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Studiare per il concorso in magistratura (parte II)

1. Rappresentazione

Qualcuno ha descritto la terapia linguistica di evitare tutte le locuzioni[1] allusive ad un concetto di discorso legislativo con un significato proprio e principale, indipendente dalle attività interpretative[2].

Così verrebbe occultato il fatto che le norme sono da considerarsi il risultato, piuttosto che il presupposto, delle attività in senso gnoseologico. L’evidenza di un’asserzione non esclude che siano ipotizzabili diverse valutazioni; piuttosto implica una «valutazione negativa» riferita a tutti i possibili argomenti contrari.

La norma è la volontà della legge, come pensata da colui che in concreto decide, influenzato dal contesto socio-giuridico in cui si trova ad operare.

Una metafora efficace è quella dell’arte. Comprendere un’opera d’arte non vuol dire cogliere l’intenzione del suo autore, né collocarla nel suo contesto originario, né affermare che è lo spettatore ad attribuirle un significato, ma partecipare all’evento della sua rappresentazione. L’incontro con l’opera d’arte si traduce in esperienza vera nel momento in cui essa coinvolga lo spettatore.

Come per l’arte, l’essenza del diritto è nella sua rappresentazione. La norma è fenomeno del pensiero, che si forma nell’attività di comprensione del destinatario; attività che dipende dal contesto storico, sociale, circostanziale nel quale viene di volta in volta applicata[3].

2. Decisione[4]

Il ruolo politico dell’attività del giudice è stato enfatizzato da alcune correnti filosofiche, quali la Scuola del libero diritto[5].

Secondo i suoi rappresentanti più radicali, ci si può solo limitare a constatare come l’interprete crei diritto per ciascun caso, offrendo successivamente una motivazione del tutto artificiosa. Pertanto, nelle decisioni il giudice è guidato innanzitutto dalle proprie intuizioni.

Ne discende che la sentenza presenta solo in apparenza la soluzione come derivata da un orientamento astratto e preesistente, ed in realtà è fonte diretta e primaria di diritto[6].

L’eventualità del processo rappresenta un’ipotesi, e concretizza un momento particolare del fenomeno giuridico. È criterio di riferimento nell’impostazione del ragionamento dell’avvocato, dell’accademia, del legislatore stesso, che ipotizza la regola in vista della sua applicazione.

Infine, la struttura formale del rito vincola le parti a sviluppare le proprie tesi secondo un discorso di tipo argomentativo[7].

Lo speciale carattere che distingue il sillogismo, da cui deriva la sentenza, da tutti gli altri, consiste nel particolare requisito della premessa maggiore di avere il carattere di una norma di legge.

3. Criteri interpretativi

Criteri teleologici e precetto impongono d’interpretare le norme in modo conforme alla Costituzione. Complessa e delicatissima è la questione relativa al loro ordine gerarchico, ai criteri di selezione di canoni diversi, tutti egualmente validi, posto che l’applicazione di questi ultimi può condurre a soluzioni opposte[8].

Al di là delle differenze determinate dalle caratteristiche politico-istituzionali di ciascuna società, e dall’utilizzo tipico di diversi criteri, in prospettiva storica le tecniche d’interpretazione risultano costanti[9]. Troviamo oggi, nei sistemi di common e civil law, un comune tessuto dell’argomentazione, creato dalla tradizione. Pur nella diversità dei vincoli processuali[10], la struttura argomentativa è, nella sostanza, analoga.

Dei vari decantati metodi d’interpretazione, alcuni sono stati codificati dal legislatore italiano all’articolo 12 delle preleggi[11].

4. Ratio

Nella ricerca della ratio legis, occorrono una serie di valutazioni, che vanno dalla ricostruzione del contesto socio-politico in cui l’articolo fu approvato[12], alla comparazione del fatto con discipline analoghe, all’analisi dei principi fondamentali dell’istituto e dei rapporti interpersonali di diritto privato[13].

