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Le confische nel diritto penale d'impresa

Il presente contributo è stato discusso in data 12 aprile 2013 presso la LUISS Guido Carli di Roma a conclusione della V Edizione a.a. 2011/2012 del Master di II Livello in Diritto Penale d'Impresa

1. Premessa: l’art. 240 c.p.

 La forma originaria e generale di confisca contemplata dall’ordinamento italiano è la misura di sicurezza patrimoniale disciplinata dall’art. 240 c.p.[1], il cui presupposto è costituito dal vincolo di pertinenzialità della cosa rispetto al reato commesso. Invero, la res incide sulla motivazione a delinquere del reo, che, conservandone la disponibilità, “manterrebbe viva l’idea e l’attrattiva del reato”[2]: la pericolosità del bene confiscabile, dunque, costituirebbe un antecedente logico necessario alla pericolosità del suo possessore e, pertanto, sarebbe preparatoria e propedeutica a quest’ultima.

Conviene muovere dall’analisi della disciplina prevista dal codice penale al fine di verificare in che misura e sotto quali profili il modello in esame “persista”. Ad una prima lettura dell’art. 236 c.p.[3] emerge che sono riferibili alla confisca ex art. 240 c.p. i principi di legalità e di tassatività, imposti a tutte le misure di sicurezza dall’art. 199 c.p. e, più in generale, dall’art. 25, comma 3, Cost[4]. Il rispetto di tali principi si impone, oltre che per porre un limite alla discrezionalità del giudice[5] nell’ambito del giudizio di pericolosità necessario per le altre misure di sicurezza, per l’afflittività che connota l’ablazione dei beni in connessione con la realizzazione di un fatto di reato[6].

Altra regola generale che la confisca condivide con le misure di sicurezza è quella prevista dall’art. 200, comma 1, c.p., concernente la supremazia della legge in vigore al momento dell’applicazione. Su questo punto si è espressa la Suprema Corte affermando, in riferimento alla confisca, che questa misura si può applicare anche in relazione a fatti commessi anteriormente alla norma che la disciplina, poiché non si tratta di una pena per la quale valga il principio di irretroattività della norma sanzionatoria, quanto di una «misura non punitiva, ma cautelare, rivolta a prevenire il fenomeno delittuoso, in corrispondenza di una finalità preventiva». Per questa ragione e per il fatto che «il ricorso alla confisca discende dalla pericolosità della detenzione del bene al momento della decisione, non ha senso parlare di retroattività con riferimento al fatto contestato»[7]. Per espresso disposto del 2° comma, ex art. 236 c.p., è, invece, inapplicabile quanto statuito dall’art. 200, secondo capoverso, c.p., in base al quale si applica alle misure di sicurezza personali la legge in vigore al momento della loro esecuzione, qualora sia diversa da quella in vigore al momento della sua applicazione.

Tale inapplicabilità si spiega con la constatazione che la confisca è una misura tipicamente istantanea, che si perfeziona nel momento in cui viene inflitta e, pertanto, in relazione a tale figura, non si potrebbe distinguere tra momento dell’applicazione e momento dell’esecuzione. A tal proposito, non si applica, altresì, l’art. 207 c.p. relativo alla revoca; le Sezioni Unite hanno sancito l’irretrattabilità della confisca in caso di abrogazione o di dichiarazione di incostituzionalità di una norma incriminatrice e di conseguente revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 c.p.p.[8]

Il principio di retroattività, infine, non può essere ammesso nei casi in cui oggetto della confisca, per ius superveniens, sarebbero beni connessi ad un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato[9]. Nello specifico, la confisca ai sensi dell’art. 240 c.p. consiste nell’espropriazione ad opera dello Stato «delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto» o «delle cose che costituiscono il prezzo del reato, delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato». Per principio generale la confisca è facoltativa[10] e può essere applicata solo a seguito di una sentenza di condanna (ex art. 240, comma 1, c.p.), basata su un accertamento della pericolosità della cosa connessa al reato, con riferimento all’utilizzo che il reo possa farne avendone la disponibilità[11].

