In sede di convalida dell’arresto o del fermo, il difensore dell’indagato ha diritto di accedere agli atti su cui si fondano le richieste del P.M.

Nota a Corte di Cassazione - Sezioni Unite Penali, Sentenza 11 ottobre 2010, n. 36212
Con sentenza n. 36212 depositata lo scorso 11 ottobre, le Sezioni Unite Penali hanno affermato la sussistenza del diritto del difensore del soggetto sottoposto ad arresto o fermo di accedere agli atti relativi alla richiesta di convalida e di contestuale applicazione della misura cautelare.

Il fatto

All’esito della celebrazione dell’udienza di convalida del fermo operato dalla polizia giudiziaria, il Giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 17 ottobre 2009, applicava nei confronti dell’indagato la misura della custodia cautelare in carcere richiesta dal pubblico ministero.

In relazione a detta misura, successivamente confermata in sede di riesame dal Tribunale della libertà con ordinanza del 27 ottobre 2009, il difensore dell’indagato, con ulteriore istanza, ne chiedeva la revoca ai sensi dell’art. 302 del codice di procedura penale, eccependo la nullità assoluta dell’interrogatorio di convalida per il mancato accesso agli atti relativi alla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero.

Il Giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 30 ottobre 2009, respingeva l’istanza in questione ritenendo insussistente il vizio denunciato e, con le stesse motivazioni, veniva altresì rigettato l’appello proposto, ex art. 310 c.p.p., avverso tale decisione.

Sul punto, il Tribunale adito in sede di appello de libertate non riteneva, infatti, configurabile alcuna violazione dei diritti della difesa tale da rendere conseguentemente inefficace la misura cautelare disposta, considerato che, a differenza di quanto stabilito per l’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., nell’interrogatorio di convalida della misura “pre-cautelare” non è prevista alcuna nullità in caso di mancato deposito delle richieste formulate e della documentazione allegata dal P.M.

La Terza Sezione penale, investita del gravame di legittimità proposto dalla difesa avverso tale ordinanza, rimetteva, tuttavia, il ricorso alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito alla sussistenza del diritto del difensore della persona arrestata o fermata di accedere agli atti relativi alla libertà personale trasmessi dal pubblico ministero al giudice dell’udienza di convalida, a norma del comma 3 dell’art. 390 c.p.p.

La decisione della Corte

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte, nella sua composizione allargata, ha, innanzitutto, analizzato le caratteristiche funzionali e strutturali dei diversi procedimenti in cui si celebrano, da un lato, l’interrogatorio di convalida e, dall’altro, quello di garanzia, rilevando come in quest’ultimo, quale atto conclusivo del procedimento cautelare, l’indagato - avendo l’esigenza di sviluppare la propria difesa su una decisione giurisdizionale già adottata - debba necessariamente essere messo in condizione di avere previamente la disponibilità di tutti gli atti su cui quella decisione è stata adottata.

Proprio in tale prospettiva, quindi, la Corte di legittimità, richiamando precedenti pronunce (cfr. Sez. un., n. 26798 del 2005), nonché decisioni della Corte costituzionale (cfr. Sentenza n. 192 del 1997), ha valorizzato la funzione, nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia, della regola della previa discovery degli atti cautelari e del relativo avviso al difensore, ex art. 293, comma 3 c.p.p., non altrimenti surrogabile dalle guarentigie contestative offerte dall’art. 65 del codice di rito.

Con riferimento, invece, all’udienza di convalida disciplinata dall’art. 390 c.p.p., posta l’assenza di una previsione corrispondente a quella dettata per l’ordinario procedimento cautelare e considerati i ristretti termini ad horas in cui la stessa deve essere celebrata ai sensi dell’art. 13 della Carta costituzionale, le Sezioni Unite hanno rilevato l’impossibilità di replicare pedissequamente le regole sulla conoscenza degli atti da parte del difensore stabilite ai fini dell’interrogatorio di garanzia.

