Servitù di passaggio e mancata citazione di tutti i soggetti portatori di interessi contrari a quello dell'istante
Servitù di passaggio e mancata citazione di tutti i soggetti portatori di interessi contrari a quello dell'istante
La mancata citazione a giudizio di tutti i proprietari dei fondi intercludenti non comporta l’inammissibilità della relativa domanda, dovendosi applicare l’art. 102 comma 2 c.p.c., il quale conferisce al Giudice il potere di ordinare l’integrazione del contraddittorio.
Failure to summon all the owners of the enclosing lands to court does not imply the inadmissibility of the relevant application, as art. 102 paragraph 2 c.p.c., which gives the Judge the power to order the integration of the cross-examination.
La Cassazione Seconda Sezione Civile, con ordinanza n. 32528 del 23.11.2023, ha disposto, ai sensi dell’art. 374, comma 2, c.p.c., la trasmissione del ricorso al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, che si presenta di massima di particolare importanza, relativa agli effetti conseguenti alla mancata evocazione in giudizio, nel caso di proposizione della domanda per l’ottenimento del riconoscimento del diritto alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, di uno o più dei plurimi proprietari (o, eventualmente, titolari di altri diritti reali) dei fondi intercludenti, in particolare allo scopo di verificare se sussistano i presupposti per confermare l’arresto delle Sezioni Unite (di cui alla sentenza n. 9685 del 2013) o se - diversamente - non si ricada in una ipotesi di litisconsorzio necessario oppure in un caso in cui si debba pervenire ad una mera pronuncia di rito e non di merito.
La questione è la seguente: quando si chiede al Giudice di emettere una sentenza la quale accerti il diritto alla costituzione di una servitù coattiva di passaggio, occorre citare in giudizio tutti i proprietari dei fondi serventi, oppure è sufficiente che solo alcuni di questi vengano citati? Nella fattispecie i proprietari citati opponevano che i proprietari di altri fondi, anche questi “serventi”, non erano stati convenuti in giudizio, e, sulla base di ciò, contestavano la domanda degli attori.
La servitù coattiva di passaggio è disciplinata dagli artt. 1051 – 1055 c.c. .
L’art. 1051 c.c. stabilisce che “il proprietario, il cui fondo è circondato da fondi altrui, e che non ha uscita sulla via pubblica né può procurarsela senza eccessivo dispendio o disagio, ha diritto di ottenere il passaggio sul fondo vicino”.
La norma precisa che “il passaggio si deve stabilire in quella parte per cui l'accesso alla via pubblica è più breve e riesce di minore danno al fondo sul quale è consentito”.
Tale principio potrebbe essere applicato anche nel caso in cui vi sia una “pluralità” di fondi serventi:
potrebbe, infatti, accadere che, al fine di ottenere il passaggio, non sia necessario che quest’ultimo venga concesso da parte di “tutti” i proprietari dei fondi ipoteticamente serventi (Tizio, Caio e Sempronio), essendo sufficiente che esso venga concesso anche solo da parte di “alcuni” di questi proprietari (Tizio e Caio), e ciò in base allo stato dei luoghi, in quanto Mevio, transitando su questi fondi, avrebbe un “accesso più breve” alla via pubblica, mentre, nel caso in cui dovesse attraversare il fondo di Sempronio, arriverebbe a tale via con tempi più lunghi e quindi in maniera per lui meno comoda.
Tuttavia, la norma pone anche un’altra condizione, ossia che l’accesso alla via pubblica avvenga con “minore danno al fondo sul quale è consentito”.
Il passaggio sui fondi di Tizio e Caio potrebbe recare a questi ultimi un incomodo maggiore di quello che invece subirebbe Mevio qualora il passaggio avvenisse sul fondo di quest’ultimo, e quindi in tal caso Tizio e Caio, legittimamente, in base allo stesso art. 1051 c.c., chiedono che venga citato in giudizio anche Mevio, al fine di ottenere dal Giudice una pronuncia la quale costituisca la servitù solo ed esclusivamente sul fondo di Mevio.
Pertanto, dal momento che la costituzione della servitù di passaggio soltanto su “alcuni” fondi, anziché su “tutti”, è subordinata al rispetto di determinate condizioni, tra cui il minor aggravio possibile per i fondi stessi, Mevio, nel proporre la domanda giudiziale, dovrebbe convenire in giudizio “tutti” i proprietari, dopo di che sarà il Giudice a stabilire su quali fondi la servitù debba effettivamente essere costituita.
A norma dell’art. 102 comma 1 c.p.c., “se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo”. La parola “debbono” dovrebbe implicare quanto segue: la parte, nel momento in cui decide di proporre una domanda giudiziale, “deve” sapere che quest’ultima, in base alla legge, va proposta nei confronti di “tutti” coloro i quali potrebbero essere condannati a concedere ad essa il beneficio richiesto. Nel caso della servitù, Mevio dovrebbe sapere che quest’ultima, in base all’art. 1051 c.c. (“minore danno al fondo sul quale è consentito il passaggio”) potrebbe essere costituita, ipoteticamente, su qualsiasi dei fondi interessati, in quanto il Giudice deve poter fare una valutazione comparativa dei danni che conseguirebbero alla costituzione della servitù stessa.
Tale tesi si basa su un “onere di conoscenza” della normativa che disciplina la fattispecie: chi agisce in giudizio è tenuto a sapere che tale normativa, per poter essere applicata in senso favorevole all’accoglimento della domanda, presuppone, richiede ed implica che vengano citati in giudizio “tutti” i soggetti astrattamente interessati alla vicenda processuale, in quanto portatori di interessi contrari a quello dell’istante (vedi, appunto, l’art. 1051 c.c.).
