Sulle Università napoletane. Il caso della «Terra delli Colli»
I sindici dell’Università della «Terra delli Colli», l’odierna Colli a Volturno (IS), avevano indetto urgentemente un «pubblico consiglio» il primo ottobre 1719. Un «grave pericolo» incombeva sul borgo. I collesi, infatti, rischiavano di non poter più assistere a una messa celebrata nella «Chiesa Parrocchiale» intitolata a Santa Maria Assunta.
Il vicario dell’abate di Montecassino, Nicola III Ruggi, sotto la cui giurisdizione rientrava la diocesi dell’abbazia di San Vincenzo a Volturno, aveva proibito la celebrazione di tutte le funzioni religiose («domini officiis, anco potersi suonare le campane e dare l’ecclesiastica sepoltura alli defunti») nella chiesa dell’Assunta. Il pessimo stato di conservazione dell’edificio aveva a tal punto infastidito il vicario da spingerlo a chiudere il luogo di culto fino a quando i collesi non avessero provveduto a ristrutturarlo.
Diversi anni prima, nel 1697, già Innigo Caracciolo, vescovo di Aversa e abate commendatario di San Vincenzo a Volturno, aveva ordinato durante la visita pastorale nella parrocchia collese la ristrutturazione della chiesa, avendo notato alcune profonde crepe sulle pareti. Il vescovo aveva affidato all’Università il compito di riparare l’edificio a sue spese. Questo ordine, probabilmente, non era stato eseguito.
Su richiesta delle autorità ecclesiastiche, i sindici avevano convocato tutti i capifamiglia, maschi e adulti, come era prassi all’epoca, per discutere sull’opportunità o meno di iniziare la ristrutturazione della chiesa. Se si fosse votato a favore del restauro, l’Università avrebbe provveduto anche a stanziare le risorse economiche necessarie per i lavori. Tutti i capifamiglia avevano acconsentito a finanziare la ristrutturazione della «Chiesa Parrocchiale».
I sindici organizzavano e presiedevano le assemblee pubbliche per deliberare sull’ordinaria amministrazione delle Università (o Universitates), le antiche istituzioni comunali del regno di Napoli. Solitamente, nelle grandi città erano convocati solo gli esponenti più in vista dell’aristocrazia e della borghesia. Al contrario, nei paesi rurali, come Colli, erano chiamati a partecipare alle riunioni tutti i capifamiglia, purché fossero maschi e maggiorenni.
Annualmente, con voto maggioritario, si eleggevano i sindici, gli amministratori locali a capo delle Università, il cui numero variava a seconda del numero degli abitanti residenti nella comunità, e i loro collaboratori, gli eletti. Questi svolgevano varie mansioni, dalla pulizia urbana al controllo dei pesi e delle misure nel commercio.
È sbagliato associare le Università ai moderni comuni. Infatti, pur avendo una certa autonomia amministrativa, soprattutto in campo fiscale, non avevano tuttavia le stesse funzioni delle odierne istituzioni comunali. Erano enti con personalità giuridica che rappresentavano la popolazione locale nelle controversie legali (e non solo) con i feudatari o i sovrani (nel caso in cui le Università appartenessero al Regio Demanio).
Per quanto riguarda, invece, la giurisdizione territoriale delle Universitates, a prescindere se fossero città (urbes) o borghi (civitates), avevano alle loro dipendenze i casali, ovvero villaggi di campagna dove risiedevano i contadini che lavoravano le terre demaniali o del feudatario. A loro volta, qualora il numero degli abitanti fosse cresciuto, questi insediamenti rurali potevano diventare Università e avere nelle loro pertinenze altri casali.
Le Università, istituite in età svevo-normanna, erano state ridimensionate dagli Angioini e dagli Aragonesi, indebolendo la loro autonomia e consentendo ai feudatari di influenzare l’elezione dei pubblici ufficiali. Sono sopravvissute fino all’eversione della feudalità nel 1806.