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Vincoli ai contratti con i calciatori professionisti giovani di serie

In assenza di espressa manifestazione di volontà da parte dell’atleta, il vincolo sportivo triennale al quale può essere sottoposto il giovane di serie ex art. 33, c. 2, n.o.i.f., è illegittimo

Il Giudice Unico F.I.F.A. c/o la Commissione per lo Status dei Calciatori, (Single Judge of the Player’s Status Committee), con decisione del 23/10/2007, è intervenuto a gamba tesa, per così dire, nei riguardi dell’ordinamento sportivo calcistico italiano, manifestando forti dubbi e perplessità, a tacer d’altro, circa la legittimità delle modalità mediante cui una società di calcio professionistica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, c. 2., N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne F.I.G.C.), può esercitare il diritto di stipulare (di fatto, imponendolo) il primo contratto di calciatore professionista con un proprio tesserato (c.d. “giovane di serie”), a conclusione del periodo di “formazione e addestramento tecnico”.

Prima di procedere, però, all’analisi della fattispecie concreta che ha originato il significativo intervento giurisdizionale della F.I.F.A., è opportuno precisare, soprattutto a beneficio dei “non addetti ai lavori” di natura giuridico-calcistica, cosa si intenda per “giovane di serie” e per periodo di “formazione e addestramento tecnico”.

Quella di “giovane di serie” é la qualifica che un giovane calciatore assume al compimento del 14° anno di età, qualora sottoscriva la richiesta di tesseramento per una società associata ad una delle Leghe professionistiche (Lega Nazionale Professionisti e Lega Professionisti Serie C).

Il periodo di “formazione e addestramento tecnico”, invece, è l’arco temporale nel corso del quale il “giovane di serie” viene preparato all’impiego dei campionati disputati dalla società professionistica di appartenenza, sino al termine della stagione sportiva che ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie il 19° anno di età.

Tornando, ora, più specificamente, alla nostra vicenda, se ne riassumono, in breve, i tratti essenziali nei termini che seguono, allo scopo di offrire al lettore un più esaustivo quadro di riferimento:

1) all’inizio della s.s. 2007/08, una società sportiva professionistica italiana, a conclusione del periodo di “formazione e addestramento tecnico”, esercitava il diritto previsto dall’art. 33, c. 2, N.O.I.F.;

2) tuttavia, nell’agosto 2007, ovvero a distanza di circa un mese dall’inizio della stagione sportiva 2007/08, il giocatore contrattualizzato, improvvisamente, abbandonava la società di appartenenza e sottoscriveva un accordo economico biennale propostogli da un club professionistico elvetico (scadenza 2009);

3) il giorno successivo alla predetta sottoscrizione, la Federazione calcio svizzera -S.F.V.-, come previsto dalla normativa internazionale di settore, procedeva alla richiesta, nei confronti di quella italiana -F.I.G.C.-, del c.d. Certificato di Trasferimento Internazionale (International Transfer Certificate, I.C.T.), documento indispensabile ai fini del perfezionamento del tesseramento giocatore presso la nuova società.

La F.I.G.C., però, comunicava alla S.F.V. di essere impossibilitata al rilascio a causa delle obiezioni formulate dal sodalizio italiano, il quale aveva ritenuto illegittimo il trasferimento del proprio tesserato, poiché perfezionatosi in costanza di rapporto contrattuale e, soprattutto, in assenza di qualsivoglia accordo risolutivo consensuale.

4) la S.F.V., pertanto, si rivolgeva alla F.I.F.A. al fine di ottenere l’autorizzazione al tesseramento provvisorio del calciatore, in base a quanto previsto, ricorrendo determinate circostanze, dalle norme calcistiche internazionali.

Ora, ciò che in questa sede è opportuno evidenziare, non è tanto l’accoglimento, da parte del Giudice Unico F.I.F.A., della richiesta inoltrata dalla S.V.F. (con conseguente regolare tesseramento del calciatore da parte del club elvetico), ma i motivi che l’organo giudicante ha posto a fondamento della propria decisione.

Preliminarmente, il Giudice Unico F.I.F.A. ha inteso acclarare la sussistenza o meno di un effettivo vincolo contrattuale tra il calciatore e la società sportiva italiana.

A tale riguardo, la pronuncia è stata negativa, sull’assunto, corroborato anche in base a precedenti giurisprudenziali sia della Camera di Risoluzione delle Controversie della F.I.F.A. (Dispute Resolution Chamber, D.R.C.) che del Tribunale Arbitrale dello Sport (Tribunal Arbitral du Sport, T.A.S.), in base al quale l’esercizio di un’opzione unilaterale che un club eserciti, nei riguardi di un proprio tesserato, nei termini e secondo le modalità descritte, non può essere tenuto affatto in considerazione (“an unilateral option in favour of a club cannot be considered”), dal momento che, in tal senso, risulterebbe eccessivamente limitata la libertà del giocatore, determinandosi un ingiustificato affievolimento dei suoi diritti nei confronti della società sportiva.