Il carattere imperativo della norma “debbono essere convenute nello stesso processo” appare rafforzato dall’art. 101 comma 1 c.p.c., che così dispone: “il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa”. Impossibilità di statuire vuol dire che la domanda viene presa in esame ma è “improcedibile”, in quanto è vero che quest’ultima è stata proposta contro “tutti” i soggetti titolari di interessi contrari a quello dell’istante, ma è altresì vero “alcuni” di questi non sono stati “citati regolarmente”, ossia sull’atto di citazione è stato effettivamente scritto il loro nome ma la citazione non è stata a loro correttamente notificata, in modo da consentirgli di esercitare utilmente il diritto di difesa.
Ebbene, nel diverso caso in cui la domanda giudiziale non sia stata neanche “proposta” contro i soggetti sopra citati, nel senso che sull’atto di citazione non compare neanche il loro nome (proprio ciò che è accaduto nella fattispecie in esame), si dovrebbe stabilire per essa la sanzione della totale “inammissibilità”, che è un qualcosa di più grave della “improcedibilità”, in quanto in tal caso chi agisce non si è preoccupato di verificare preventivamente “contro chi” esercitare l’azione, dimostrando quindi “colpa grave”, ossia negligenza, nella tutela dei propri interessi e rischiando addirittura un condanna alle spese per “lite temeraria” ex art. 96 c.p.c. .
Di conseguenza, una domanda di costituzione della servitù, la quale sia stata “proposta” contro solo “alcuni” dei soggetti titolari di interessi contrari a quello dell’istante, ossia solo contro i proprietari di “alcuni” fondi, appare destinata ad essere considerata come “inammissibile”, in quanto, appunto, non proposta contro “tutti” i soggetti che invece la legge vuole siano coinvolti nel procedimento.
Tuttavia, la tesi sopra esposta presenta delle criticità.
Lo stesso art. 102 c.p.c, al comma 2, prevede che, nel caso in cui la domanda sia proposta solo contro “alcune” delle parti la cui partecipazione è prevista dalla legge come essenziale ai fini della decisione, il Giudice “ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito”.
Pertanto, il comma 2, attribuendo al Giudice il potere di disporre la citazione delle altre parti illegittimamente non citate, prevede un principio di sostanziale “conservazione della validità” della domanda giudiziale proposta, il quale sembra sminuire la rilevanza dell’imperatività della norma prevista dal comma 1 (“debbono essere convenute nello stesso processo”). Ciò, quindi, a sua volta sembra ridimensionare il principio secondo cui chi agisce in giudizio è tenuto a sapere contro chi la domanda debba essere indirizzata e pertanto a citare “tutti”, nessuno escluso, i soggetti astrattamente portatori di un interesse processuale opposto al suo, in quanto, nel caso di mancata citazione, è comunque previsto un intervento sostitutivo del Giudice, il quale, di ufficio, integra il contraddittorio.
Per individuare quale delle due tesi sia maggiormente sostenibile, si potrebbero esaminare i casi nei quali il Giudice non può rilevare di ufficio una questione non posta dall’istante, il che comporta il definitivo rigetto della domanda.
Uno di questi è quello della prescrizione, la quale, ex art. 2938 c.c., non può essere rilevata di ufficio nel caso in cui non sia stata eccepita dalla parte (debitore) contro la quale l’azione giudiziale è stata proposta.
Sul punto si osserva quanto segue.
Il convenuto, eccependo la prescrizione, potrebbe far accertare dal Giudice l’estinzione della pretesa del creditore a causa del decorso del termine stabilito dalla legge per la sua esigibilità. In tal caso, il Giudice non può dichiarare di ufficio tale estinzione, se il convenuto, ossia colui contro il quale la domanda è stata proposta, non la fa rilevare con un’apposita contestazione. Pertanto, in mancanza di quest’ultima, il Giudice, ove riconosca come fondata la pretesa, condannerà il debitore al relativo pagamento.
Allora, il discorso è il seguente: come il Giudice, nel caso di mancata contestazione ad opera della parte interessata (in tal caso, il convenuto), può soddisfare la richiesta oggetto della domanda anche quando quest’ultima, in base alla legge, non è più esigibile, allo stesso modo egli, nel caso in cui la domanda sia stata proposta solo contro “alcuni” dei soggetti portatori di un interesse contrario a quello dell’istante, potrà, anziché rigettare la stessa considerandola come inammissibile, ordinare lui, al posto dell’istante, l’integrazione del contraddittorio, esercitando il potere che gli viene attribuito dall’art. 102 comma 2 c.p.c., il quale quindi prevale sull’obbligo della parte, sancito dal comma 1 della stessa norma, di convenire in giudizio “tutti” i soggetti nei cui confronti la decisione giudiziale potrebbe produrre effetti.
Se il mancato adempimento di un onere processuale, quale l’eccezione di prescrizione, non osta a che la domanda venga accolta, pur se la richiesta che ne è oggetto dovrebbe essere rigettata (appunto a seguito dell’intervenuta prescrizione), anche il mancato adempimento dell’onere processuale, consistente nel citare “tutti” i soggetti portatori di interessi nel procedimento giudiziale, non dovrebbe essere di ostacolo all’esame della domanda, potendo tale inadempimento essere colmato dall’intervento del Giudice.
Alla luce di tali considerazioni, si deve ritenere che la mancata citazione a giudizio di tutti i proprietari dei fondi intercludenti non comporti l’inammissibilità della relativa domanda, dovendosi applicare l’art. 102 comma 2 c.p.c., il quale conferisce al Giudice il potere di ordinare l’integrazione del contraddittorio