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Shelley Jackson e le parole che si ammalano e muoiono

il titolo dell'opera tatuato
il titolo dell'opera tatuato

Se c’è  una cosa certa nella vita è la parola.

Il cantautore italiano Pacifico canta “Le mie parole sono sassi, Precisi aguzzi pronti da scagliare, su facce vulnerabili e indifese”.

Quante volte, poi, abbiamo detto o sentito dire “Verba volant, scripta manent”?

Le parole sono colpi d’ascia incisi nel legno, solchi incisi con lo scalpello su tavole di pietra senza tempo, che rimangono per sempre, anche se arriva la morte di chi le ha scritte.

Non sembra pensarla così, però, la scrittrice statunitense Shelley Jackson, che nell’agosto del 2003 ha lanciato un progetto unico e affascinante, SKIN, ovvero l’idea di poter scrivere un racconto di duemilanovecentocinque parole tatuandone una sul corpo di altrettante persone che volontariamente si siano concesse a questo strano e, a tratti, inquietante esperimento attraverso la call Become a word!”. Un modo di rendere mortale la parola immortale, un legame di persone e lettere che invecchiano, si ammalano e scompaiono, proprio come gli esseri umani.

La Jackson, californiana, classe 1963, scrittrice eccentrica, autrice dell’ipertesto "Patchwork Girl", una sorta di rielaborazione della storia di Frankenstein, e di una bella raccolta di racconti “La melancolia del corpo”, pubblicata in Italia per Minimum Fax, ha creato un sito dedicato al monumentale progetto, per seguire l’evoluzione e la corretta assegnazione di tutte la parole.

Dal sito medesimo si può evincere la distribuzione delle richieste, la maggior parte pervenute dagli Stati Uniti, sulla East Coast, un corposo numero dall’Inghilterra, una sola in tutto il continente africano, nessuna in Italia, mentre la più vicina a noi, “Where”, si trova in Francia, a Marsiglia.

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L’autrice ha dichiarato che con la morte delle parole il testo si modificherà, cambierà e, con il decesso dell’ultima persona custode dell’ultima parola, se ne andrà anche il racconto, l’opera d’arte dalla stessa scrittrice dichiarata mortale. La Jackson si è anche impegnata a partecipare, ove possibile, al funerale delle sue parole.

E se due parole si incontrassero, si innamorassero, si sposassero e avessero figli? Che accadrebbe? La Jackson ha risposto in una intervista in questo modo: “Uno dei miei volontari mi ha domandato se, per ipotesi, potesse lasciare la sua parola ai figli, creando – se tutti gli altri avessero seguito l’esempio – una seconda edizione, così che la storia potesse continuare a vivere. La storia appartiene alle parole che la costituiscono, e mi interesserà sapere se esse prenderanno iniziative contro la sua fine. Ma per come ho definito il progetto, anche le successive storie più brevi che saranno create a causa di quelle morti saranno pienamente legittimate, fino alla storia di un’unica parola che sarà la sua forma finale”.

Ma il racconto “Skin” com’è? Di cosa parla?
Nessuno di noi può saperlo, il racconto vive e si compone solo attraverso le 2095 persone più l’autrice stessa, che si è fatta tatuare sul polso il titolo del testo scritto con il font “Baskerville”, tra i più antichi e usati in editoria (ad esempio dall’editore italiano Adelphi). I volontari hanno tutti ricevuto una copia del racconto completo, e attualmente sono gli unici a conoscerne il contenuto.

Ad oggi, il progetto sembra abbandonato, o in fase di stallo.

L’ultimo aggiornamento disponibile sul sito della scrittrice risale a più di dieci anni orsono (20 aprile 2010) e parla di un insieme di volontari che avrebbero accettato di partecipare al lavoro pari a 1875 sui 2095 necessari, con un numero di effettivi partecipanti pari a 1449 e 1445 parole concretamente assegnate. Quelle davvero tatuate sarebbero però soltanto 553, circa un quarto del totale.  Chissà oggi, dieci anni dopo, quale sarà lo stato dei lavori. Saranno stati abbandonati?  Probabilmente la mole delle richieste (oltre ventimila mail ad aprile 2010) ha reso impossibile la gestione del progetto e fatto desistere l’autrice dalla realizzazione dell’opera, davvero complessa e di difficile controllo.

Un ulteriore dato singolare di questo progetto davvero particolare è che sul sito, tra i dati statistici, non è dato sapere quanti dei partecipanti siano morti nel corso degli anni (ormai 16) e con loro le parole assegnate, e questo rende l’opera infinita e infinitamente fallibile. Ma forse è proprio questo il fascino del lavoro della Jackson, l’aver iniziato qualcosa che non potrà mai concludersi davvero o, quantomeno, resistere nel tempo, come un libro di carta o come qualcosa che, comunque, si consuma e muore.

Le parole, come gli esseri umani, vivono e se ne vanno, lasciando ricordi e sensazioni.