Il medesimo Giudice Unico F.I.F.A., peraltro, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, nemmeno risultava acquisita agli atti la prova documentale afferente alla c.d. proposta di contratto invocata dal club italiano, ha acclarato, a fortiori, l’insussistenza del vincolo giuridico tra il club italiano e il proprio tesserato.

E’ interessante, a questo punto, domandarsi, la ragione per cui il Giudice internazionale non abbia ritenuto meritevole di tutela giuridica il tipo di vincolo in questione cui era stato sottoposto il “giovane di serie”.

A tal proposito non si può che tener conto delle modalità operative attraverso cui il sistema normativo endofederale regolamenta la fattispecie in esame e che, in effetti, suscitano qualche dubbio di legittimità.

In sostanza, nell’ipotesi in cui un club associato ad una delle Leghe professionistiche intenda acquisire le prestazioni sportive di un proprio “giovane di serie”, al termine del periodo di “formazione e addestramento tecnico”, può sottoporre al tesserato quella che, tecnicamente, viene indicata quale (già richiamata) “proposta di contratto”; materialmente, una comunicazione (effettuabile anche via fax), con la quale, in sostanza, si impone all’atleta il vincolo triennale, senza possibilità di non accettare, anche perché non è necessaria la sottoscrizione.

Ne consegue che detta comunicazione si risolve in un atto formale che ufficializza una situazione di fatto, ovvero un rapporto giuridico non suscettibile di modifica alcuna.

Dunque, proprio l’assenza di qualsivoglia manifestazione di volontà da parte del calciatore nella stipula dell’accordo, ha indotto il Giudice Unico F.I.F.A. a ritenerlo giuridicamente invalido, proprio perché non perfezionatosi all’esito di un’effettiva negoziazione tra le parti.

In tema specifico, peraltro, non è nemmeno la prima volta che Giudice Unico F.I.F.A. è intervenuto, essendosi, infatti, già pronunciato con altra decisione del 29/08/2007.

Questa volta, però, l’autorizzazione a disporre il tesseramento provvisorio era stata richiesta (e accordata) alla F.I.G.C., in relazione ad un calciatore francese al quale si era interessato un club professionistico italiano.

Infatti, la Federazione calcio francese -F.F.F.- aveva negato il rilascio del Certificato di Trasferimento Internazionale, sulla base di una ferrea opposizione della società sportiva francese di originaria appartenenza dell’atleta, per essersi vista (quest’ultima) opporre un netto rifiuto, da parte del giocatore, nei riguardi dell’offerta di sottoscrivere quello che secondo l’ordinamento sportivo calcistico francese viene comunemente individuato come contratto d’elite (c.d. Contrat Elite), senza dubbio assimilabile alla menzionata “proposta di contratto” di cui all’art. 33, c. 2, N.O.I.F..

E’ innegabile come le pronunce riportate, e le altre che potrebbero susseguirsi in tema specifico, risultino, per certi versi, devastanti, minando alla base l’attività vivaistica che, come é noto, richiede costanti e ingenti investimenti da parte dei clubs professionistici interessati a pianificarne lo sviluppo, il quale, invece, rebus sic stantibus, risulterebbe inevitabilmente compromesso.

Che interesse nutrirebbe una società professionistica in ordine alla cura dell’addestramento tecnico-tattico di un giovane calciatore, sapendo che dei frutti di quell’attività potrebbe avvantaggiarsi altro club presso cui l’atleta intenda liberamente trasferirsi a conclusione del processo formativo?

Certo, la società sportiva che si ritenga pregiudicata, avrebbe, in ogni caso, il diritto di rivolgersi alla Camera per la Risoluzione delle Controversie c/o la F.I.F.A., al fine di ottenere un’eventuale declaratoria di responsabilità relativamente alla unilaterale risoluzione del contratto, unitamente al ristoro dei danni subiti.

Invero, però, la non immediatezza della procedura, oltre che il rapporto di scarsa proporzionalità tra l’ammontare dell’importo risarcitorio medio che la F.I.F.A. in genere corrisponde e di quanto la società sportiva potrebbe effettivamente ricavare dalla capitalizzazione che discenda dalla cessione ad altro club del giovane calciatore (di interesse nazionale e/o internazionale), connotano di maggiore pregiudizio un già significativo depauperamento di risorse.

Recepire il principio espresso al Giudice Unico F.I.F.A., magari con la previsione di clausole di salvaguardia a tutela delle società sportive, o lasciare immutato lo stato di fatto attuale?

Alla F.I.G.C. il compito di intervenire.

