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Violenza sessuale con “abuso di autorità”: per le Sezioni Unite può essere anche di fatto e di natura privata

Aurora Boreale
Ph. Federico Radi / Aurora Boreale

Con la recente sentenza 1 ottobre 2020, n. 27326 (ud. 16 luglio 2020), le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute in tema di violenza sessuale per dirimere un contrasto giurisprudenziale avente ad oggetto l’esatta interpretazione del concetto di “abuso di autorità” e, in particolare, la necessità della natura pubblicistica e formale o anche privatistica e di fatto della posizione autoritativa di cui il soggetto abusa per costringere la persona offesa a compiere o subire atti sessuali.

All’esito del giudizio abbreviato condizionato, il Giudice dell’Udienza Preliminare aveva affermato la penale responsabilità dell’imputato in relazione al reato di cui agli articoli 81, secondo comma, e 609-quater, quarto comma, Codice Penale, così riqualificando l’originaria imputazione riferita agli articoli 81, secondo comma, 609-bis, 609-ter, n. 1, Codice Penale, perché, “in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, in qualità di insegnante di inglese che impartiva lezioni private e, quindi, con abuso di autorità, aveva costretto due alunne, minori degli anni quattordici, a subire ed a compiere su di lui atti sessuali”, consistiti in toccamenti delle parti intime e baci sulla bocca. Ciò in quanto aveva ritenuto l’insegnante privato escluso dall’ambito di applicazione delle disposizioni normative originariamente contestate (violenza sessuale c.d. costrittiva per abuso di autorità).

La Corte d’appello, in accoglimento dell’impugnazione proposta dal Procuratore e dalle parti civili, aveva parzialmente riformato la decisione di primo grado, riqualificando i fatti nei termini indicati dall’originaria imputazione (articoli 81, secondo comma, 609-bis, 609-ter, n. 1, Codice Penale), rideterminando in aumento il trattamento sanzionatorio.

Avverso detta pronuncia, l’imputato proponeva ricorso per cassazione, lamentando, tra i vari motivi, violazione degli articoli 609-bis e 609-quater Codice Penale per non essersi il giudice di appello conformato all’orientamento interpretativo seguito dal giudice di primo grado, secondo cui “l’abuso di autorità di cui all’articolo 609-bis, primo comma, cod. pen., presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovate applicazione la diversa ipotesi dell’articolo 609-quater”.

Il ricorso è stato assegnato alla Terza Sezione Penale, che ha rilevato, con riferimento alla violenza sessuale c.d. costrittiva di cui al comma 1 dell’articolo 609-bis Codice Penale, l’esistenza di due opposti orientamenti in ordine alla qualificazione della natura della posizione autoritativa di cui il soggetto agente abusa per il compimento di atti sessuali.

Secondo il primo orientamento, la condotta alternativa di cui all’articolo 609-bis Codice Penale presuppone nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale, sussistendo ulteriori presupposti, quale la minore età della persona offesa, troverebbe applicazione la diversa ipotesi di cui all’articolo 609-quater Codice Penale. Al contrario, sulla base di un diverso indirizzo interpretativo, il potere di supremazia di cui abusa l’autore del delitto di violenza sessuale potrebbe essere anche di natura privata.

Riscontrato detto contrasto giurisprudenziale, con ordinanza 24 gennaio 2020, n. 2888 (ud. 4 ottobre 2019), il ricorso è stato rimesso alle Sezioni Unite per la risoluzione della seguente questione di diritto: “se, in tema di violenza sessuale, l’abuso di autorità di cui all’articolo 609-bis, primo comma, cod. pen. presupponga nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico o, invece, possa riferirsi anche a poteri di supremazia di natura privata di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.

 

La giurisprudenza sulla natura pubblicistica e formale della posizione di autorità

Al fine di dare soluzione alla questione giuridica prospettata nell’ordinanza di rimessione, la Corte di Cassazione, nella sua più autorevole composizione, ha ripercorso le pronunce più importanti inerenti gli orientamenti interpretativi rilevati, osservando come la tesi della natura pubblicistica della posizione di autorità richiamata dalla disposizione incriminatrice in esame si fosse affermata già all’indomani dell’entrata in vigore della legge 15 febbraio 1996, n. 66, introduttiva delle fattispecie di cui agli articoli 609-bis e ss. Codice Penale e abrogatrice delle disposizioni in tema di delitti contro la libertà sessuale di cui agli articoli 519 (“Della violenza carnale”), 520 (“Congiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale”) e 521 (“Atti di libidine violenti”) Codice Penale.

