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20 settembre 1870: dalla parte dei vinti

Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, Cappella Bacci, Arezzo
Ph. Antonio Zama / Piero della Francesca, Storie della Vera Croce, Cappella Bacci, Arezzo

In occasione della ricorrenza della presa di Roma del 20 settembre 1870, l’anno scorso, riportando stralci de Con l’Italia mai! (Alfio Caruso, Longanesi 2015), abbiamo ricordato i combattimenti, in particolare quelli che videro coinvolti gli zuavi del Pontefice: Breccia di Porta Pia: onore ai caduti, anche del Papa Re.

Quest’anno ricordiamo i vinti, sempre ricorrendo all’opera di Caruso.

«Kanzler riceve una lettera da Cadorna con le indicazioni per l’indomani: entro mezzogiorno uscita da Porta San Pancrazio dei reparti, ai quali due brigate in alta uniforme renderanno gli onori militari. Consegnate le armi e le bandiere, i soldati stranieri verranno condotti a Civitavecchia per il rimpatrio con le navi, quelli italiani suddivisi nelle fortezze del settentrione. Resta confermata la possibilità per chi lo desidera di arruolarsi nel regio esercito conservando grado e anzianità di servizio.

All’alba gli ufficiali comunicano le disposizioni alla truppa. Molti reagiscono spezzando fucili, sciabole, pistole pur di non cederli. Alle 10 Rivalta legge il toccando addio di Kanzler. Viene poi distribuito il denaro donato da Pio IX per affrontare le prime necessità del ritorno a casa, delle settimane di prigionia, che comunque si prospettano. Inaspettatamente il Papa si affaccia da una finestra di piazza San Pietro per impartire la benedizione ai militari, dai quali con tanta passione è stato servito.

Kanzler ha chiesto e ottenuto di essere esentato dal guidare la truppa nella parata finale. Lo sostituiscono de Courten e Zappi. A Porta San Pancrazio li aspettano Cadorna, Bixio, Mazè de la Roche, i loro seguiti. Tra gli sconfitti qualcuno lancia il consueto “Via Pio IX”, Bixio se ne lamenta con de Courten. Al rancoroso Cadorna, sempre insofferente nei confronti degli ex garibaldini, non pare neanche vero di poter censurare il proprio subordinato.

Ma Bixio non demorde. A don Alfonso Carlo di Borbone d’Austria-Este chiede, senza riconoscerlo, di poter scambiare la sciabola. Il principe rifiuta: è appartenuta a mio nonno. Chi sarà mai stato? La risposta entusiasma i pontifici: se fosse salito sul trono di Spagna, si sarebbe chiamato Carlo V.

Gli italiani, che hanno combattuto per il Pontefice e non accettano di passare dall’altra parte, sono rassegnati a lunghe settimane di quasi prigionia in attesa che la trafila burocratica consenta il ritorno a Roma o nei luoghi d’origine. Molti lamentano di esser strati svillanneggiati, bastonati, sputacchiati.

Ben diverso il destino dei francesi inquadrati nei legionari, nei carabinieri, negli zuavi.

Sbarcati il 27 settembre a Tolone, sono subito arruolati dal governo provvisorio, che non si vuole arrendere a Bismark e von Moltke, nella “Legione dei Volontari dell’Ovest”. Mantengono la vecchia uniforme, la bandiera è invece sostituita da una con l’emblema del sacro Cuore e la scritta “Coeur de Jésus sauvez la France”. Ma la Repubblica subentrata all’impero non può più essere salvata dall’incombere delle massicce armate prossiane.

Gli ex zuavi, sotto il comando di de Charrette, subentrato ad Allet, rincasato nella natia Svizzera, fanno parte dell’armata della Loira. L’11 ottobre a Cercottes le prime tra compagnie condotte dal capitano Le Gonidec ricevono un eroico battesimo del fuoco. Vengono poi formati due battaglioni, il primo al comando di de Moncuit, il secondo di Le Gonidec. I più s’immolano il 2 dicembre nella leggendaria carica alla baionetta di Loigny urlando “Viva la Francia, viva Pio IX”. Muoiono in 18 ufficiali e 198 soldati su 300.

Dopo la firma della pace i legionari rifiutano l’invito a entrare nell’esercito regolare, rimangono fedeli al giuramento a Pio IX. Lo rinnoveranno ogni 2 giugno con un banchetto commemorativo per celebrare la fondazione del corpo. Ne sarà presente un buon numero a Montmartre quando verrà festeggiato nel 1910 il cinquantenario