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Studiare per il concorso in magistratura (conclusioni)

1. Il Diritto amministrativo: questo sconosciuto

Trattare in fotocopie da distribuire ai discenti il Diritto amministrativo, è parso lavoro arduo anche a chi sia considerato indiscusso padrone delle materie giuridiche, come i magistrati istitutori dei corsi.

Le proposte circolanti si basano su una selezione di sentenze ritenute significative. Certo è che, se da un lato la giurisprudenza è oggi capace di offrire capolavori traducibili in temi e tematiche, è anche vero che essa insegue se stessa in turnazioni d’opinioni (rectius: interpretazioni), che farebbero nascere già vecchio questo nostro libro-studio-provocazione.

Anche la dottrina è munifica. E la dottrina magistrale ancor più, se dal piano del testo universitario passiamo alle riviste accademiche, fino a giungere al lavoro documentale dei magistrati.

Navighiamo, quindi, nell’immenso-meraviglioso mare magno del diritto, che si allarga e restringe a seconda delle materie d’interesse, e che non può far altro che rendere noi giuristi studenti-amanuensi qualificati del nostro tempo; compilatori più o meno onesti di articolistica disincantata, tentativo d’aggrappare al neurone ogni informazione utile al trasferimento in sede d’esame. Ammesso che rimanga la voglia e la moneta per questo supremo-ultimo approccio. Ammesso che potessimo e volessimo, rispettivamente per capacità finanziarie e tempo di vita a disposizione (nonché “picarica” memoria) acquistare tutti i libri di tutte le case editrici create in quest’era dai magistrati. Col rischio di non concludere nulla a livello operativo ed al fine stabilito.

Così, anche il più bravo rischia di non farcela: perché può non essere più attuale quel che ho letto ieri, perché le mie sinossi sono più riconoscibili in qualità di copie d’autore e perché – parametri prevalutativi di commissione a parte – questo esame non sarà mai, a mio modesto parere, meritocratico; al più, un terno al lotto.

Non è però, questo, un mini paragrafo conclusivo. Soltanto un incipit all’ennesima auto esercitazione di un aspirante magistrato. La sinossi (come altre purtroppo non trasportabile all’esame cattivissimo, nel quale non si può proferire né condurre all’esterno parola) di uno degli argomenti-cult del diritto amministrativo, data dalla rivisitazione e studio delle pagine dalla 439esima alla 526esima del secondo volume del “Manuale di diritto amministrativo” di Francesco Bellomo (Cedam, Padova, 2009).

Forse non servirà ai fini dell’esame, ma senza dubbio un capitolo su uno dei più importanti argomenti di diritto amministrativo, fonte di ogni esame pubblico in tale materia, sarà utile a far quadrato su come l’abbia studiata un addetto ai lavori e su come l’abbia proposta ai suoi studenti.

Al fine ultimo potrà non servire, ma nell’immediato ci renderà ancor più giuristi. Non perché il magistrato, in genere, è più giurista degli avvocati, ma perché ogni giurista che voglia confrontarsi con gli scritti altrui, diventa più capace e più orgoglioso del proprio sapere.

I quaderni come questo sono prese d’atto di un percorso, ampolle calibrate di concetti, occulte sinossi da tesi di laurea, che rinfocolano le nostre capacità di scrittura. L’amaro rimane, per l’indeterminatezza inevitabile che ogni esame con sé reca, per l’assenza totale della politica sul tema… Ma, almeno, potremo dire di aver letto e conosciuto il nostro mondo, amato le nostre professioni, sudato sangue e combattuto.

2. L’accesso ai documenti amministrativi

La legge madre sul diritto di accesso ai documenti amministrativi è la legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nel saggio che segue, gli articoli ed i rispettivi commi di tale legge non sono seguiti dall’indicazione della stessa, che si ha per sottintesa. Tutti gli altri riferimenti normativi sono, invece, richiamati.

La legge 141 sarà, comunque, richiamata per singoli tratti onde evitare probabili fraintendimenti.

Rispettivamente, per «istanza», «diritto», «attività», «azione», «atti», s’intendono: «istanza d’accesso», «diritto d’accesso», «attività amministrativa», «azione amministrativa», «atti amministrativi».

È un istituto riconosciuto anche a livello comunitario (articoli 255 del Trattato CE e 41-42 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’UE). Elevato dall’ordinamento menzionato a principio generale dell’attività amministrativa, ne finalizza ed assicura trasparenza ed imparzialità. Si qualifica come più idoneo e principale strumento per la realizzazione del giusto procedimento, con l’opportuna partecipazione e contraddittorio. Si consente al cittadino di conoscere gli atti e lo stato del procedimento che lo riguardano, al fine di contro-dedurre o supportare l’azione dell’Amministrazione, con questa interagendo/dichiarando/allegando/accordandosi.

