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Senso e significato di maternità

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Senso e significato di maternità

Oggi ci si occupa della maternità, come della genitorialità in generale, sempre più in termini problematici, dalla maternità ossessiva alla maternità surrogata, ma sarebbe il caso di soffermarsi sull’essenza della maternità anche per far fronte alla cosiddetta “eclissi della genitorialità” e al fenomeno dei “nuovi orfani educativi”.

Principio ispiratore della disciplina della maternità è e rimane l’art. 31 comma 2 della Costituzione: “[La Repubblica] Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo”. Si noti che il Costituente ha parlato di maternità a conclusione dei tre articoli dedicati alla famiglia e insieme all’infanzia e alla gioventù proprio per sottolinearne l’importanza, richiamata anche dall’uso del verbo “proteggere” e non “tutelare” come nelle altre fattispecie. “Proteggere”, dal latino “protegere”, composto di “pro”, davanti, e “tegere”, coprire, quindi dà l’idea di dare cura, calore, riparo: ciò di cui hanno bisogno le fasi più importanti della vita, le culle della vita. La maternità va protetta, prevenuta, preservata, ma non pretesa, soprattutto a discapito di coloro che non hanno voce. La maternità è uno stato, per cui non esistono i diritti alla maternità ma i diritti della maternità.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive sulla maternità: “È bello sapere che possiamo non soltanto riprodurci, compito di straordinaria importanza e quanto mai impegnativo, ma anche produrre, generare e creare nelle piccole e grandi circostanze della vita qualcosa che ancora non c’è, almeno nella forma che noi e soltanto noi siamo capaci di dare. Siamo tutti cercatori e produttori di senso: la fertilità è un vero e proprio bisogno di tutti noi. […] C’è un solo modo per evitare di avvitarsi sulla falsa idea e sul pensiero fisso che, senza figli, una donna sia in qualche modo incompleta: scoprire quanto si possa essere fertile nei mille modi in cui una donna è capace di arricchire se stessa e il mondo con la propria intelligenza e la propria capacità di amare. Una donna si snatura se diviene avara nei suoi sentimenti: madre o non madre, ha bisogno degli altri e gli altri hanno bisogno di lei”. La femminilità è di per sé fertilità (entrambi i vocaboli hanno la stessa radice etimologica “fe”), è differenziarsi e differenziare, esprimere la genialità della vita, dare un apporto proprio, portare una voce altra nel concerto della vita. La maternità non è generare figli ma generare amore materno e fecondo, quello di cui hanno bisogno tutti i bambini. Si ha la traduzione giuridica di ciò nell’art. 6 comma 2 della legge 184/1983 novellata nel 2001, cosiddetta “legge sull’adozione”, ove si richiede l’“essere affettivamente idonei e capaci di educare, istruire e mantenere i minori che intendano adottare”, e in più punti della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, tra cui il Preambolo, in cui dopo il riferimento alla famiglia si dice che “il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione”.

La maternità è a lungo attesa e desiderata da molte donne, ma il mito della maternità come il momento più bello della vita, di amore assoluto tra madre e figlio, non è realistico. La maternità non è scontata così come non lo è il senso materno. Bisogna considerare che intorno alla maternità si possono generare tante problematiche o situazioni (oltre alla nota depressione post partum) come la necessità dell’educazione alla paternità o la cosiddetta “invidia del pancione” per le coppie sterili. Per sensibilizzare la comunità è stata istituita la Giornata mondiale della salute mentale materna. Ogni maternità riguarda non solo la persona interessata ma tutti, perché come scrive lo psicoanalista Massimo Recalcati: “La maternità è un’esperienza complessa, fisica ed emotiva. Ma solo nella madre possiamo trovare la salvezza dal senso di vuoto”.

“Solo una madre sa comunicare amore senza dire una parola” (citazione attribuita allo scrittore francese Alphonse de Lamartine). La maternità deve essere comunicazione e amore, comunicazione d’amore, anche nei confronti della paternità, altrimenti rischia di diventare altro come, per esempio, la patologia delle cure, tra cui l’ipercuria.

I giovani di ogni tempo e di ogni luogo hanno bisogno di maternità, del senso di maternità, ovvero di autenticità. Maternità è autenticità, come quella che non si può celare nel momento delle doglie. Alcuni giovani si disorientano e si smarriscono perché viene a mancare questa maternità e questa autenticità e sono alla ricerca di una bussola che viene sostituita da surrogati.

“Ogni neonato prematuro ha diritto ad usufruire dei benefici del latte materno durante tutta la degenza e, non appena possibile, di essere allattato al seno della propria mamma” (art. 5 Carta dei diritti del bambino nato prematuro). L’abbraccio nell’allattamento, sollecitudine e trepidazione: espressioni della maternità. Cure e cuore: quello che dovrebbe unire per sempre madre e figlio.