Oggetto di questa tipologia di confisca sono «le cose che servirono a commettere il reato» e «le cose che furono destinate a commettere il reato» (dette anche mezzi di esecuzione del reato). Le prime sono quelle che, effettivamente, sono state utilizzate dal reo per la commissione del fatto; le seconde, invece, sono quelle che erano state predisposte ai fini della realizzazione del reato, ma che, in concreto, non sono state usate[12]. Va sottolineato che, attraverso le formule ora citate, il legislatore circoscrive l’area applicativa della confisca facoltativa ai soli reati dolosi[13].

Il 1° comma dell’art. 240 c.p. include nell’elenco dei beni suscettibili di confisca anche il prodotto e il profitto del reato. Per prodotto del reato si intende la cosa materiale che si origina attraverso l’attività penalmente rilevante, mentre, per profitto del reato il guadagno, il vantaggio di natura economica derivante dalla commissione del reato[14]. La confisca facoltativa è subordinata a due condizioni: il procedimento penale deve essere concluso con una sentenza di condanna o con un decreto penale di condanna[15]; la cosa non deve appartenere a persona estranea al reato[16]. Per quanto concerne, invece, la confisca obbligatoria, l’art. 240, comma 2, c.p. contempla due ipotesi.

La prima ha per oggetto «le cose che costituiscono il prezzo del reato», vale a dire le cose che sono state date per istigare o determinare il soggetto a commettere il reato, in veste di autore o di partecipe[17]. Il carattere obbligatorio di questa ipotesi di confisca riflette una presunzione di pericolosità delle cose che sono state corrisposte per commettere un reato oppure che sono collegate ad esso. Pertanto, la definizione di prezzo del reato si differenzia da quella di provento del reato che deve ritenersi rientrante nella più ampia nozione di prodotto o profitto del reato e, dunque, oggetto di confisca facoltativa. Anche in tale ipotesi la confisca è preclusa se la cosa, che costituisce prezzo del reato, appartiene a persona estranea al reato stesso[18] e se non sussiste una pronuncia di condanna.

Questa seconda questione è stata oggetto di diverse sentenze delle Sezioni Unite, chiamate a prendere posizione sul contrasto giurisprudenziale circa l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 210, 236, comma 2, e 240 c.p. In particolare, la decisione n. 38834 del 15/10/2008 afferma che «la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista obbligatoriamente dall’art. 240, comma 2, n. 1, cod. pen., non può essere disposta nel caso di estinzione del reato stesso».

Le Sezioni Unite, confermando un arresto giurisprudenziale precedente (sentenza n. 5/1993[19]), sostengono che «nei casi dell'art. 240, comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell’art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca, se il reato è estinto, non può essere disposta, mentre ad una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell’art. 240, comma 2, n. 2, c.p., che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento»[20]. Si esclude, quindi, che la confisca del prezzo del reato possa essere ordinata anche in caso di proscioglimento per prescrizione, poiché «la particolare natura dell’oggetto della misura patrimoniale, non illecito di per sé, ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone l’accertamento del reato stesso». Invece, l’ipotesi prevista dal n. 2, comma 2, art. 240 c.p., focalizzata su determinate caratteristiche delle cose confiscabili, non richiede, in genere, particolari accertamenti rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato[21].

La pericolosità della cosa è, pertanto, presunta, ritenendosi che, se all’autore del reato viene lasciato il vantaggio economico sulla spinta del quale egli ha agito, ciò può costituire uno stimolo a commettere altri reati, in quanto manifestazione dell’idea che il crimine paga. La seconda ipotesi di confisca obbligatoria, invece, concerne «le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato», cioè di cose intrinsecamente criminose. Occorre distinguere a seconda che si tratti di cose il cui possesso, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce sempre reato (c.d. divieto assoluto) oppure può essere autorizzato in via amministrativa (c.d. divieto relativo).