In base alla legge 7 agosto 1990, n. 241, possiamo distinguere accesso interno o partecipativo (dalla natura endoprocedimentale) ed accesso esterno o informativo (dalla natura extraprocedimentale). L’accesso interno è il diritto dei destinatari della comunicazione dell’avvio del procedimento di prendere visione degli atti dello stesso, al fine di presentare, nel suo svolgimento, memorie e documenti. L’esercizio del diritto si mostra connesso alla partecipazione al procedimento amministrativo. I soggetti legittimati sono quelli di cui agli articoli 7 e 9. Rispettivamente:

—    i soggetti nei confronti dei quali la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento. Ovvero: nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e quelli che per legge debbono intervenire, oppure i soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, a cui possa derivare un pregiudizio;

—    qualunque soggetto, portatore d’interessi pubblici o privati, nonché i portatori d’interessi diffusi, costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal procedimento, i quali hanno facoltà d’intervenire nel procedimento.

L’accesso può essere realizzato solo in riferimento ad un procedimento non ancora conclusosi. E le modalità sono limitate alla «visione». Mentre l’accesso extraprocedimentale prevede anche l’estrazione di copia dei documenti. Inoltre l’accesso sembra riferirsi solo agli «atti» e non ai «documenti», come invece garantito nell’accesso extraprocedimentale. I limiti sono individuati tramite rinvio all’articolo 24. L’accesso esterno è previsto (articolo 22) in ordine a qualsiasi atto o documento amministrativo, in capo a chi vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti, al dichiarato fine di favorirne la partecipazione e assicurare imparzialità e trasparenza dell’attività.

L’istituto che si delinea risponde alle due funzioni d’interesse pubblico e interesse privato. In funzione d’interesse pubblico, quale strumento di garanzia d’imparzialità e buon andamento dell’azione. In funzione d’interesse privato, quale mezzo per una più efficace tutela di posizioni giuridiche soggettive.

Netta è la distinzione della pubblicità degli atti dalla accessibilità degli stessi. La pubblicità[1] consente un controllo a posteriori su determinate materie e categorie di atti dei pubblici poteri[2].

Altra fonte-disciplina del diritto è data[3] dal D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184[4], alla cui entrata in vigore la legge 15/2005 subordina l’efficacia del nuovo articolo 24. Mentre l’accesso informativo:

—    con riguardo all’ordinamento degli Enti Locali è dapprima contemplato dalla legge n. 142 del 1990, e successivamente dal decreto legislativo n. 276 del 2000;

—    in materia ambientale, dal decreto legislativo n. 195 del 2005[5].

La preliminare qui tracciata ricognizione normativa sembra delineare un istituto plurimo, per cui pare opportuno discutere non di diritto ma di diritti di accesso, ontologicamente tra loro diversi: partecipativo, conoscitivo, ambientale, civico.

Il diverso grado di qualificazione dell’interesse richiesto, rende più o meno stretto il collegamento strutturale con la tutela di una situazione giuridicamente rilevante. Esempi:

  • l’accesso generalizzato a tutti gli atti dell’amministrazione comunale, assicurato a tutti i cittadini, e ancor più ai consiglieri comunali, indipendentemente dalla verifica di un interesse concreto ed attuale;
  • l’obbligo dell’autorità pubblica di rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta a chiunque faccia richiesta.

La giurisprudenza prevalente ritiene di qualificare le leggi che disciplinano le altre manifestazioni dell’istituto dell’accesso come speciali rispetto a quella dettata dalla legge 241 del 1990[6].

L’accesso è riconducibile allo schema norma-potere-effetto. Il percorso previsto sull’istanza costituisce esercizio di un potere funzionale, sia pure vincolato, che la legge attribuisce all’Amministrazione titolare dei documenti oggetto dell’istanza e che sfocia in un provvedimento[7]. Si compone un principio generale dell’attività, al fine di favorire la partecipazione ed assicurare l’imparzialità e trasparenza della Pubblica Amministrazione[8]. Un interesse pubblico non direttamente qualificato ed a monte del procedimento di accesso, conduce alla delimitazione del diritto operata attraverso l’identificazione legislativa dei casi d’elusione dello stesso[9].

Il dato sostanziale delle funzioni del diritto è di strumento d’attuazione del principio costituzionale dell’imparzialità dell’azione[10].