Ciononostante, i giudici di legittimità hanno evidenziato come non possa essere , tuttavia, trascurata la previsione dettata dall’art. 294, comma 1, c.p.p., a norma del quale il giudice è tenuto a procedere all’interrogatorio di garanzia, pena, altrimenti, la perdita di efficacia della custodia cautelare ex art. 302 dello stesso codice, salvo che all’interrogatorio abbia già provveduto "nel corso della udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto".

A parere della Corte, infatti, il codice di rito, nello stabilire un’equivalenza di effetti tra i due atti, evocherebbe chiaramente una valutazione legalmente tipizzata di “equipollenza” tra le finalità di garanzia che entrambi gli interrogatori sono destinati a svolgere nella dinamica del procedimento cautelare, dalla quale conseguentemente poter dedurre che la posizione dell’indagato, in merito alla conoscenza degli elementi necessari per articolare la propria difesa, debba essere strutturalmente “equivalente” nelle due sedi.

In tale prospettiva, pertanto, l’invocata possibilità per la difesa di conoscere direttamente e integralmente tutti gli elementi che formano oggetto della richiesta di convalida e di applicazione della misura non costituirebbe che un’espressione della realizzazione di quel contraddittorio stabilito e tutelato dall’art. 111 della Carta Costituzionale.

Orbene, a parere delle Sezioni Unite, la previsione che, nel corso dell’udienza di convalida, il pubblico ministero - se presente - o il giudice, sulla base delle richieste e degli atti trasmessi dalla parte pubblica, indichino i motivi dell’arresto o del fermo, esponendo le richieste in ordine alla libertà personale, non appare sufficiente a qualificare tale attività, meramente “illustrativa”, come esaustiva ai fini della conoscenza degli atti e dell’approntamento di una difesa effettiva.

Come ampiamente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. deve essere interpretato quale potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che, in relazione a ciascun tipo di procedimento o di fase processuale, “venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti” (cfr. Corte cost. ordinanze nn. 291 e 230 del 2005 e sentenza n.175 del 1996).

Sotto altro profilo, poi, considerato che l’accesso agli atti rappresenta una disposizione di carattere generale in favore di chiunque vi abbia interesse (art. 116 c.p.p.) e che gli atti di indagine sono coperti dal segreto, a norma dell’art. 329, solo fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, i giudici di legittimità hanno ritenuto irragionevole precludere al difensore il diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti relativi alla udienza di convalida.

Infine, non priva di considerazione è altresì risultata, nel ragionamento della Suprema Corte, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che, analizzando l’articolo 6 della CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) nella parte in cui esige che le autorità procedenti comunichino alla difesa tutte le prove pertinenti in loro possesso, ha, in più occasioni, affermato come il diritto dell’imputato ad un processo equo si sostanzi anche nella facoltà di prendere conoscenza delle osservazioni o degli elementi di prova prodotti dall’altra parte (Brandstetter c. Austria, 28 agosto 1991, ed Edwards c. Regno Unito, 16 dicembre 1992).

Sulla base di tali principi, le Sezioni Unite hanno, quindi, riconosciuto la sussistenza del diritto del difensore di accedere agli atti che costituiscono la base del giudizio di convalida della misura “pre-cautelare” e della decisone sull’eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti dell’arrestato o del fermato, precisando altresì come l’eventuale violazione dell’esercizio di tale diritto determini una nullità di ordine generale a regime intermedio, sia dell’interrogatorio, che della decisione di convalida, come tale sanabile a norma dell’art. 182, comma 2, c.p.p., ove non eccepita nell’udienza di convalida.

Con sentenza n. 36212 depositata lo scorso 11 ottobre, le Sezioni Unite Penali hanno affermato la sussistenza del diritto del difensore del soggetto sottoposto ad arresto o fermo di accedere agli atti relativi alla richiesta di convalida e di contestuale applicazione della misura cautelare.

