Anacronismo, spritz e laicità
Bologna, 13 giugno 2016
Anacronismo, spritz e laicità
Sono sensibilissimo al gentil sesso (frase anacronistica), ma non posso negare che questa passione in certi brevi momenti è offuscata dal sottile piacere ribelle che mi dà l’anacronismo letterario, il leggere cioè di affermazioni, fatti e comportamenti che oggi sarebbero oggetto di acerrime critiche, fino alla suprema pena dell’ostracismo mediatico. Recentemente confesso di avere provato un brivido orgasmico mettendo a confronto il pensiero di Renzi e di Richelieu (non importano i titoli).
Renzi ha espresso icasticamente la nozione acquisita di laicità e la sua di politico con la frase “Io sono cattolico ma faccio politica da laico: ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo”. Dico “acquisita” perché mi sembra che sia stata digerita ovunque come il primo spritz in un venerdì primaverile; del resto, nel tenore non è certo nuova e si può dire che ricapitoli cinquant’anni di politica italiana.
Così però non mi piace. Deve esserci dibattito, non può essere tutto scontato, tutto anestetizzato, tutto impermeabilizzato.
Le mie preghiere sono state ascoltate e mi sono imbattuto nelle riflessioni di Richelieu su “quale debba essere la probità dei consiglieri”, vale a dire della ristrettissima cerchia dei ministri del Re.
Le trascrivo integralmente (grassetti miei naturalmente): mi dispiace per coloro che sono abituati a Twitter, ma purtroppo, incredibile a dirsi, tanto tanto tanto tempo fa le tesi andavano argomentate.
“Una cosa è essere uomo dabbene secondo Dio, una cosa è esserlo secondo gli uomini. Nel primo caso ci si preoccupa di osservare la legge del Creatore, nel secondo occorre rispettare la legge prescritta dall’onore degli uomini.
Il consigliere di Stato dovrebbe possedere entrambi i tipi di probità. Spesso, chi ha le qualità richieste dalla società, ha anche quelle che lo fanno onesto davanti a Dio. Eppure, non sempre l’uomo migliore è quello giusto, infatti, chi si preoccupa di regolare la propria coscienza secondo le leggi del Creatore, se non si preoccupa altrettanto di rispettare le leggi umane, sarà meno adatto al servizio pubblico di quello che, onesto verso Dio e verso gli uomini, mancherà a volte verso le leggi divine. Ma, poiché la fonte di tutte le imperfezioni umane sta in una coscienza sregolata, entrambi i tipi di probità sono necessari a un consigliere di Stato, se manca la prima, manca la seconda.
In poche parole, l’uomo di Stato deve essere fedele a Dio, allo Stato, agli uomini e a se stesso. Ciò avverrà se, oltre alle qualità sopra citate, sarà fedele al bene pubblico e disinteressato nei suoi consigli” [Armand-Jean du Plessis cardinal de Richelieu, Testamento politico e massime di stato, traduzione e cura di Alessandro Piazzi, Nino Aragno Editore, 2016, pp.160-161].
A leggerle bene, senza farsi spaventare dalla prosa perfetta (strumento in disuso) e senza inorridire di fronte al sostantivo “creatore”, non si può certo concludere che siano riflessioni così distanti da noi nel tempo, nello spazio e nel sentire.
Eppure sono coperte da una patina che le fa sembrare incomprensibili: il tentativo di coniugare la legge di Dio con quelle degli uomini o, meglio, queste a quella. Potremmo dire estremo, tra noi e Richelieu, tra gli altri: Spinoza, Rosseau, Kant, Hegel, Marx, Kelsen e, soprattutto, la rivoluzione francese.
Bologna, 13 giugno 2016
Anacronismo, spritz e laicità
Sono sensibilissimo al gentil sesso (frase anacronistica), ma non posso negare che questa passione in certi brevi momenti è offuscata dal sottile piacere ribelle che mi dà l’anacronismo letterario, il leggere cioè di affermazioni, fatti e comportamenti che oggi sarebbero oggetto di acerrime critiche, fino alla suprema pena dell’ostracismo mediatico. Recentemente confesso di avere provato un brivido orgasmico mettendo a confronto il pensiero di Renzi e di Richelieu (non importano i titoli).
Renzi ha espresso icasticamente la nozione acquisita di laicità e la sua di politico con la frase “Io sono cattolico ma faccio politica da laico: ho giurato sulla Costituzione e non sul Vangelo”. Dico “acquisita” perché mi sembra che sia stata digerita ovunque come il primo spritz in un venerdì primaverile; del resto, nel tenore non è certo nuova e si può dire che ricapitoli cinquant’anni di politica italiana.
Così però non mi piace. Deve esserci dibattito, non può essere tutto scontato, tutto anestetizzato, tutto impermeabilizzato.
Le mie preghiere sono state ascoltate e mi sono imbattuto nelle riflessioni di Richelieu su “quale debba essere la probità dei consiglieri”, vale a dire della ristrettissima cerchia dei ministri del Re.
Le trascrivo integralmente (grassetti miei naturalmente): mi dispiace per coloro che sono abituati a Twitter, ma purtroppo, incredibile a dirsi, tanto tanto tanto tempo fa le tesi andavano argomentate.
“Una cosa è essere uomo dabbene secondo Dio, una cosa è esserlo secondo gli uomini. Nel primo caso ci si preoccupa di osservare la legge del Creatore, nel secondo occorre rispettare la legge prescritta dall’onore degli uomini.
Il consigliere di Stato dovrebbe possedere entrambi i tipi di probità. Spesso, chi ha le qualità richieste dalla società, ha anche quelle che lo fanno onesto davanti a Dio. Eppure, non sempre l’uomo migliore è quello giusto, infatti, chi si preoccupa di regolare la propria coscienza secondo le leggi del Creatore, se non si preoccupa altrettanto di rispettare le leggi umane, sarà meno adatto al servizio pubblico di quello che, onesto verso Dio e verso gli uomini, mancherà a volte verso le leggi divine. Ma, poiché la fonte di tutte le imperfezioni umane sta in una coscienza sregolata, entrambi i tipi di probità sono necessari a un consigliere di Stato, se manca la prima, manca la seconda.
In poche parole, l’uomo di Stato deve essere fedele a Dio, allo Stato, agli uomini e a se stesso. Ciò avverrà se, oltre alle qualità sopra citate, sarà fedele al bene pubblico e disinteressato nei suoi consigli” [Armand-Jean du Plessis cardinal de Richelieu, Testamento politico e massime di stato, traduzione e cura di Alessandro Piazzi, Nino Aragno Editore, 2016, pp.160-161].
A leggerle bene, senza farsi spaventare dalla prosa perfetta (strumento in disuso) e senza inorridire di fronte al sostantivo “creatore”, non si può certo concludere che siano riflessioni così distanti da noi nel tempo, nello spazio e nel sentire.
Eppure sono coperte da una patina che le fa sembrare incomprensibili: il tentativo di coniugare la legge di Dio con quelle degli uomini o, meglio, queste a quella. Potremmo dire estremo, tra noi e Richelieu, tra gli altri: Spinoza, Rosseau, Kant, Hegel, Marx, Kelsen e, soprattutto, la rivoluzione francese.