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Appello: riforma della sentenza di assoluzione e obbligo di disporre l’esame dell’imputato

Ingiusta detenzione
Ingiusta detenzione

Appello: riforma della sentenza di assoluzione e obbligo di disporre l’esame dell’imputato

Esame dell’imputato prima di procedere alla riforma della sentenza di assoluzione, il principio della effettiva estensione della sentenza Maestri c. Italia al vaglio delle Sezioni Unite.

E’ stata rimessa alle Sezioni Unite la seguente questione: Sezione Prima, udienza del 21/09/2021 (dep. 07/12/2021), n. 45179, Pres. A. Tardio  - Rel. T. Liuni.  RINNOVAZIONE DELL'ISTRUZIONE DIBATTIMENTALE - Riforma  sentenza di assoluzione - Esame dell’imputato – Necessità – Contrasto di  giurisprudenza potenziale. La Prima sezione penale ha rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla  specificazione della effettiva estensione del principio generale affermato dalla sentenza  Corte EDU, 08/07/2021, Maestri c. Italia, secondo la quale il giudice di appello deve  disporre l'esame dell'imputato prima di procedere alla riforma della sentenza di  assoluzione.

La cassazione sez. I ritiene: “necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite  di questa Suprema Corte, onde affrontare la questione di massima importanza  della applicabilità generale del dictum della sentenza 8 luglio 2021 della Corte  EDU, fissando criteri orientativi per le decisioni future, oltre che per quella in  esame”.

È noto che la recente sentenza della Corte europea dei diritti dell'uomo emessa in data 8 luglio 2021 nella causa Maestri c. Italia ha censurato  l'ordinamento processuale italiano per non avere previsto, a garanzia  dell'imputato assolto nel primo grado di giudizio e condannato nel processo di  appello, uno specifico onere di audizione del medesimo prima di assumere la  decisione di condanna.

A tal fine è necessario che l'imputato - qualora assente  (o, nel caso de quo, contumace) - sia destinatario di una chiamata in giudizio al  fine di porlo in condizione di rendere l'esame: a questo scopo non è sufficiente  l'ordinaria citazione per il giudizio di appello, ma è richiesta una chiamata  specifica con l'indicazione dell'incombente istruttorio da compiersi. 
 

Rinnovazione dibattimentale e Corte EDU

Preliminarmente una breve ricostruzione  dell'orientamento della giurisprudenza europea in tema di rinnovazione  dibattimentale di secondo grado. 

Invero, il recente arresto costituisce una tappa ulteriore di una sempre  più approfondita verifica - da parte del Corte europea - dei diritti e delle  garanzie dell'imputato previste dall'ordinamento, in caso di ribaltamento della  sentenza di assoluzione nel giudizio di appello. 

A partire dal famoso caso Dan c. Moldavia del 15 luglio 2011, la Corte EDU  ha mostrato specifica attenzione all'applicazione dei canoni del giusto processo  (come convenzionalmente determinati ex art. 6 Convenzione europea dei diritti  dell'uomo e poi declinati dalla propria giurisprudenza) in caso di condanna  dell'imputato, per la prima volta, nel secondo grado di giudizio; in particolare, è  stata affermata la necessità della riapertura della fase istruttoria, con rinnovata  escussione dei testimoni nel giudizio di appello, al fine di consentire una  valutazione della prova dichiarativa in esito ad un "contatto diretto" da parte del  giudice della condanna. 

A seguito della sentenza Lorefice c. Italia del 29 giugno 2017, anche  l'ordinamento italiano ha recepito la regola di matrice giurisprudenziale convenzionale della rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, in realtà già  affermata in due precedenti arresti delle Sezioni Unite della Corte di cassazione  (Sez. U, n. 14426 del 28/04/2016, Dasgupta; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017,  Patalano; ribadita da Sez. U, n. 14426 del 28/01/2019, Pavan) e poi codificata  dalla legge 23 giugno 2017, n. 103, con l'introduzione del comma 3 -bis  nell'art. 603 cod. proc. pen. che prevede la rinnovazione “[...] nel caso di appello  del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi  attinenti alla valutazione della prova dichiarativa”.

Nell'elaborazione del menzionato principio, la Corte europea in varie  pronunce (ex multis Bazo Gonzàlez c. Spagna del 16 dicembre 2008; Les c.  Romania del 13 settembre 2016; Dumitrasc c. Romania del 15 settembre 2020)  ha avuto occasione di offrire una più precisa declinazione dell'obbligo incombente  sul giudice nazionale: l'obbligo positivo di riacquisizione della prove dichiarative  non è richiesto quando la Corte di appello debba unicamente effettuare una  rivalutazione di tipo giuridico sulla base del dato fattuale così come accertato dal  giudice di primo grado. 

Con riferimento al tema oggetto della ordinanza in esame, più di recente  (anche se il principio è stato affermato per la prima volta nel caso Ekbatani c.  Svezia del 26 maggio 1988) la Corte EDU si è occupata in alcuni arresti (tra gli  altri Constantinescu c. Romania nel 1995) della più specifica violazione dell'art. 6  paragrafo 1 CEDU, concernente il mancato esame dell'imputato in caso di  condanna per la prima volta in appello.

