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Abbiamo smarrito il discernimento?

Oasi Faunistica di Vendicari, Noto
Ph. Simona Loprete / Oasi Faunistica di Vendicari, Noto

Si può pensare che stiamo lasciando dietro di noi un periodo infausto. La totalità delle persone si è trovata ad affrontare difficoltà e situazioni impreviste e, spesso, con poche risorse, non solo finanziarie ma anche cognitive, e grandi incertezze per il futuro.

Il famoso acronimo V.U.C.A. (Volatility, Uncertainty, Complexity e Ambiguity) forse può aiutare a descrivere la realtà che attualmente abbraccia la nostra esistenza tuttavia, e questa sembra l’effettiva percezione, appare come un ornamento criptico insoddisfacente, in quanto non riesce a smuoverci dallo stallo che l’indecisione porta con sé facendo provare all’essere umano una grande inettitudine.

Gli eventi politici, economici, biologici ed epidemiologici che hanno caratterizzato la fine del primo ventennio del XXI secolo hanno civilmente, sia concesso l’avverbio, ma inequivocabilmente, messo a nudo la carenza, che possiamo meglio definire come distanza tra la realtà reale e la conoscenza della realtà, degli strumenti cognitivo-tecnici a nostra disposizione – pur riconoscendone il loro grande valore, quale esito positivo dell’intelligenza umana – per poter far fronte alle difficoltà ed alle preoccupazioni che la vita presenta.

Come, e se, è possibile anticipare il futuro per non lasciarci sorprendere quando diventa presente?

L’evidenza storica ha mostrato come modelli virtuosi, capaci di interpretare l’esistente, validi in condizioni di relativa stabilità, non han saputo garantire i risultati sperati. In altre parole, questi dispositivi ermeneutici non offrono soluzioni valide semper, ubique et pro semper. Una certezza data dall’esperienza: la pretesa di controllare tutte le variabili che entrano in gioco, quando si deve scegliere, risulta essere una sfida improba perché la realtà possiede una consistenza così profonda ed estesa, che si modella in relazione alle nostre percezioni ed alle nostre condotte inoltre, reagisce combinandosi con una complessità di azioni e retroazioni, individuali e collettive. 

Quindi? Considerato che una retrocessione a formule taumaturgiche o ad audaci riti apotropaici sarebbe una pesante sconfitta per l’essere umano, proviamo a considerare l’ambito etico. Ognuno di noi pratica un’attenzione riflessa ogni volta che pone in essere una scelta: si tratta del discernimento, concetto antropologicamente fondato.

Cos’è discernimento? In estrema sintesi riguarda la scelta del bene e del male e dunque la sopravvivenza stessa della società e delle sue articolazioni.

Qual è l’onere? Definire ciò che è bene. È possibile farlo senza un meta-riferimento? C’è chi ritiene sia possibile.

In realtà in ogni dinamica di accordo, anche quella nella quale si ritenga che la funzionalità sia esclusiva, al punto di oscurare ogni meta-riferimento, in realtà è presente un’eccedenza, se vogliamo implicita, che si deve esplicitare. Potremmo chiamare questa eccedenza, costantemente presente e mai compiutamente realizzata, valore. Ognuno di noi, e quello che stiamo asserendo è confermato dai diversi interventi precedenti di UM, ha la responsabilità di partecipare a questo mondo e di rinnovare, in modo onesto, incorrotto ed incorruttibile, il proprio modo di pensare per capire ciò che è buono nei diversi contesti abitati, compresi quelli professionali.

Lo sforzo di comprendere e di interiorizzare ciò che è bene, coesistono nel dubbio delle proprie scelte, soprattutto nelle decisioni che intendono ipotecare definitivamente il futuro. Tuttavia, ragione e coscienza accomunano tutti gli uomini, i quali possono, nella pluralità e complessità delle variabili situazionali non sempre controllabili da un solo soggetto agente, ritrovarsi su una base comune di decifrazione del bene veramente fattibile qui ed ora. Tale base va sempre resa nota, per onestà intellettuale, perché rappresenta la griglia valoriale a partire dalla quale si riconosce ciò che è bene.

Le vere scelte nascono nel discernimento e non sono mai facili perché il dubbio assale davanti ad atteggiamenti immediatamente inconsueti. Proprio mediante il discernimento si entra nella prova e si trova il coraggio per mettersi in gioco, nella consapevolezza della sproporzione tra quanto di fatto operiamo e quanto vorremmo/dovremmo operare.

La responsabilità, emergente dal discernimento, di ogni persona per tutte le persone e di tutte per ognuna, consiste proprio nell’accettazione reale del valore sociale in gioco e nella realizzazione di una scelta di bene comune, impiegando, con spirito positivamente disinteressato, le risorse del proprio essere, senza tornare indietro.

In sintesi, il discernimento è chiamato a porsi come metodo di vita, e potremmo dire anche come prassi professionale, per affrontare quotidianamente le sfide cariche di indeterminatezza che la gestione strategica ed operativa impongono.

Inoltre, l’accettazione serena dei propri limiti e la capacità di guardare agli errori in modo costruttivo, costituiscono i corollari sani per mantenere sempre aperto il dialogo nel discernimento stesso.

Un azzardo. Nel discernimento si può mettere in conto anche l’imprevedibile: quel pizzico, senza esagerare ovviamente, di irresponsabilità nell’andare oltre, il noto beyond, ciò che è garantito: è il gusto, ponderato, dell’avventura.