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Smart working nella PA: nuovo Dpcm, dal 15 ottobre si torna in presenza

Cosa cambia per i dipendenti pubblici? E quali saranno i nuovi contratti nazionali per lo smart working?
Smart working nella PA
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Smart working nella PA: cosa dice il nuovo Dpcm?

Smart working: l’obiettivo del nuovo Dpcm è far rientrare in ufficio la maggioranza dei dipendenti pubblici entro il 2022.

Renato Brunetta, ministro della Pubblica Amministrazione, e il presidente del Consiglio Mario Draghi sono stati chiari: si partirà dalle attività di sportello al pubblico, passando per il back office, fino alle amministrazioni periferiche e centrali.

Ad oggi, non c’è alcun limite alla possibilità di lavorare in smart working – nel pubblico come nel privato.

E se il limite minimo era stato fissato dal Decreto Proroghe al 60%, con il nuovo Dpcm si tornerà al 15%, per riavere così l’85% dei lavoratori in presenza entro il prossimo anno.

Ma quando i dipendenti della PA rientreranno in ufficio? E perché, secondo il ministro Brunetta, lo smart working non funziona?

 

Smart working nella PA: fino a quando si potrà lavorare da casa?

Il rientro in ufficio per i dipendenti pubblici (e per i privati) è previsto a partire dal 15 ottobre.

La misura va quindi di pari passo con l’obbligo del green pass sul posto di lavoro (secondo il decreto del 21 settembre) – rappresentando, tra le altre cose, una spinta indiretta alla campagna vaccinale.

Il nuovo passaggio dallo smart working al lavoro in presenza sarà comunque graduale.

Fino al 31 dicembre 2021, termine ultimo dello stato d’emergenza, le norme anti-contagio e la sicurezza dei lavoratori rimarranno la priorità.

 

Smart working nella PA: cosa non funziona nel lavoro agile?

Lo smart working per la PA è diventato normalità da marzo 2020, inizio dell’emergenza Covid in Italia.

Un anno e sei mesi dopo, il ministro Brunetta ha sentenziato: “questo tipo di lavoro costruito dall’oggi al domani spostando dalla presenza al remoto l’organizzazione del lavoro pubblico, è senza contratto, è senza obiettivi, è senza tecnologia. È lavoro a domicilio con uso di smartphone e di computerino di casa, è senza sicurezza. È lavoro a domicilio all’italiana.”

A dargli man forte, i dati del Ministero della Pubblica Amministrazione pubblicati il 21 settembre: il 53% dei dipendenti della PA risulta favorevole al rientro in ufficio, lamentando una “qualità delle relazioni sociali peggiorata” e auspicando un ritorno in presenza, per assicurare maggiore produttività e ridurre il “senso di isolamento”.

Eppure, sempre secondo il sondaggio, “la quantità di tempo libero, il livello di produttività, il rapporto con i familiari e il livello di risparmi” dei suddetti dipendenti sarebbero migliorati proprio grazie allo smart working.

Difficile quindi porre l’ago della bilancia sulla questione.

Interessante, in tal senso, è l’intervento di Vittorio Pelligra sul «Sole 24 Ore», secondo cui ci sarebbe bisogno, in Italia, di una “rivoluzione copernicana nella mentalità del management nonché nella normativa di riferimento” per promuovere definitivamente la pratica del lavoro agile.

Rivoluzione che ha bisogno in primo luogo di investimenti “massicci in digitale e formazione”.

 

Smart working nella PA: cosa dicono i nuovi contratti nazionali?

In ogni caso, l’Aran (Agenzia per la Rappresentanza Negoziale delle Pubbliche Amministrazioni) ha stilato, di concerto con i vari sindacati, i nuovi contratti nazionali per il lavoro agile.

Ecco i punti fondamentali dei nuovi contratti nazionali, secondo quanto riporta lentepubblica.it:

- quando si potrà lavorare in smart working: per “processi e attività di lavoro, previamente individuati dalle amministrazioni, per i quali sussistano i necessari requisiti organizzativi e tecnologici per operare con tale modalità”;

- con quali modalità e regole si lavorerà in smart working: individuazione delle giornate in cui si potrà lavorare da remoto, orari, riposi, forme di recesso;

- da dove si potrà lavorare in smart working: divieto di lavorare in smart working dall’estero (a meno che l’azienda non abbia una sede fuori dai confini nazionali);

- quali garanzie offerte al lavoratore: condizioni minime sulla tutela di salute e sicurezza, piena operatività della dotazione informatica;

- quali categorie potranno usufruire dello smart working con più facilità: genitori di bambini di età inferiore ai tre anni, disabili, chi assiste un disabile.

L’Aran ha proposto inoltre che l’accordo tra lavoratore e azienda sia individuale, e che vi sia una divisione delle modalità di lavoro agile in tre fasce: fascia di operatività, fascia di contattabilità e fascia di inoperabilità (grazie alla quale il dipendente avrà il diritto di disconnettersi).