Il fatto

All’esito della celebrazione dell’udienza di convalida del fermo operato dalla polizia giudiziaria, il Giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 17 ottobre 2009, applicava nei confronti dell’indagato la misura della custodia cautelare in carcere richiesta dal pubblico ministero.

In relazione a detta misura, successivamente confermata in sede di riesame dal Tribunale della libertà con ordinanza del 27 ottobre 2009, il difensore dell’indagato, con ulteriore istanza, ne chiedeva la revoca ai sensi dell’art. 302 del codice di procedura penale, eccependo la nullità assoluta dell’interrogatorio di convalida per il mancato accesso agli atti relativi alla richiesta di misura cautelare avanzata dal pubblico ministero.

Il Giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 30 ottobre 2009, respingeva l’istanza in questione ritenendo insussistente il vizio denunciato e, con le stesse motivazioni, veniva altresì rigettato l’appello proposto, ex art. 310 c.p.p., avverso tale decisione.

Sul punto, il Tribunale adito in sede di appello de libertate non riteneva, infatti, configurabile alcuna violazione dei diritti della difesa tale da rendere conseguentemente inefficace la misura cautelare disposta, considerato che, a differenza di quanto stabilito per l’interrogatorio di garanzia di cui all’art. 294 c.p.p., nell’interrogatorio di convalida della misura “pre-cautelare” non è prevista alcuna nullità in caso di mancato deposito delle richieste formulate e della documentazione allegata dal P.M.

La Terza Sezione penale, investita del gravame di legittimità proposto dalla difesa avverso tale ordinanza, rimetteva, tuttavia, il ricorso alle Sezioni Unite, rilevando l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale in merito alla sussistenza del diritto del difensore della persona arrestata o fermata di accedere agli atti relativi alla libertà personale trasmessi dal pubblico ministero al giudice dell’udienza di convalida, a norma del comma 3 dell’art. 390 c.p.p.

La decisione della Corte

Con la pronuncia in esame, la Suprema Corte, nella sua composizione allargata, ha, innanzitutto, analizzato le caratteristiche funzionali e strutturali dei diversi procedimenti in cui si celebrano, da un lato, l’interrogatorio di convalida e, dall’altro, quello di garanzia, rilevando come in quest’ultimo, quale atto conclusivo del procedimento cautelare, l’indagato - avendo l’esigenza di sviluppare la propria difesa su una decisione giurisdizionale già adottata - debba necessariamente essere messo in condizione di avere previamente la disponibilità di tutti gli atti su cui quella decisione è stata adottata.

Proprio in tale prospettiva, quindi, la Corte di legittimità, richiamando precedenti pronunce (cfr. Sez. un., n. 26798 del 2005), nonché decisioni della Corte costituzionale (cfr. Sentenza n. 192 del 1997), ha valorizzato la funzione, nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia, della regola della previa discovery degli atti cautelari e del relativo avviso al difensore, ex art. 293, comma 3 c.p.p., non altrimenti surrogabile dalle guarentigie contestative offerte dall’art. 65 del codice di rito.

Con riferimento, invece, all’udienza di convalida disciplinata dall’art. 390 c.p.p., posta l’assenza di una previsione corrispondente a quella dettata per l’ordinario procedimento cautelare e considerati i ristretti termini ad horas in cui la stessa deve essere celebrata ai sensi dell’art. 13 della Carta costituzionale, le Sezioni Unite hanno rilevato l’impossibilità di replicare pedissequamente le regole sulla conoscenza degli atti da parte del difensore stabilite ai fini dell’interrogatorio di garanzia.