Da ultimo, il principio generale - violato  dall'Italia nel caso Maestri cit. - è stato sintetizzato nella sentenza del caso Júlíus  Pór Sigurbórsson c. Islanda del 16 luglio 2019.  Riconfermato l'orientamento giurisprudenziale europeo sulla differenza tra  mera riqualificazione giuridica di fatti incontestati e rivalutazione del fatto storico  (per la quale è necessario operare la riapertura del dibattimento in appello, cfr.  §36 e 37), al § 33 della decisione menzionata è affermato il principio secondo il  quale la rinuncia dell'imputato al diritto di partecipare all'udienza non esonera di  per sé il giudice del gravame, chiamato a svolgere una valutazione globale di  colpevolezza o innocenza, dall'obbligo di valutare direttamente gli elementi di prova presentati personalmente dall'imputato che si proclama innocente e che  non ha esplicitamente rinunciato al diritto di parola. 

Sul piano della giurisprudenza interna, la Suprema Corte aveva già affermato,  in alcune pronunce, principi di affine matrice (Sez. 4, n. 46210 del 02/10/2019,  Giombini, Rv. 277870): il giudice di appello che intenda annullare la sentenza di  assoluzione deve operare ai sensi dell'art. 603 cod. proc. pen., contestualmente  ordinando l'audizione personale dell'imputato una volta che le sue dichiarazioni  assunte in primo grado siano considerate decisive. 

Con la sentenza Maestri c. Italia, tuttavia, la Corte EDU chiarisce ulteriormente quanto già statuito come regola generale nel citato caso Júlíus Pór  Sigurporsson c. Islanda: il giudice di appello deve disporre l'esame dell'imputato  prima di procedere alla riforma della sentenza di assoluzione, anche nel caso in  cui sia necessaria la verifica - per la prima volta - della sussistenza  dell'elemento soggettivo del reato (§ 52 Maestri c. Italia cit.).

Il Giudice europeo, con riferimento al sistema processuale penale italiano,  effettua, invero, una differenziazione tra gli strumenti posti a disposizione  dell'imputato in grado di appello per poter esercitare pienamente il proprio diritto  di difesa.

La mancata comparizione a seguito di citazione a giudizio ex art. 601  cod. proc. pen. (anche con la contestuale nomina di un difensore di fiducia) non  può essere indicativa di una implicita volontà di rinuncia del soggetto ad essere  ascoltato; né, a tal fine, l'istituto delle dichiarazioni spontanee dell'imputato ex  art. 494 cod. proc. pen. costituisce un valido strumento per la formazione della  prova, trattandosi di uno strumento spiccatamente pro reo di carattere meramente eventuale, sottratto alla regola del contraddittorio (in tali termini Sez. 2,  n. 51983 del 06/10/2016, Sall, Rv. 268524).

Punto nodale del dictum europeo è costituito dal riconoscimento, in capo  al giudice di appello, di un obbligo di azione positiva affinché l'imputato sia posto  nella condizione di poter essere ascoltato, anche se non abbia partecipato alle  udienze o non abbia chiesto di essere ascoltato o non si sia opposto.

Su  quest'ultimo aspetto, d'altronde, è la stessa Corte EDU - sempre nel caso  Maestri cit. - a considerare irragionevole che un imputato scelga di parlare su  fatti per i quali è stato assolto in primo grado, non avendo alcun interesse a che  le prove relative a fatti oggetto di assoluzione vengano nuovamente rivalutate in  appello (così anche Cipleu c. Romania del 14 gennaio 2014). 

Grava, dunque, sul giudice di appello l'obbligo di assicurare la partecipazione dell'imputato al processo con azioni positive (§ 60 Maestri c. Italia cit.),  salvo il diritto di quest'ultimo alla rinuncia espressa e inequivocabile alle proprie  garanzie difensive (sulla non violazione del diritto all'equo processo per l'imputato che rinuncia al diritto di essere ascoltato in appello, cfr. anche Lamatic  c. Romania del 1° dicembre 2020). 

Ferma la libertà dei mezzi attraverso cui gli Stati contraenti possono  conformare i loro sistemi giudiziari ai principi affermati dalla Corte EDU per il  rispetto dell'art. 6 della Convenzione, in un'ottica di effettività dell'azione positiva  richiesta, a livello interno il giudice di appello deve disporre apposita udienza per  procedere all'esame dell'imputato tutte le volte in cui si proceda all'accertamento  - per la prima volta - della penale responsabilità di questi. 

Esame dell’ordinanza della Sezione Prima, udienza del 21/09/2021 (dep. 07/12/2021), n. 45179, Pres. A. Tardio


Nel caso in esame, l'adempimento in discorso non era stato ovviamente osservato nel processo di secondo grado (dove pure si era dato corso alla  rinnovazione istruttoria necessaria), trattandosi di una statuizione giurisprudenziale europea intervenuta soltanto di recente. Ma nell'attualità, alla stregua della  necessità di ottemperare a tale pronuncia, costituente fonte giuridica  sovranazionale di matrice giurisprudenziale, immediatamente vigente  nell'ordinamento interno in quanto introduttiva di un principio processuale  generale, la cassazione sarebbe vincolata all'accoglimento della richiesta del  Procuratore generale - e dunque alla declaratoria di prescrizione - anche in caso  di rigetto del ricorso e quindi di decisione confermativa della sentenza  impugnata, che richiede il necessario rinvio al grado di appello onde effettuare  l'incombente pretermesso. 