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato desume, dalla struttura impugnatoria del processo a garanzia dell’accesso, l’esistenza di una posizione di interesse legittimo, evidenziando che sull’istanza debba procedersi con atto motivato. Nasce così l’idoneità a determinare uno stabile assetto degli interessi coinvolti con l’istanza, modificabile in sede giurisdizionale solo nel caso di tempestiva impugnazione di un provvedimento autoritativo o all’inerzia dell’Amministrazione[11]. È ravvisabile la posizione d’interesse legittimo, tutelata dall’articolo 103 della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile entro un termine perentorio[12]. Cuore del ragionamento dell’Adunanza Plenaria è l’individuazione di un interesse pubblico coinvolto nella valutazione dell’istanza, che postula un bilanciamento di tutti gli interessi in conflitto[13].

Ma l’affermazione soffre di genericità/indimostrabilità, non essendo identificato quale sia l’interesse pubblico che viene in rilievo, la sua fonte e la sua struttura. Se l’interesse pubblico deve innestarsi su un compito assegnato dalla legge alla Pubblica Amministrazione, il potere viene attribuito come tecnica per eseguire quel compito. Trasparenza ed imparzialità non sono compiti della P.A. ma un predicato di tutte le sue attività, direttamente collegato ai valori costituzionali connotanti l’agere dei soggetti pubblici (articolo 97 Costituzione). Sul problema in esame, successivamente alla riforma, le sentenze gemelle numeri 6 e 7 dell’Adunanza Plenaria non prendono espressamente posizione; tuttavia offrono spunti culturali per una qualificazione della posizione come diritto soggettivo.

L’accesso tende a configurarsi sul modello dei diritti di azione, presentandosi come una posizione direttamente attribuita non per la cura di un interesse materiale, ma di una situazione giuridica preesistente, collegata al documento di cui si chiede l’accesso. Si tratta di una posizione strumentale: il potere d’agire per la tutela di altro potere di agire. Tale teoria è però in contrasto con l’orientamento qualificante l’accesso come diritto soggettivo all’informazione. A ben vedere, la natura strumentale dell’interesse all’informazione non può interferire con la struttura della posizione soggettiva. L’informazione non

1. Il Diritto amministrativo: questo sconosciuto

Trattare in fotocopie da distribuire ai discenti il Diritto amministrativo, è parso lavoro arduo anche a chi sia considerato indiscusso padrone delle materie giuridiche, come i magistrati istitutori dei corsi.

Le proposte circolanti si basano su una selezione di sentenze ritenute significative. Certo è che, se da un lato la giurisprudenza è oggi capace di offrire capolavori traducibili in temi e tematiche, è anche vero che essa insegue se stessa in turnazioni d’opinioni (rectius: interpretazioni), che farebbero nascere già vecchio questo nostro libro-studio-provocazione.

Anche la dottrina è munifica. E la dottrina magistrale ancor più, se dal piano del testo universitario passiamo alle riviste accademiche, fino a giungere al lavoro documentale dei magistrati.

Navighiamo, quindi, nell’immenso-meraviglioso mare magno del diritto, che si allarga e restringe a seconda delle materie d’interesse, e che non può far altro che rendere noi giuristi studenti-amanuensi qualificati del nostro tempo; compilatori più o meno onesti di articolistica disincantata, tentativo d’aggrappare al neurone ogni informazione utile al trasferimento in sede d’esame. Ammesso che rimanga la voglia e la moneta per questo supremo-ultimo approccio. Ammesso che potessimo e volessimo, rispettivamente per capacità finanziarie e tempo di vita a disposizione (nonché “picarica” memoria) acquistare tutti i libri di tutte le case editrici create in quest’era dai magistrati. Col rischio di non concludere nulla a livello operativo ed al fine stabilito.

Così, anche il più bravo rischia di non farcela: perché può non essere più attuale quel che ho letto ieri, perché le mie sinossi sono più riconoscibili in qualità di copie d’autore e perché – parametri prevalutativi di commissione a parte – questo esame non sarà mai, a mio modesto parere, meritocratico; al più, un terno al lotto.

Non è però, questo, un mini paragrafo conclusivo. Soltanto un incipit all’ennesima auto esercitazione di un aspirante magistrato. La sinossi (come altre purtroppo non trasportabile all’esame cattivissimo, nel quale non si può proferire né condurre all’esterno parola) di uno degli argomenti-cult del diritto amministrativo, data dalla rivisitazione e studio delle pagine dalla 439esima alla 526esima del secondo volume del “Manuale di diritto amministrativo” di Francesco Bellomo (Cedam, Padova, 2009).