Il rigore processuale del contraddittorio vincola il giudice, in ogni momento, alla ricerca di una soluzione coerente col Sistema. L’individuazione della norma nel caso concreto ripropone la discussione tipica del momento normativo sui fondamenti ideologici e i valori, perché l’attività dell’interprete è sempre legata a fatti e circostanze particolari; in quanto umani, sempre nuovi e diversi. Egli può giungere a superare il senso letterale del testo, rovesciando il significato normativo che si coglieva nel contesto originario, ma solo sulla base di solide ragioni di diritto.

I meccanismi argomentativi garantiscono razionalità nella valutazione dei valori discussi e coinvolti, costringendo a distinguere momento ideologico da momento tecnico, fini da mezzi, interesse personale e collettivo.

5. Stati e Corti

Il caso nel quale la Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia al risarcimento dei danni subiti da alcuni lavoratori di un’azienda fallita, per mancata attuazione della direttiva 80/987/CE, riconduce per la prima volta il diritto del privato di ottenere dallo Stato il risarcimento danni subiti per il mancato recepimento della direttiva, pur in assenza di una specifica disposizione nel trattato o in altre fonti comunitarie.

La responsabilità viene subordinata alla presenza di distinte condizioni:

a)     la direttiva inattuata deve attribuire diritti a favore dei singoli;

b)    il destinatario deve essere danneggiato dalla mancata attuazione;

c)     esistenza di un nesso di causalità tra violazione del diritto comunitario e danno dal soggetto subito[14].

La regola elaborata dalla Corte presenta tutti gli elementi essenziali all’illecito extracontrattuale[15], quando nell’ordinamento comunitario non esiste una norma specifica che sanzioni tale illecito[16]. La decisione della Corte è espressione di una regola comune: la legittimità della pronuncia, in assenza di una specifica disposizione comunitaria, è garantita dall’autorità dell’organo da cui promana.

La legittimità dell’istituzione della Corte consiste nel riconoscimento della sua autorità da parte degli stessi destinatari. La pronuncia[17] ha creato diritto su una materia fondamentale ed, elaborando il principio di responsabilità extracontrattuale, lo applica ai rapporti tra Stato e cittadino, estendendo la portata del corrispondente principio di diritto interno[18].

[1] Come: «legge chiara», «interpretazione dichiarativa», «interpretazione restrittiva», «interpretazione estensiva», «interpretazione creativa», «interpretazione abrogante».

[2] Ad un concetto di norma giuridica come entità precostituita all’attività di ricerca/individuazione/interpretazione.

[3] Esemplificativo è il caso dell’evoluzione dell’istituto della responsabilità extracontrattuale per opera della giurisprudenza, che ha innovato in modo sostanziale il 2043, estendendo il concetto di danno risarcibile dai danni derivanti dalla lesione dei diritti assoluti ai danni derivanti dalle lesione anche dei relativi, perché il contesto sociale e normativo era mutato e la precedente interpretazione appariva – col passare del tempo – inadeguata a raggiungere l’obiettivo di giustizia nella ripartizione dei danni. Secondo la nuova sensibilità giuridica, la lesione del diritto assoluto è stata equiparata a quella del diritto relativo, ed in entrambe le interpretazioni vediamo prospettata una soluzione espressione della volontà della legge.

[4] È fondamentale capire se il ragionamento dell’interprete sia razionale o si determini secondo scelte legate all’opportunità del caso.

[5] Affermatasi nei primi decenni del secolo scorso in contrapposizione agli orientamenti del positivismo giuridico.

[6] La diversità delle conclusioni esprime come l’immedesimazione tra norma e legge sia solo apparente. Poiché il ragionamento giuridico è argomentativo, la qualificazione del fatto dipende dalla lettura dell’interprete in base ai risultati delle prove assunte in giudizio. Posto che il percorso seguito per l’applicazione del diritto non è riconducibile alla sola logica formale, ma è scelta, da parte del giudice, di una delle possibili soluzioni. E, posto che il diritto non è l’insieme delle norme date dal sovrano, né delle decisioni dei tribunali, ma ordine normativo sempre nell’atto di positivizzarsi, la questione che si pone è l’individuazione del reale fondamento della decisione del giudice.

