Tecnologia … mentale
Tecnologia … mentale
Il concetto di tecnologia nella accezione più diffusa rimanda alla strumentazione utilizzata come ausilio alla persona che deve eseguire una qualche azione o, oggigiorno, come sostituzione della persona con processi di automazione.
Il senso etimologico della parola (trattato sistematico) la considera come un insieme di elaborazioni teoriche e sistematiche, applicabili globalmente al dominio di riferimento cui avviene l’azione o il comportamento individuale o di gruppo.
In campo manageriale questa doppia valenza (in verità unica, nella prima accezione semplicemente caratterizzata in una sua componente) si esprime in queste due logiche:
- logica organizzativa: approcci (con i loro principi fondanti), metodi (tecniche) e strumenti che permettono di ideare, progettare, realizzare, eseguire e comportarsi nello specifico dominio (strategico, tattico, operativo). Ad esempio, l’approccio alla riorganizzazione efficientistica può usare il metodo del miglioramento continuo o quello discontinuo del reengineering esasperato, impiegando strumenti di analisi e rappresentazione manuali o basati su software specifico;
- logica applicativa: anche qui prevale il carattere strumentale per cui si ragione per macchinari, sistemi fisici, tecnologie informatiche e via dicendo.
Se mutuiamo queste logiche in ambito di pensiero e azione manageriali, verrebbero spontanee queste domande: se il ruolo di un manager è quello di organizzare e gestire le attività di cui è responsabile, quale approccio e metodo utilizza? E a quali strumenti fa riferimento?
Sarebbe funzionale, e bello, se in modo razionale considerasse l’approccio oggettivamente più adeguato al tipo di attività contingente che deve essere svolta, impiegando il metodo e gli strumenti più adatti. Oltre ad ottenere il risultato atteso, ciò dimostrerebbe anche la capacità di sapere comprendere il contesto, adattandovisi. Nella realtà situazioni così oggettive non si riscontrano di frequente: pare che una volta appresa (magari opportunisticamente sul piano personale) una tecnologia manageriale, questa diventa il punto costante d’azione. Potrebbe anche funzionare se non ci fosse un dettaglio non secondario: approccio e metodo sono poi agiti dai collaboratori, a loro volta coinvolti nella attività contingente. Queste persone sono parte della tecnologia? Sicuramente! Ma come co-interessati al risultato della attività o come puro strumento da utilizzare? Si fa presto a pretendere coinvolgimento, capacità di sviluppare empowerment – motivazione – collaborazione, ma quando la persona si percepisce come semplice strumento nelle mani del boss accadono due cose: la persona si adatta per sopravvivenza; la persona entra in zona di conflittualità. Entrambi i casi sono forieri di diminuzione della qualità del risultato finale: nella prima situazione il capo può non aver deciso correttamente e chi se ne rende conto tace; nel secondo caso, se il capo non è correttamente assertivo, il conflitto distoglie dall’obiettivo, in genere riducendo la performance finale.
Il modo con cui i manager (i capi in generale) considerano le persone appartiene alla loro tecnologia mentale: ci sono approcci diversi, metodi e comportamenti relazionali conseguenti e quindi strumenti, anche fisici (fortunatamente non corporali), impiegati. La letteratura sugli stili di direzione e la leadership è abbondantissima; il vissuto lo è altrettanto. L’invito è a ri-leggere e ri-pensare a ciò che viene proposto e a come ci si relaziona, per ri-costruire una propria tecnologia mentale razionalmente funzionale e BELLA!