Con sentenza del 31 maggio 2000 (dep. il 5 luglio 2000), n. 13, le stesse Sezioni Unite della Corte di Cassazione, dando soluzione ad una questione relativa all’articolo 609-ter Codice Penale, avevano affermato, seppur in via incidentale, che l’abuso di autorità di cui all’articolo 609-bis, primo comma, Codice Penale presupponeva nell’agente una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in quanto l’articolo 609-bis aveva sostituito il precedente articolo 520 che già contemplava l’abuso della qualità di pubblico ufficiale. Pertanto, la Cassazione aveva escluso l’applicabilità della disposizione richiamata nei confronti di un insegnante privato che aveva compiuto atti sessuali con un minore di anni sedici, a lui affidato per ragioni di istruzione ed educazione e, di contro, aveva ritenuto corretta la qualificazione del fatto - operata dai giudici di merito - in atti sessuali con minorenne di cui all’articolo 609-quater Codice Penale.

In una diversa pronuncia, successiva all’entrata in vigore della legge 6 febbraio 2006, n. 38 che aveva introdotto un nuovo comma nell’articolo 609-quater Codice Penale, la Corte di Cassazione aveva confermato il predetto orientamento facendo riferimento ad un argomento di carattere sistematico, osservando che, considerando l’abuso di autorità riferibile anche a poteri di carattere privatistico, verrebbe meno la possibilità di distinguere l’ipotesi di reato contemplata dall’articolo 609-bis, primo comma, cod. pen. dall’ipotesi di rapporto sessuale con abuso di potere parentale o tutorio ora previsto dall’articolo 609-quater, secondo comma, cod. pen.” (Cass., sentenza 2283/2007). Così facendo, l’articolo 609-quater, secondo comma, Codice Penale, presupponendo espressamente la inapplicabilità delle ipotesi previste dall’articolo 609-bis Codice Penale, tra cui quelle commesse con abuso di autorità, sarebbe rimasto privo di effetti. In altri termini, interpretando la posizione di autorità di cui all’articolo 609-bis Codice Penale in senso anche non pubblicistico e, dunque, ricomprendente ipotesi di abuso di autorità di carattere privatistico e familiare, si sarebbe giunti ad una implicita abrogazione della disposizione di cui all’articolo 609-quater, comma secondo, Codice Penale.

 

Il più recente orientamento sulla natura privatistica della posizione autoritativa dell’agente

Il diverso orientamento interpretativo che propende per un più ampio concetto di abuso di autorità, “comprensivo di ogni relazione, anche di natura privata, in cui l’autore del reato riveste una posizione di supremazia della quale si avvale per coartare la volontà della persona offesa”, inizia a farsi strada a partire dalla sentenza n. 2119/2009 (caso in cui l’imputato era convivente della madre della persona offesa) e, in modo ancor più incisivo, con la sentenza n. 23873/2009, in cui la Cassazione aveva dato conto del formarsi di un “diverso orientamento che colloca nell’ambito dell’abuso di autorità ogni forma di strumentalizzazione del rapporto di supremazia, senza distinzioni tra autorità pubblica e privata” e aveva ritenuto integrato il delitto di violenza sessuale in un caso di abuso della potestà genitoriale, assumendo a fondamento del proprio ragionamento il concetto di “autorità” così come espresso dall’articolo 61 n. 11 Codice Penale.

Detta disposizione, che prevede come aggravante (comune) il fatto di realizzare la condotta criminosa con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero di relazioni d’ufficio, di prestazioni d’opera, di coabitazione o di ospitalità, è sempre stata interpretata dalla giurisprudenza in modo molto ampio, tale da ricomprendere sia posizioni autoritative pubblicistiche sia posizioni di natura privata. Peraltro, si osserva nella sentenza, che dove il legislatore ha voluto far riferimento a posizioni autoritative pubblicistiche ha usato espressamente concetti come quelli di “pubblico ufficiale”, di cui si fa menzione nell’abrogato articolo 520 Codice Penale ma non nell’articolo 609-bis Codice Penale.

Avverso le argomentazioni secondo le quali l’interpretazione estensiva del concetto di autorità di cui all’articolo 609-bis Codice Penale porterebbe all’abrogazione implicita dell’articolo 609-quater, comma secondo, Codice Penale, la giurisprudenza di legittimità ha più volte evidenziato la diversità ontologica tra le fattispecie di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne.

La Corte ha, infatti, affermato (Cass., sentenza n. 49990/2014), che, oltre all’utilizzo di espressioni diverse (l’articolo 609-bis Codice Penale fa riferimento al concetto di “abuso di autorità”, mentre l’articolo 609-quater Codice Penale a quello di “abuso di poteri”), il delitto di atti sessuali con minorenne si caratterizza per l’assenza di costrizione, richiesta, invece, per la configurabilità della fattispecie di violenza sessuale.

Più di recente, i giudici di legittimità (Cass., sentenza n. 33042/2016) hanno evidenziato, da una parte, la diversità della fattispecie di violenza sessuale rispetto alle previgenti disposizioni in materia sessuale, essendo anche mutato il bene giuridico tutelato dalla fattispecie di violenza sessuale rispetto alla previgente disciplina, che non è più la moralità pubblica e il buon costume, ma la libertà personale, e, dall’altra, la distinzione tra detta fattispecie e quella di atti sessuali con minorenne, per l’utilizzo di espressioni anche differenti, per cui nella fattispecie di violenza sessuale, utilizzandosi l’espressione di “abuso di autorità”, si rileverebbe una strumentalizzazione della dimensione soggettiva dell’autorità, mentre nel delitto di atti sessuali con minorenne, con l’utilizzo dell’espressione “abuso dei poteri”, verrebbe ad essere strumentalizzata la dimensione oggettiva, funzionale, dei poteri connessi alla posizione dell’agente.