[7] Entrambe propongono le proprie ragioni, sviluppano una serie di argomenti persuasivi, finalizzati a convincere l’interlocutore: l’altra parte ed il giudice. La dimostrazione delle argomentazioni si svolge attraverso l’enunciazione delle tesi, la messa in discussione delle stesse – anche in dialettica con quelle dell’avversario –, la perorazione delle ragioni. Le tesi possono essere respinte, giustificate, meglio ponderate, definite. La forza di ciascun argomento è funzione del contesto culturale e storico nel quale viene utilizzato; della tradizione, dei valori ed esperienze comuni ai soggetti in dialettica. Ma dipende anche dall’abilità dell’oratore, dalla sua capacità di comunicare con l’uditorio. Regole e criteri di correttezza del ragionamento giuridico/dell’argomentazione giuridica, sono individuabili nei tradizionali canoni dell’interpretazione.

[8] Entrambe valide.

[9] Dalla prima interpretazione della Bibbia ad oggi, la struttura degli argomenti è, nella sostanza, analoga.

Alcuni hanno distinto quattro elementi: grammaticale, logico, storico, sistematico. Altri ne hanno distinto cinque: letterale, contestuale (d’intento regolativo), scopi, rappresentazioni normative del legislatore storico.

[10] Come quello del precedente.

[11] Sono innanzitutto queste, le regole che l’interprete dovrà rispettare. I criteri interpretativi nulla dicono circa il contenuto del ragionamento, sullo scopo concretamente perseguito. L’attitudine argomentativa del giurista potrebbe indurre a contraddire il senso letterale di una legge, sulla base della sua ratio, sino a rovesciare il significato normativo che si coglieva nel contesto originario.

[12] Volontà del legislatore storico.

[13] Sono criteri che aumentano la probabilità che, in una discussione, venga trovato un risultato concreto, suscettibile di essere controllato dalla società, attraverso la motivazione e la pubblicità della decisione.

L’attività ermeneutica non può limitarsi ad essere mera tecnica; deve configurarsi come ars. È proprio di tale attività, connettere continuamente universale e particolare. Ed è compito del giurista, operare una mediazione tra l’universale della norma e la varietà/mutevolezza dei casi. L’argomentazione giuridica è l’impiego di cui il diritto deve essere rivestito, se vuole soddisfare la pretesa di correttezza, rivolta innanzitutto al vincolo del rispetto della volontà del legislatore. L’alternativa è l’uso arbitrario della forza, l’imposizione ingiustificata della norma; data e non motivata. L’alterazione dei meccanismi che garantiscono regolarità del contraddittorio e coerenza del ragionamento, introduce nel discorso elementi d’imprevedibilità ed irrazionalità. Il ruolo delle Corti risulta fondamentale nell’attribuzione di significato alle leggi esistenti, ed è presupposto per la creazione di diritto, «oltre l’esistenza della legge formale».

[14] L’istituzione di una Corte per determinate competenza, garantisce lo sviluppo del diritto in quelle materie.

[15] Il fatto lesivo di un interesse giuridicamente tutelato come diritto, il danno e il nesso di causalità tra evento dannoso e danno.

[16] In tutti gli Stai membri, è riconosciuto il principio per cui la lesione, dolosa o colposa, dei diritti dei terzi, obbliga colui che ha commesso il fatto al risarcimento del danno.

[17] Evidenziando la dipendenza del fenomeno giuridico dal processo.

[18] Lo Stato italiano non è responsabile, al proprio interno, per l’inadempimento di obblighi costituzionali, ma risponde al cittadino della violazione dei comunitari.

In questo presente, in tutti gli ordinamenti degli Stati membri, il principio della responsabilità dello Stato è inerente all’ordinamento comunitario.