In assenza di espressa manifestazione di volontà da parte dell’atleta, il vincolo sportivo triennale al quale può essere sottoposto il giovane di serie ex art. 33, c. 2, n.o.i.f., è illegittimo

Il Giudice Unico F.I.F.A. c/o la Commissione per lo Status dei Calciatori, (Single Judge of the Player’s Status Committee), con decisione del 23/10/2007, è intervenuto a gamba tesa, per così dire, nei riguardi dell’ordinamento sportivo calcistico italiano, manifestando forti dubbi e perplessità, a tacer d’altro, circa la legittimità delle modalità mediante cui una società di calcio professionistica, ai sensi e per gli effetti dell’art. 33, c. 2., N.O.I.F. (Norme Organizzative Interne F.I.G.C.), può esercitare il diritto di stipulare (di fatto, imponendolo) il primo contratto di calciatore professionista con un proprio tesserato (c.d. “giovane di serie”), a conclusione del periodo di “formazione e addestramento tecnico”.

Prima di procedere, però, all’analisi della fattispecie concreta che ha originato il significativo intervento giurisdizionale della F.I.F.A., è opportuno precisare, soprattutto a beneficio dei “non addetti ai lavori” di natura giuridico-calcistica, cosa si intenda per “giovane di serie” e per periodo di “formazione e addestramento tecnico”.

Quella di “giovane di serie” é la qualifica che un giovane calciatore assume al compimento del 14° anno di età, qualora sottoscriva la richiesta di tesseramento per una società associata ad una delle Leghe professionistiche (Lega Nazionale Professionisti e Lega Professionisti Serie C).

Il periodo di “formazione e addestramento tecnico”, invece, è l’arco temporale nel corso del quale il “giovane di serie” viene preparato all’impiego dei campionati disputati dalla società professionistica di appartenenza, sino al termine della stagione sportiva che ha inizio nell’anno in cui il calciatore compie il 19° anno di età.

Tornando, ora, più specificamente, alla nostra vicenda, se ne riassumono, in breve, i tratti essenziali nei termini che seguono, allo scopo di offrire al lettore un più esaustivo quadro di riferimento:

1) all’inizio della s.s. 2007/08, una società sportiva professionistica italiana, a conclusione del periodo di “formazione e addestramento tecnico”, esercitava il diritto previsto dall’art. 33, c. 2, N.O.I.F.;

2) tuttavia, nell’agosto 2007, ovvero a distanza di circa un mese dall’inizio della stagione sportiva 2007/08, il giocatore contrattualizzato, improvvisamente, abbandonava la società di appartenenza e sottoscriveva un accordo economico biennale propostogli da un club professionistico elvetico (scadenza 2009);

3) il giorno successivo alla predetta sottoscrizione, la Federazione calcio svizzera -S.F.V.-, come previsto dalla normativa internazionale di settore, procedeva alla richiesta, nei confronti di quella italiana -F.I.G.C.-, del c.d. Certificato di Trasferimento Internazionale (International Transfer Certificate, I.C.T.), documento indispensabile ai fini del perfezionamento del tesseramento giocatore presso la nuova società.

La F.I.G.C., però, comunicava alla S.F.V. di essere impossibilitata al rilascio a causa delle obiezioni formulate dal sodalizio italiano, il quale aveva ritenuto illegittimo il trasferimento del proprio tesserato, poiché perfezionatosi in costanza di rapporto contrattuale e, soprattutto, in assenza di qualsivoglia accordo risolutivo consensuale.

4) la S.F.V., pertanto, si rivolgeva alla F.I.F.A. al fine di ottenere l’autorizzazione al tesseramento provvisorio del calciatore, in base a quanto previsto, ricorrendo determinate circostanze, dalle norme calcistiche internazionali.

Ora, ciò che in questa sede è opportuno evidenziare, non è tanto l’accoglimento, da parte del Giudice Unico F.I.F.A., della richiesta inoltrata dalla S.V.F. (con conseguente regolare tesseramento del calciatore da parte del club elvetico), ma i motivi che l’organo giudicante ha posto a fondamento della propria decisione.

Preliminarmente, il Giudice Unico F.I.F.A. ha inteso acclarare la sussistenza o meno di un effettivo vincolo contrattuale tra il calciatore e la società sportiva italiana.

A tale riguardo, la pronuncia è stata negativa, sull’assunto, corroborato anche in base a precedenti giurisprudenziali sia della Camera di Risoluzione delle Controversie della F.I.F.A. (Dispute Resolution Chamber, D.R.C.) che del Tribunale Arbitrale dello Sport (Tribunal Arbitral du Sport, T.A.S.), in base al quale l’esercizio di un’opzione unilaterale che un club eserciti, nei riguardi di un proprio tesserato, nei termini e secondo le modalità descritte, non può essere tenuto affatto in considerazione (“an unilateral option in favour of a club cannot be considered”), dal momento che, in tal senso, risulterebbe eccessivamente limitata la libertà del giocatore, determinandosi un ingiustificato affievolimento dei suoi diritti nei confronti della società sportiva.