Forse non servirà ai fini dell’esame, ma senza dubbio un capitolo su uno dei più importanti argomenti di diritto amministrativo, fonte di ogni esame pubblico in tale materia, sarà utile a far quadrato su come l’abbia studiata un addetto ai lavori e su come l’abbia proposta ai suoi studenti.

Al fine ultimo potrà non servire, ma nell’immediato ci renderà ancor più giuristi. Non perché il magistrato, in genere, è più giurista degli avvocati, ma perché ogni giurista che voglia confrontarsi con gli scritti altrui, diventa più capace e più orgoglioso del proprio sapere.

I quaderni come questo sono prese d’atto di un percorso, ampolle calibrate di concetti, occulte sinossi da tesi di laurea, che rinfocolano le nostre capacità di scrittura. L’amaro rimane, per l’indeterminatezza inevitabile che ogni esame con sé reca, per l’assenza totale della politica sul tema… Ma, almeno, potremo dire di aver letto e conosciuto il nostro mondo, amato le nostre professioni, sudato sangue e combattuto.

2. L’accesso ai documenti amministrativi

La legge madre sul diritto di accesso ai documenti amministrativi è la legge 7 agosto 1990, n. 241.

Nel saggio che segue, gli articoli ed i rispettivi commi di tale legge non sono seguiti dall’indicazione della stessa, che si ha per sottintesa. Tutti gli altri riferimenti normativi sono, invece, richiamati.

La legge 141 sarà, comunque, richiamata per singoli tratti onde evitare probabili fraintendimenti.

Rispettivamente, per «istanza», «diritto», «attività», «azione», «atti», s’intendono: «istanza d’accesso», «diritto d’accesso», «attività amministrativa», «azione amministrativa», «atti amministrativi».

È un istituto riconosciuto anche a livello comunitario (articoli 255 del Trattato CE e 41-42 della Carta Fondamentale dei Diritti dell’UE). Elevato dall’ordinamento menzionato a principio generale dell’attività amministrativa, ne finalizza ed assicura trasparenza ed imparzialità. Si qualifica come più idoneo e principale strumento per la realizzazione del giusto procedimento, con l’opportuna partecipazione e contraddittorio. Si consente al cittadino di conoscere gli atti e lo stato del procedimento che lo riguardano, al fine di contro-dedurre o supportare l’azione dell’Amministrazione, con questa interagendo/dichiarando/allegando/accordandosi.

In base alla legge 7 agosto 1990, n. 241, possiamo distinguere accesso interno o partecipativo (dalla natura endoprocedimentale) ed accesso esterno o informativo (dalla natura extraprocedimentale). L’accesso interno è il diritto dei destinatari della comunicazione dell’avvio del procedimento di prendere visione degli atti dello stesso, al fine di presentare, nel suo svolgimento, memorie e documenti. L’esercizio del diritto si mostra connesso alla partecipazione al procedimento amministrativo. I soggetti legittimati sono quelli di cui agli articoli 7 e 9. Rispettivamente:

—    i soggetti nei confronti dei quali la Pubblica Amministrazione ha l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento. Ovvero: nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti e quelli che per legge debbono intervenire, oppure i soggetti individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari, a cui possa derivare un pregiudizio;

—    qualunque soggetto, portatore d’interessi pubblici o privati, nonché i portatori d’interessi diffusi, costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal procedimento, i quali hanno facoltà d’intervenire nel procedimento.

L’accesso può essere realizzato solo in riferimento ad un procedimento non ancora conclusosi. E le modalità sono limitate alla «visione». Mentre l’accesso extraprocedimentale prevede anche l’estrazione di copia dei documenti. Inoltre l’accesso sembra riferirsi solo agli «atti» e non ai «documenti», come invece garantito nell’accesso extraprocedimentale. I limiti sono individuati tramite rinvio all’articolo 24. L’accesso esterno è previsto (articolo 22) in ordine a qualsiasi atto o documento amministrativo, in capo a chi vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridiche rilevanti, al dichiarato fine di favorirne la partecipazione e assicurare imparzialità e trasparenza dell’attività.

L’istituto che si delinea risponde alle due funzioni d’interesse pubblico e interesse privato. In funzione d’interesse pubblico, quale strumento di garanzia d’imparzialità e buon andamento dell’azione. In funzione d’interesse privato, quale mezzo per una più efficace tutela di posizioni giuridiche soggettive.

Netta è la distinzione della pubblicità degli atti dalla accessibilità degli stessi. La pubblicità[1] consente un controllo a posteriori su determinate materie e categorie di atti dei pubblici poteri[2].