1. Rappresentazione

Qualcuno ha descritto la terapia linguistica di evitare tutte le locuzioni[1] allusive ad un concetto di discorso legislativo con un significato proprio e principale, indipendente dalle attività interpretative[2].

Così verrebbe occultato il fatto che le norme sono da considerarsi il risultato, piuttosto che il presupposto, delle attività in senso gnoseologico. L’evidenza di un’asserzione non esclude che siano ipotizzabili diverse valutazioni; piuttosto implica una «valutazione negativa» riferita a tutti i possibili argomenti contrari.

La norma è la volontà della legge, come pensata da colui che in concreto decide, influenzato dal contesto socio-giuridico in cui si trova ad operare.

Una metafora efficace è quella dell’arte. Comprendere un’opera d’arte non vuol dire cogliere l’intenzione del suo autore, né collocarla nel suo contesto originario, né affermare che è lo spettatore ad attribuirle un significato, ma partecipare all’evento della sua rappresentazione. L’incontro con l’opera d’arte si traduce in esperienza vera nel momento in cui essa coinvolga lo spettatore.

Come per l’arte, l’essenza del diritto è nella sua rappresentazione. La norma è fenomeno del pensiero, che si forma nell’attività di comprensione del destinatario; attività che dipende dal contesto storico, sociale, circostanziale nel quale viene di volta in volta applicata[3].

2. Decisione[4]

Il ruolo politico dell’attività del giudice è stato enfatizzato da alcune correnti filosofiche, quali la Scuola del libero diritto[5].

Secondo i suoi rappresentanti più radicali, ci si può solo limitare a constatare come l’interprete crei diritto per ciascun caso, offrendo successivamente una motivazione del tutto artificiosa. Pertanto, nelle decisioni il giudice è guidato innanzitutto dalle proprie intuizioni.

Ne discende che la sentenza presenta solo in apparenza la soluzione come derivata da un orientamento astratto e preesistente, ed in realtà è fonte diretta e primaria di diritto[6].

L’eventualità del processo rappresenta un’ipotesi, e concretizza un momento particolare del fenomeno giuridico. È criterio di riferimento nell’impostazione del ragionamento dell’avvocato, dell’accademia, del legislatore stesso, che ipotizza la regola in vista della sua applicazione.

Infine, la struttura formale del rito vincola le parti a sviluppare le proprie tesi secondo un discorso di tipo argomentativo[7].

Lo speciale carattere che distingue il sillogismo, da cui deriva la sentenza, da tutti gli altri, consiste nel particolare requisito della premessa maggiore di avere il carattere di una norma di legge.

3. Criteri interpretativi

Criteri teleologici e precetto impongono d’interpretare le norme in modo conforme alla Costituzione. Complessa e delicatissima è la questione relativa al loro ordine gerarchico, ai criteri di selezione di canoni diversi, tutti egualmente validi, posto che l’applicazione di questi ultimi può condurre a soluzioni opposte[8].

Al di là delle differenze determinate dalle caratteristiche politico-istituzionali di ciascuna società, e dall’utilizzo tipico di diversi criteri, in prospettiva storica le tecniche d’interpretazione risultano costanti[9]. Troviamo oggi, nei sistemi di common e civil law, un comune tessuto dell’argomentazione, creato dalla tradizione. Pur nella diversità dei vincoli processuali[10], la struttura argomentativa è, nella sostanza, analoga.

Dei vari decantati metodi d’interpretazione, alcuni sono stati codificati dal legislatore italiano all’articolo 12 delle preleggi[11].

4. Ratio

Nella ricerca della ratio legis, occorrono una serie di valutazioni, che vanno dalla ricostruzione del contesto socio-politico in cui l’articolo fu approvato[12], alla comparazione del fatto con discipline analoghe, all’analisi dei principi fondamentali dell’istituto e dei rapporti interpersonali di diritto privato[13].