Il medesimo Giudice Unico F.I.F.A., peraltro, tenendo conto anche del fatto che, in realtà, nemmeno risultava acquisita agli atti la prova documentale afferente alla c.d. proposta di contratto invocata dal club italiano, ha acclarato, a fortiori, l’insussistenza del vincolo giuridico tra il club italiano e il proprio tesserato.

E’ interessante, a questo punto, domandarsi, la ragione per cui il Giudice internazionale non abbia ritenuto meritevole di tutela giuridica il tipo di vincolo in questione cui era stato sottoposto il “giovane di serie”.

A tal proposito non si può che tener conto delle modalità operative attraverso cui il sistema normativo endofederale regolamenta la fattispecie in esame e che, in effetti, suscitano qualche dubbio di legittimità.

In sostanza, nell’ipotesi in cui un club associato ad una delle Leghe professionistiche intenda acquisire le prestazioni sportive di un proprio “giovane di serie”, al termine del periodo di “formazione e addestramento tecnico”, può sottoporre al tesserato quella che, tecnicamente, viene indicata quale (già richiamata) “proposta di contratto”; materialmente, una comunicazione (effettuabile anche via fax), con la quale, in sostanza, si impone all’atleta il vincolo triennale, senza possibilità di non accettare, anche perché non è necessaria la sottoscrizione.

Ne consegue che detta comunicazione si risolve in un atto formale che ufficializza una situazione di fatto, ovvero un rapporto giuridico non suscettibile di modifica alcuna.

Dunque, proprio l’assenza di qualsivoglia manifestazione di volontà da parte del calciatore nella stipula dell’accordo, ha indotto il Giudice Unico F.I.F.A. a ritenerlo giuridicamente invalido, proprio perché non perfezionatosi all’esito di un’effettiva negoziazione tra le parti.

In tema specifico, peraltro, non è nemmeno la prima volta che Giudice Unico F.I.F.A. è intervenuto, essendosi, infatti, già pronunciato con altra decisione del 29/08/2007.

Questa volta, però, l’autorizzazione a disporre il tesseramento provvisorio era stata richiesta (e accordata) alla F.I.G.C., in relazione ad un calciatore francese al quale si era interessato un club professionistico italiano.

Infatti, la Federazione calcio francese -F.F.F.- aveva negato il rilascio del Certificato di Trasferimento Internazionale, sulla base di una ferrea opposizione della società sportiva francese di originaria appartenenza dell’atleta, per essersi vista (quest’ultima) opporre un netto rifiuto, da parte del giocatore, nei riguardi dell’offerta di sottoscrivere quello che secondo l’ordinamento sportivo calcistico francese viene comunemente individuato come contratto d’elite (c.d. Contrat Elite), senza dubbio assimilabile alla menzionata “proposta di contratto” di cui all’art. 33, c. 2, N.O.I.F..

E’ innegabile come le pronunce riportate, e le altre che potrebbero susseguirsi in tema specifico, risultino, per certi versi, devastanti, minando alla base l’attività vivaistica che, come é noto, richiede costanti e ingenti investimenti da parte dei clubs professionistici interessati a pianificarne lo sviluppo, il quale, invece, rebus sic stantibus, risulterebbe inevitabilmente compromesso.

Che interesse nutrirebbe una società professionistica in ordine alla cura dell’addestramento tecnico-tattico di un giovane calciatore, sapendo che dei frutti di quell’attività potrebbe avvantaggiarsi altro club presso cui l’atleta intenda liberamente trasferirsi a conclusione del processo formativo?

Certo, la società sportiva che si ritenga pregiudicata, avrebbe, in ogni caso, il diritto di rivolgersi alla Camera per la Risoluzione delle Controversie c/o la F.I.F.A., al fine di ottenere un’eventuale declaratoria di responsabilità relativamente alla unilaterale risoluzione del contratto, unitamente al ristoro dei danni subiti.

Invero, però, la non immediatezza della procedura, oltre che il rapporto di scarsa proporzionalità tra l’ammontare dell’importo risarcitorio medio che la F.I.F.A. in genere corrisponde e di quanto la società sportiva potrebbe effettivamente ricavare dalla capitalizzazione che discenda dalla cessione ad altro club del giovane calciatore (di interesse nazionale e/o internazionale), connotano di maggiore pregiudizio un già significativo depauperamento di risorse.

Recepire il principio espresso al Giudice Unico F.I.F.A., magari con la previsione di clausole di salvaguardia a tutela delle società sportive, o lasciare immutato lo stato di fatto attuale?

Alla F.I.G.C. il compito di intervenire.