Altra fonte-disciplina del diritto è data[3] dal D.P.R. 12 aprile 2006, n. 184[4], alla cui entrata in vigore la legge 15/2005 subordina l’efficacia del nuovo articolo 24. Mentre l’accesso informativo:

—    con riguardo all’ordinamento degli Enti Locali è dapprima contemplato dalla legge n. 142 del 1990, e successivamente dal decreto legislativo n. 276 del 2000;

—    in materia ambientale, dal decreto legislativo n. 195 del 2005[5].

La preliminare qui tracciata ricognizione normativa sembra delineare un istituto plurimo, per cui pare opportuno discutere non di diritto ma di diritti di accesso, ontologicamente tra loro diversi: partecipativo, conoscitivo, ambientale, civico.

Il diverso grado di qualificazione dell’interesse richiesto, rende più o meno stretto il collegamento strutturale con la tutela di una situazione giuridicamente rilevante. Esempi:

  • l’accesso generalizzato a tutti gli atti dell’amministrazione comunale, assicurato a tutti i cittadini, e ancor più ai consiglieri comunali, indipendentemente dalla verifica di un interesse concreto ed attuale;
  • l’obbligo dell’autorità pubblica di rendere disponibile l’informazione ambientale detenuta a chiunque faccia richiesta.

La giurisprudenza prevalente ritiene di qualificare le leggi che disciplinano le altre manifestazioni dell’istituto dell’accesso come speciali rispetto a quella dettata dalla legge 241 del 1990[6].

L’accesso è riconducibile allo schema norma-potere-effetto. Il percorso previsto sull’istanza costituisce esercizio di un potere funzionale, sia pure vincolato, che la legge attribuisce all’Amministrazione titolare dei documenti oggetto dell’istanza e che sfocia in un provvedimento[7]. Si compone un principio generale dell’attività, al fine di favorire la partecipazione ed assicurare l’imparzialità e trasparenza della Pubblica Amministrazione[8]. Un interesse pubblico non direttamente qualificato ed a monte del procedimento di accesso, conduce alla delimitazione del diritto operata attraverso l’identificazione legislativa dei casi d’elusione dello stesso[9].

Il dato sostanziale delle funzioni del diritto è di strumento d’attuazione del principio costituzionale dell’imparzialità dell’azione[10].

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato desume, dalla struttura impugnatoria del processo a garanzia dell’accesso, l’esistenza di una posizione di interesse legittimo, evidenziando che sull’istanza debba procedersi con atto motivato. Nasce così l’idoneità a determinare uno stabile assetto degli interessi coinvolti con l’istanza, modificabile in sede giurisdizionale solo nel caso di tempestiva impugnazione di un provvedimento autoritativo o all’inerzia dell’Amministrazione[11]. È ravvisabile la posizione d’interesse legittimo, tutelata dall’articolo 103 della Costituzione, quando un provvedimento amministrativo è impugnabile entro un termine perentorio[12]. Cuore del ragionamento dell’Adunanza Plenaria è l’individuazione di un interesse pubblico coinvolto nella valutazione dell’istanza, che postula un bilanciamento di tutti gli interessi in conflitto[13].

Ma l’affermazione soffre di genericità/indimostrabilità, non essendo identificato quale sia l’interesse pubblico che viene in rilievo, la sua fonte e la sua struttura. Se l’interesse pubblico deve innestarsi su un compito assegnato dalla legge alla Pubblica Amministrazione, il potere viene attribuito come tecnica per eseguire quel compito. Trasparenza ed imparzialità non sono compiti della P.A. ma un predicato di tutte le sue attività, direttamente collegato ai valori costituzionali connotanti l’agere dei soggetti pubblici (articolo 97 Costituzione). Sul problema in esame, successivamente alla riforma, le sentenze gemelle numeri 6 e 7 dell’Adunanza Plenaria non prendono espressamente posizione; tuttavia offrono spunti culturali per una qualificazione della posizione come diritto soggettivo.

L’accesso tende a configurarsi sul modello dei diritti di azione, presentandosi come una posizione direttamente attribuita non per la cura di un interesse materiale, ma di una situazione giuridica preesistente, collegata al documento di cui si chiede l’accesso. Si tratta di una posizione strumentale: il potere d’agire per la tutela di altro potere di agire. Tale teoria è però in contrasto con l’orientamento qualificante l’accesso come diritto soggettivo all’informazione. A ben vedere, la natura strumentale dell’interesse all’informazione non può interferire con la struttura della posizione soggettiva. L’informazione non