Il rigore processuale del contraddittorio vincola il giudice, in ogni momento, alla ricerca di una soluzione coerente col Sistema. L’individuazione della norma nel caso concreto ripropone la discussione tipica del momento normativo sui fondamenti ideologici e i valori, perché l’attività dell’interprete è sempre legata a fatti e circostanze particolari; in quanto umani, sempre nuovi e diversi. Egli può giungere a superare il senso letterale del testo, rovesciando il significato normativo che si coglieva nel contesto originario, ma solo sulla base di solide ragioni di diritto.

I meccanismi argomentativi garantiscono razionalità nella valutazione dei valori discussi e coinvolti, costringendo a distinguere momento ideologico da momento tecnico, fini da mezzi, interesse personale e collettivo.

5. Stati e Corti

Il caso nel quale la Corte di Giustizia Europea ha condannato l’Italia al risarcimento dei danni subiti da alcuni lavoratori di un’azienda fallita, per mancata attuazione della direttiva 80/987/CE, riconduce per la prima volta il diritto del privato di ottenere dallo Stato il risarcimento danni subiti per il mancato recepimento della direttiva, pur in assenza di una specifica disposizione nel trattato o in altre fonti comunitarie.

La responsabilità viene subordinata alla presenza di distinte condizioni:

a)     la direttiva inattuata deve attribuire diritti a favore dei singoli;

b)    il destinatario deve essere danneggiato dalla mancata attuazione;

c)     esistenza di un nesso di causalità tra violazione del diritto comunitario e danno dal soggetto subito[14].

La regola elaborata dalla Corte presenta tutti gli elementi essenziali all’illecito extracontrattuale[15], quando nell’ordinamento comunitario non esiste una norma specifica che sanzioni tale illecito[16]. La decisione della Corte è espressione di una regola comune: la legittimità della pronuncia, in assenza di una specifica disposizione comunitaria, è garantita dall’autorità dell’organo da cui promana.

La legittimità dell’istituzione della Corte consiste nel riconoscimento della sua autorità da parte degli stessi destinatari. La pronuncia[17] ha creato diritto su una materia fondamentale ed, elaborando il principio di responsabilità extracontrattuale, lo applica ai rapporti tra Stato e cittadino, estendendo la portata del corrispondente principio di diritto interno[18].

[1] Come: «legge chiara», «interpretazione dichiarativa», «interpretazione restrittiva», «interpretazione estensiva», «interpretazione creativa», «interpretazione abrogante».

[2] Ad un concetto di norma giuridica come entità precostituita all’attività di ricerca/individuazione/interpretazione.

[3] Esemplificativo è il caso dell’evoluzione dell’istituto della responsabilità extracontrattuale per opera della giurisprudenza, che ha innovato in modo sostanziale il 2043, estendendo il concetto di danno risarcibile dai danni derivanti dalla lesione dei diritti assoluti ai danni derivanti dalle lesione anche dei relativi, perché il contesto sociale e normativo era mutato e la precedente interpretazione appariva – col passare del tempo – inadeguata a raggiungere l’obiettivo di giustizia nella ripartizione dei danni. Secondo la nuova sensibilità giuridica, la lesione del diritto assoluto è stata equiparata a quella del diritto relativo, ed in entrambe le interpretazioni vediamo prospettata una soluzione espressione della volontà della legge.

[4] È fondamentale capire se il ragionamento dell’interprete sia razionale o si determini secondo scelte legate all’opportunità del caso.

[5] Affermatasi nei primi decenni del secolo scorso in contrapposizione agli orientamenti del positivismo giuridico.

[6] La diversità delle conclusioni esprime come l’immedesimazione tra norma e legge sia solo apparente. Poiché il ragionamento giuridico è argomentativo, la qualificazione del fatto dipende dalla lettura dell’interprete in base ai risultati delle prove assunte in giudizio. Posto che il percorso seguito per l’applicazione del diritto non è riconducibile alla sola logica formale, ma è scelta, da parte del giudice, di una delle possibili soluzioni. E, posto che il diritto non è l’insieme delle norme date dal sovrano, né delle decisioni dei tribunali, ma ordine normativo sempre nell’atto di positivizzarsi, la questione che si pone è l’individuazione del reale fondamento della decisione del giudice.

