito il rinvio a G. BALDINI, Libertà procreativa e fecondazione artificiale, ESI, Napoli, 2006, p. 155 ss; Trib. Cagliari, 25 settembre 2007, per la quale si rinvia a tecnologie riproduttive e tutela della persona . Verso un comune diritto europeo per la bioetica, Firenze, 2007 p. 149 ss.n

[6] Questa è l’impressione generale che è possibile trarre dalle prime contrastanti reazione all’indomani dell’uscita dell’ordinanza.

[7] Trib. Firenze 19 dicembre 2007,p. 5: “La parte ricorrente agisce a tutela del diritto alla salute proprio e del nucleo familiare, del diritto alla informazione nel caso di trattamento sanitario e del diritto di una libera e cosciente procreazione. Sono incontestati ed anzi ammessi come assolutamente corrispondenti al vero e riscontrati dalla parte convenuta i dati della sterilità della coppia e della malattia genetica che affligge il membro femminile della stessa”

[8] Trib. Firenze 19 dicembre 2007,p. 6: “ Articolo 13, L. 40/04: sperimentazione sugli embrioni umani commi 1 e 2 (…); D.M. 21 luglio 2004, art. 13 c.3 (…)” cui deve aggiungersi la L. 145/01 di ratifica della convenzione di Oviedo sulle biotecnologie che all’art. 12 espressamente consente i test genetici predittivi ove non perseguano finalità eugenetiche.

[9] Che stabilisce come “ogni indagine relativa allo stato di salute degli embrioni creati in vitro (…) dovrà essere di tipo osservazionale…”

[10] Secondo il Giudice “…è evidente che tale informazione non può essere collegata ad una fatua curiosità dei futuri genitori, ma deve evidentemente essere posta in relazione alla necessità che i trattamenti terapeutici siano accompagnati dalla informazione necessaria ad esprimere il necessario consenso (né qui importa richiamare la ampia giurisprudenza della S.C. che si è formata sul punto) come d’altra parte espressamente previsto dall’art. 4 lett. b) e dall’art. 6 (…in ogni fase di applicazione delle tecniche di procreazione…); ancora, la informazione deve essere ancorata alle disposizioni contenute nella legge 194/1978 due volte richiamata all’interno dello stesso art. 14 (….)”.

[11] Osserva il giudice (trib. Firenze, cit., p. 11, come “non può infatti tacersi che altra lettura della norma necessiterebbe il ricorso alla valutazione di costituzionalità. Non solo infatti la necessità di tutelare situazioni uguali in modo uguale (…), ma anche la tutela della salute di cui all’art. 32 Cost. (non può essere ignorato il richiamo della Corte Costituzionale alla tutela prioritaria del già nato rispetto al feto: v. per tutte Corte cost., 18.02.01975, n. 27 “Il danno o pericolo conseguente al protrarsi di una gravidanza può essere previsto, ma non è sempre immediato e non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute della madre che è già persona, e quello dell’embrione che persona deve ancora diventare”) e infine la necessità di salvaguardare la pari dignità di uomo e donna (art. 13 I° comma), impedendo quello che autorevole dottrina ha definito come la legislazione in ordine al corpo della donna come “luogo pubblico”, contro e oltre il suo privato convincimento, depongono per la lettura dell’art. 14 nel senso indicato”.

[12] Secondo il Tribunale di Firenze, cit., p. 10, in forza dei richiami operati dalla L. 40/04 alla L. 194/78 , “E’ pertanto evidente (…), la possibilità di ricorso all’IVG per problemi di salute della donna derivanti anche da previsioni di anomalie o malformazioni del feto, poiché tali anomalie vengono comunemente valutate colle tecniche ormai di accesso sociale della amniocentesi e della villocentesi, che altrettanta tutela deve essere riconosciuta alla donna alla quale l’impianto non è stato ancora praticato, coll’accesso alla diagnosi reimpianto. Veramente non solo irrazionale ma addirittura fuori dal senso morale è semplicemente pensare che si debba procedere all’impianto per poi, successivamente alla valutazione clinica del feto, procedere ad iun aborto, che questa sarebbe la conseguenza del riconoscere la esistenza di un divieto di diagnosi pre-impianto nella legge 40/04”

[13] Si legge nell’ordinanza fiorentina , cit., p. 8, come il Ministro “(…) ha creato un ulteriore divieto normativo aggiungendo ulteriori commi all’art. 13 con ciò violando il principio di legalità nonché le regole che presiedono alla gerarchia delle fonti e ai limiti del potere regolamentare ministeriale (art. 17 L. 400/1988) oltrechè ledendo il principio di tassatività che sovrintende la creazione del precetto penale (l’art. 13 infatti qualifica come reato il comportamento violativo dei precetti contenuti nello stesso articolo”

[14] Legge 28 marzo 2001, n.145 (pubblicata in Gazzetta Ufficiale 24 aprile 2001) Ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei diritti dell’uomo e della dignita’ dell’essere umano riguardo all’applicazione della biologia e della medicina: Convenzione sui diritti dell’uomo e sulla biomedicina, approvata ad Oviedo il 4 aprile 1997, nonche’ del Protocollo addizionale del 12 gennaio 1998, n. 168, sul divieto di clonazione di esseri umani..

[15] Come si ricorderà l’art. 4 della citata legge prevede che “Quando la contestazione cade sopra un diritto che si pretende leso da un atto dell’Autorità amministrativa, i Tribunali si limiteranno a conoscere degli effetti dell’atto stesso in relazione all’oggetto dedotto in giudizio. L’atto amministrativo non potrà essere revocato o modificato se non sovra ricorso alle competenti Autorità amministrative, le quali si conformeranno al giudicato dei Tribunali in quanto riguarda il caso deciso. L’art. 5 dispone che “ In questo come in ogni altro caso, le Autorità giudiziarie applicheranno gli atti amministrativi ed i regolamenti generali e locali in quanto siano conformi alle legge”.