Ciononostante, i giudici di legittimità hanno evidenziato come non possa essere , tuttavia, trascurata la previsione dettata dall’art. 294, comma 1, c.p.p., a norma del quale il giudice è tenuto a procedere all’interrogatorio di garanzia, pena, altrimenti, la perdita di efficacia della custodia cautelare ex art. 302 dello stesso codice, salvo che all’interrogatorio abbia già provveduto "nel corso della udienza di convalida dell’arresto o del fermo di indiziato di delitto".

A parere della Corte, infatti, il codice di rito, nello stabilire un’equivalenza di effetti tra i due atti, evocherebbe chiaramente una valutazione legalmente tipizzata di “equipollenza” tra le finalità di garanzia che entrambi gli interrogatori sono destinati a svolgere nella dinamica del procedimento cautelare, dalla quale conseguentemente poter dedurre che la posizione dell’indagato, in merito alla conoscenza degli elementi necessari per articolare la propria difesa, debba essere strutturalmente “equivalente” nelle due sedi.

In tale prospettiva, pertanto, l’invocata possibilità per la difesa di conoscere direttamente e integralmente tutti gli elementi che formano oggetto della richiesta di convalida e di applicazione della misura non costituirebbe che un’espressione della realizzazione di quel contraddittorio stabilito e tutelato dall’art. 111 della Carta Costituzionale.

Orbene, a parere delle Sezioni Unite, la previsione che, nel corso dell’udienza di convalida, il pubblico ministero - se presente - o il giudice, sulla base delle richieste e degli atti trasmessi dalla parte pubblica, indichino i motivi dell’arresto o del fermo, esponendo le richieste in ordine alla libertà personale, non appare sufficiente a qualificare tale attività, meramente “illustrativa”, come esaustiva ai fini della conoscenza degli atti e dell’approntamento di una difesa effettiva.

Come ampiamente ribadito dalla giurisprudenza costituzionale, infatti, il diritto di difesa garantito dall’art. 24 Cost. deve essere interpretato quale potestà effettiva di assistenza tecnica e professionale nello svolgimento di qualsiasi processo, in modo che, in relazione a ciascun tipo di procedimento o di fase processuale, “venga assicurato il contraddittorio e venga rimosso ogni ostacolo a far valere le ragioni delle parti” (cfr. Corte cost. ordinanze nn. 291 e 230 del 2005 e sentenza n.175 del 1996).

Sotto altro profilo, poi, considerato che l’accesso agli atti rappresenta una disposizione di carattere generale in favore di chiunque vi abbia interesse (art. 116 c.p.p.) e che gli atti di indagine sono coperti dal segreto, a norma dell’art. 329, solo fino a quando l’imputato non ne possa avere conoscenza, i giudici di legittimità hanno ritenuto irragionevole precludere al difensore il diritto di prendere visione ed estrarre copia degli atti relativi alla udienza di convalida.

Infine, non priva di considerazione è altresì risultata, nel ragionamento della Suprema Corte, la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che, analizzando l’articolo 6 della CEDU (Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali) nella parte in cui esige che le autorità procedenti comunichino alla difesa tutte le prove pertinenti in loro possesso, ha, in più occasioni, affermato come il diritto dell’imputato ad un processo equo si sostanzi anche nella facoltà di prendere conoscenza delle osservazioni o degli elementi di prova prodotti dall’altra parte (Brandstetter c. Austria, 28 agosto 1991, ed Edwards c. Regno Unito, 16 dicembre 1992).

Sulla base di tali principi, le Sezioni Unite hanno, quindi, riconosciuto la sussistenza del diritto del difensore di accedere agli atti che costituiscono la base del giudizio di convalida della misura “pre-cautelare” e della decisone sull’eventuale richiesta di applicazione della misura cautelare nei confronti dell’arrestato o del fermato, precisando altresì come l’eventuale violazione dell’esercizio di tale diritto determini una nullità di ordine generale a regime intermedio, sia dell’interrogatorio, che della decisione di convalida, come tale sanabile a norma dell’art. 182, comma 2, c.p.p., ove non eccepita nell’udienza di convalida.