 

La decisione delle Sezioni Unite

Al termine della disamina giurisprudenziale qui sintetizzata, la Cassazione ha ritenuto non condivisibili gli argomenti alla base dell’orientamento interpretativo maggiormente restrittivo del concetto di abuso di autorità.

I giudici di legittimità, in perfetta opposizione con quanto sostenuto dalle Sezioni Unite nella già citata sentenza n. 13/2000, hanno ritenuto non determinante il riferimento alle abrogate disposizioni di cui agli articoli 519 e 520 Codice Penale, rispetto alle quali le disposizioni attualmente vigenti sarebbero del tutto scollegate. La collocazione della fattispecie di violenza sessuale tra i reati contro la libertà personale e la pacifica natura di reato comune renderebbero evidente – secondo i giudici di legittimità – l’intenzione del legislatore (ratio legis della legge 15 febbraio 1996, n. 66) di ampliare l’ambito di applicabilità dell’articolo 609-bis Codice Penale, svincolandolo dal riferimento alla figura del pubblico ufficiale, di cui al previgente articolo 520 Codice Penale ma tuttora previsto in altre disposizioni, come l’articolo 608 Codice Penale, concernente l’abuso di autorità contro arrestati o detenuti.

Peraltro, come già evidenziato in altre pronunce, la Cassazione ha osservato come il concetto di autorità sia pacificamente interpretato in senso ampio, ricomprendente posizioni di preminenza non necessariamente di derivazione pubblicistica, anche in altre disposizioni, come quella di cui all’articolo 61 n. 11 Codice Penale, come risultante dal confronto con la disposizione n. 9 del medesimo articolo, o altre disposizioni richiamate dalla dottrina, quali l’abrogato articolo 671 Codice Penale e l’articolo 609-octies Codice Penale che attualmente sanziona condotte analoghe, nonché gli articoli 571, 600 e 601 Codice Penale.

Avverso le argomentazioni che, a sostegno della tesi maggiormente restrittiva, individuano una implicita abrogazione dell’articolo 609-quater, comma secondo, Codice Penale a seguito di una estensiva interpretazione del concetto di autorità di cui all’articolo 609-bis Codice Penale, la Cassazione ha osservato come detti argomenti perdano consistenza non soltanto per la presenza della clausola di riserva e la diversa formulazione dell’articolo 609-quater Codice Penale, che si riferisce non all’abuso di autorità ma all’abuso di poteri, ma anche per la diversa conformazione della condotta sanzionata, che per il delitto di atti sessuali con minorenne non richiede la costrizione del minore, non capace comunque di esprimere un valido consenso, tanto che il bene giuridico tutelato da quest’ultima fattispecie non è la libertà di autodeterminazione del minore ma la sua integrità fisico-psichica nella prospettiva di un corretto sviluppo della propria sessualità.

Peraltro, hanno osservato i giudici, un’interpretazione restrittiva della fattispecie di violenza sessuale risulterebbe in evidente contrasto con l’esigenza di tutelare la libertà sessuale della persona in situazioni in cui rilevano rapporti di natura privatistica, come nel caso dei rapporti di lavoro dipendente (anche irregolare), o in ambito sportivo, religioso, professionale e all’interno di determinate comunità, associazioni o gruppi di individui, comunque meritevoli di tutela.

E infine, la Corte di Cassazione ha aggiunto che detta posizione di autorità di natura non necessariamente pubblicistica può anche non derivare da una espressa previsione di legge ed essere, dunque, anche solo di fatto, in quanto “se ciò che rileva è la coartazione della volontà della vittima, posta in essere da una posizione di preminenza, la specifica qualità del soggetto agente resta in secondo piano rispetto alla strumentalizzazione di tale posizione, quale ne sia l’origine”.

Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno, pertanto, dato soluzione alla questione giuridica rimessa enunciando il seguente principio di diritto: “L’abuso di autorità cui si riferisce l’articolo 609-bis, comma primo, cod. pen. presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.

Con riferimento al caso di specie, la Corte di Cassazione, rilevato il carattere di preminenza della posizione dell’agente (insegnante privato) rispetto a quella delle vittime (sue allieve), ha evidenziato come dalle risultanze processuali fossero emersi “dati fattuali significativi della costrizione esercitata sulle allieve e la stretta connessione con la strumentalizzazione del ruolo di docente”, quali “la rivelazione delle violenze subite solo a distanza di tempo e solo dopo il superamento di riserve psicologiche, circostanza ritenuta indicativa dell’autorevolezza che contraddistingueva il rapporto tra l’imputato e le minori”.

Per le ragioni suesposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalle parti civili costituite in giudizio.