Tale decisione implica in primo luogo la fissazione in termini rigidi di un  principio processuale di portata generale in applicazione del criterio processuale  tempus regit actum, ma soprattutto è foriera di contrasti giurisprudenziali, pur  non essendosi allo stato sedimentata una precisa giurisprudenza di questa Corte  data la recentissima pronuncia della sentenza europea in discorso. 

Pertanto, la cassazione sezione I: “ritiene necessario l'intervento nomofilattico e  chiarificatore delle Sezioni Unite sulla effettiva estensione del principio generale  contenuto nella sentenza della Corte EDU Maestri c. Italia cit., posto che tale  pronuncia impone un dovere conformativo dell'ordinamento interno, per la  necessità di garantire il rispetto dei diritti fondamentali della persona in linea con  i principi della Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo, il cui art. 7, come  interpretato dalle Corti europee, include nel concetto di legalità sia il diritto di  produzione legislativa che quello di derivazione giurisprudenziale (Sez. U, n.  18288 del 21/01/2010, Beschi, Rv. 246651)”. 

E' noto che la regola di diritto contenuta nei singoli casi decisi dinanzi alla  Corte di Strasburgo è insuscettibile di estensione a soggetti estranei al giudizio  (salvi i casi di c.d. sentenza pilota come tipizzata nel contenuto e nella procedura  dall'art. 61 del Regolamento della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo); è però  altresì corretto riscontrare l'esistenza di sentenze di portata generale: queste ultime (formalmente menzionate dal comma 9 del citato art. 61), seppure non  rientranti nella casistica contenutistica e procedurale della sentenza pilota,  accertano “[...] una violazione di norme convenzionali in tema di diritti della  persona, suscettibile di ripetersi con analoghi effetti pregiudizievoli nei riguardi di  una pluralità di soggetti diversi dal ricorrente, ma versanti nella medesima  condizione” (Sez. U, n. 8544 del 24/10/2019, dep. 2020, Genco, Rv. 278054). 

Orbene, pur in assenza di esplicita indicazione da parte della Corte sovranazionale dell'esistenza di una violazione sistematica e strutturale del diritto  all'equo processo nella casistica de qua, la sentenza Maestri c. Italia, ad avviso della cassazione, individua un vulnus sia procedurale che sostanziale, laddove non vi  sia stata apposita citazione dell'imputato per l'esame innanzi al giudice di appello  prima di essere condannato - per la prima volta - a seguito di un giudizio di  primo grado definito con pronuncia di assoluzione.

Tale situazione richiede la rimessione al più alto consesso di questa  Corte, pur in assenza di specifico strumento previsto nel codice di rito vigente, a  differenza del codice di procedura civile, che - all'art. 374, secondo comma -  prevede la rimessione alle Sezioni Unite per "questione di massima di particolare  importanza".

Operando in via estensiva e sistematica, per esigenze di armonia  dei sistemi processuali e alla luce della imprescindibile funzione nomofilattica  della Corte di cassazione, deve ritenersi consentita la rimessione della questione  per la sua importante ed inevitabile potenzialità espansiva anche sull'operato  delle corti di merito. 

Inoltre, anche dall'interpretazione letterale dell'art. 618 cod. proc. pen., si  evince la possibilità dell'intervento delle Sezioni Unite al fine di prevenire  potenziali contrasti giurisprudenziali (come si deduce dalla dizione “[...] può dar  luogo a contrasto giurisprudenziale ” contenuta nel primo comma di detta  norma).

Tale situazione, infatti, si è già presentata all'esame delle Sezioni Unite  e ha trovato seguito nella sentenza n. 18621 del 23/6/2016, dep. 2017,  risolutiva di un conflitto di giurisdizione, la cui rimessione era stata fatta in  ragione dei dubbi ermeneutici e delle loro inferenze, ritenuti potenziali fonti di  contrasti interpretativi su tematiche processuali di speciale importanza. 

Anche Sez. U, n. 42361 del 20/07/2017, D'Arcangelo, Rv. 270586 si sono  pronunciate a seguito di rimessione avanzata perché si decidesse, “anche  nell'ottica di evitare un potenziale contrasto giurisprudenziale”, se il termine per  la redazione e il deposito della sentenza dovesse o meno ritenersi soggetto a  sospensione nel periodo feriale a seguito delle innovazioni introdotte dal d.l. n.  132 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 162 del 2014.

Pertanto, si ritiene necessario rimettere la questione alle Sezioni Unite  di questa Suprema Corte, onde affrontare la questione di massima importanza  della applicabilità generale del dictum della sentenza 8 luglio 2021 della Corte  EDU, fissando criteri orientativi per le decisioni future, oltre che per quella in  esame.