Lo sguardo materno: “Ho pensato […] al tuo sguardo meraviglioso e profondo, colmo di pace; l’ho ricevuto in dono all’inizio del mio viaggio, come il primo bagliore dell’alba, ed è stato per me luce e sostentamento da portare lungo il cammino” (lo scrittore indiano Rabindranath Tagore in “La casa e il mondo”). Lo sguardo materno: il primo che un figlio cerca e riconosce, quello che segue un figlio per tutta la vita e oltre la vita. “Maternità” comincia con “ma”, come maestria, malattia, magia e malinconia, componenti che non mancano nella vita di una mamma.

“E una mamma ama veramente quando incontra la libertà di suo figlio, che potrà anche sbagliare, ma per lei sarà sempre la sua vita! E sei madre sempre! […] Essere “madre” non è legato al generare fisicamente ma a quel darsi gratuitamente per l’altro senza la pretesa di una qualsiasi retribuzione” (cit.). Maternità è dare la vita alla libertà e nella libertà, altrimenti è una maternità soffocante o peggio ancora.  

Secondo Massimo Recalcati «maternità è l’eccomi di chi risponde al grido dell’infante che cerca senso, cura, corpo, parola che è luce. “Sei qui perché desiderato”». La maternità, e in generale la genitorialità, è responsabilità, abilità nel rispondere, nel dare risposte con senso e non solo sentimento.

“Le domande che si fanno i giovani sono queste: «Come posso reggere allo spettacolo di un mondo che funziona anche senza di me?». E allora faccio questo sforzo faticoso di seminare la speranza. Dico no alle guerre, sì al dialogo. E nonostante le difficoltà, l’alternativa odierna è quella di tracciare un’altra strada, la cultura della pace” (don Andrea Gallo). La società, come ogni comunità (da quella familiare a quella religiosa), dovrebbe essere “madre” nel senso di generatrice di speranza: così si sostiene e si solleva l’infanzia e la gioventù.

Donna dal latino “domina”, signora, padrona. Quante donne esprimono al peggio la “signoria sulla vita” volendo primeggiare, troneggiare o, addirittura, tiranneggiare in famiglia, nella scuola, nell’ambiente di lavoro, nella vita di un uomo mettendo in cattiva luce o ignorando o marginalizzando le altre donne solo perché queste hanno la sventura di essere altre donne, sorelle, compagne di scuola, colleghe, suocere, cognate, single. Alcune donne si rendono protagoniste di forme sottili o palesi di violenza psicologica, bullismo, mobbing e stalking al femminile proprio perché il senso di maternità non è né innato né tipicamente femminile (non a caso il congedo parentale è riconosciuto anche al padre del neonato). Anche se la donna, per le sue peculiarità e potenzialità, dovrebbe essere fonte di vita e rispetto per la vita in ogni modo, al di là della maternità.

Mare di emozioni, montagne da scalare, mani con cui accarezzare e fare di tutto di più, marmi da estrarre e scolpire, meraviglie da realizzare, muri da costruire o da abbattere, minestre da preparare e imboccare, misure da prendere, mostri contro cui combattere... Questo ed altro ancora è la maternità.

“[…] un genitore fa un figlio perché percorra la sua via, tanto è vero che lo educa al cammino. Se l’uomo educa i figli al cammino vuol dire che in fin dei conti, malgrado la gioia che gli hanno dato, desidera rimanere solo. Il figlio è così sensibile da sentire questo abbandono fin dal grembo materno. Lui non conoscerà mai le ferite della madre, né la madre le ferite del figlio. La nascita dell’uomo prevede il grande taglio” (Alda Merini). “Ogni bambino ci dice a suo modo la bellezza e le ferite della vita e ci richiama così alla nostra responsabilità. La sua nascita rappresenta una esperienza nuova per l’umanità che gli deve ciò che ha di meglio” (dalla Charte du B.I.C.E. di giugno 2007). Le ferite sono inevitabili, perché sono feritoie attraverso cui si vede la vita ed entra la luce. Bisogna educare i propri figli alle ferite di ogni genere ma non provocarle; deleterie soprattutto le cosiddette ferite abbandoniche, perché il senso di abbandono non abbandona mai chi l’ha subìto. La prima cicatrice è l’ombelico da cui l’essere umano impara cosa sia dare l’amore, dare la vita e la necessità nella vita anche dell’autonomia e dell’allontanamento.

“Quando il cuore è arato dal dolore diventa terreno fertile per un amore fecondo” (cit.). Un cuore solcato o spezzato è un cuore aperto che si fa in due e quindi non è solo: tutto ciò che si divide in realtà si moltiplica e, pertanto, aumenta. È anche questo il senso del bene, del voler bene. Il primo esempio è la mamma, perché la maternità è segnata dal dolore, dalle doglie del parto all’atrocità della perdita precoce di un figlio per incidente o malattia o altro.

La Pietà di Michelangelo è l’immagine della maternità, perché la maternità è offrire il figlio e soffrire per il figlio.

Maternità: amore e dolore, braccia che tengono figli, braccia che attendono figli.