[7] Entrambe propongono le proprie ragioni, sviluppano una serie di argomenti persuasivi, finalizzati a convincere l’interlocutore: l’altra parte ed il giudice. La dimostrazione delle argomentazioni si svolge attraverso l’enunciazione delle tesi, la messa in discussione delle stesse – anche in dialettica con quelle dell’avversario –, la perorazione delle ragioni. Le tesi possono essere respinte, giustificate, meglio ponderate, definite. La forza di ciascun argomento è funzione del contesto culturale e storico nel quale viene utilizzato; della tradizione, dei valori ed esperienze comuni ai soggetti in dialettica. Ma dipende anche dall’abilità dell’oratore, dalla sua capacità di comunicare con l’uditorio. Regole e criteri di correttezza del ragionamento giuridico/dell’argomentazione giuridica, sono individuabili nei tradizionali canoni dell’interpretazione.

[8] Entrambe valide.

[9] Dalla prima interpretazione della Bibbia ad oggi, la struttura degli argomenti è, nella sostanza, analoga.

Alcuni hanno distinto quattro elementi: grammaticale, logico, storico, sistematico. Altri ne hanno distinto cinque: letterale, contestuale (d’intento regolativo), scopi, rappresentazioni normative del legislatore storico.

[10] Come quello del precedente.

[11] Sono innanzitutto queste, le regole che l’interprete dovrà rispettare. I criteri interpretativi nulla dicono circa il contenuto del ragionamento, sullo scopo concretamente perseguito. L’attitudine argomentativa del giurista potrebbe indurre a contraddire il senso letterale di una legge, sulla base della sua ratio, sino a rovesciare il significato normativo che si coglieva nel contesto originario.

[12] Volontà del legislatore storico.

[13] Sono criteri che aumentano la probabilità che, in una discussione, venga trovato un risultato concreto, suscettibile di essere controllato dalla società, attraverso la motivazione e la pubblicità della decisione.

L’attività ermeneutica non può limitarsi ad essere mera tecnica; deve configurarsi come ars. È proprio di tale attività, connettere continuamente universale e particolare. Ed è compito del giurista, operare una mediazione tra l’universale della norma e la varietà/mutevolezza dei casi. L’argomentazione giuridica è l’impiego di cui il diritto deve essere rivestito, se vuole soddisfare la pretesa di correttezza, rivolta innanzitutto al vincolo del rispetto della volontà del legislatore. L’alternativa è l’uso arbitrario della forza, l’imposizione ingiustificata della norma; data e non motivata. L’alterazione dei meccanismi che garantiscono regolarità del contraddittorio e coerenza del ragionamento, introduce nel discorso elementi d’imprevedibilità ed irrazionalità. Il ruolo delle Corti risulta fondamentale nell’attribuzione di significato alle leggi esistenti, ed è presupposto per la creazione di diritto, «oltre l’esistenza della legge formale».

[14] L’istituzione di una Corte per determinate competenza, garantisce lo sviluppo del diritto in quelle materie.

[15] Il fatto lesivo di un interesse giuridicamente tutelato come diritto, il danno e il nesso di causalità tra evento dannoso e danno.

[16] In tutti gli Stai membri, è riconosciuto il principio per cui la lesione, dolosa o colposa, dei diritti dei terzi, obbliga colui che ha commesso il fatto al risarcimento del danno.

[17] Evidenziando la dipendenza del fenomeno giuridico dal processo.

[18] Lo Stato italiano non è responsabile, al proprio interno, per l’inadempimento di obblighi costituzionali, ma risponde al cittadino della violazione dei comunitari.

In questo presente, in tutti gli ordinamenti degli Stati membri, il principio della responsabilità dello Stato è inerente all’ordinamento comunitario.