In entrambi i casi, la confisca delle cose intrinsecamente criminose deve essere disposta anche in assenza di una sentenza di condanna, rilevandosene, così, la natura obbligatoria[22], mentre è applicabile unicamente nell’ipotesi di divieto assoluto quando la cosa appartiene ad un terzo estraneo alla commissione del reato[23]. Infatti, attraverso un’interpretazione del quarto comma dell’art. 240 c.p., si evince che la figura ablativa della confisca non può essere adottata se il bene è di proprietà di una persona estranea al fatto illecito nel caso si tratti di un divieto relativo, vale a dire nel caso in cui le azioni, che hanno per oggetto la cosa, (fabbricazione, porto, uso etc.) sono consentite «mediante autorizzazione amministrativa»[24].

Per escludere la confisca, non è necessario che il rilascio di tale autorizzazione sia effettivo e concreto; è essenziale che sussista un’astratta possibilità che venga effettuato[25]. Dalla breve disamina dell’art. 240 c.p., si evince, pertanto, che la disciplina codicistica contempla le ipotesi di confisca facoltativa come regola generale, mentre i casi di previsione obbligatoria hanno per lo più natura sussidiaria.

2. Le confische nel diritto penale d’impresa

 Negli ultimi anni il progressivo “inquinamento” dell’economia ha indotto il legislatore moderno, sia nazionale sia internazionale, a predisporre idonei strumenti con lo scopo di colpire il “motore” della criminalità economica: i proventi illeciti[26]. Questi strumenti di sottrazione del profitto dei reati costituiscono «il nucleo dei recenti interventi “punitivi” dello Stato»[27] e si identificano, in particolar modo, nelle ipotesi “speciali” di confisca.

L’effetto dissuasivo dell’istituto, tale da incidere sulla motivazione a delinquere e neutralizzare la finalità ultima del reato, e la sua estrema flessibilità, che dovrebbe garantirne una maggiore efficacia, hanno provocato, negli ultimi decenni, una forte spinta espansiva della confisca. Muovendo da tale presupposto, l’analisi che segue riguarderà esclusivamente quelle misure volte al contrasto della c. d. criminalità del profitto, ossia a quelle forme di manifestazione del reato che, sebbene non compiute nell’ambito di un’attività integralmente illecita, come quella che caratterizza la criminalità organizzata, tendono in maniera sistematica od occasionale al conseguimento di un profitto.

2.1 L’ art. 2641 c.c.

Con la riforma introdotta dal D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, è stata prevista un’ipotesi di provvedimento ablatorio speciale, novellando l’art. 2641 c.c.[28] L’istituto in esame è ovviamente applicabile a tutti i reati previsti e puniti dagli articoli 2621-2640 c.c., con la previsione di sole ipotesi obbligatorie di ablazione patrimoniale e di una confisca per equivalente.

La norma in oggetto estende l’obbligo di confisca, oltre che al profitto del reato, anche ai “beni utilizzati per commetterlo”, nozione in tutto riconducibile a quella di “cose che servirono a commettere il reato” di cui all’art. 240 c.p. Tale nuova formulazione si rivela un mezzo dotato di particolare efficacia deterrente in relazione a quelle forme di criminalità d’impresa di cui si è detto, giacché, se nell’ambito dell’attività economica il profitto è solo eventuale, non lo è l’utilizzo di mezzi talora ingenti, anche di natura finanziaria, che possono ora in ogni caso essere acquisiti al patrimonio dello Stato[29].

La sua finalità, invero, è quella di «sottrarre l’extraprofitto derivante dalla commissione del reato, anche qualora non sia possibile una diretta apprensione dei beni che costituiscono profitto diretto del reato e che l’autore tende ad occultare al fine di sottrarli ai provvedimenti cautelari delle autorità inquirenti ed ai ben più incisivi provvedimenti ablatori definitivi delle autorità giudicanti»[30].

Il mancato richiamo, invece, alle cose che sono state soltanto “destinate a commettere il reato” determina l’applicabilità a queste ultime del solo regime di confisca facoltativa di cui all’art. 240, comma 1, c.p. Ciò che balza agli occhi nella lettura del testo della disposizione è la mancanza di un esplicito riferimento al prezzo del reato quale oggetto di confisca obbligatoria. L’omesso richiamo, tuttavia, è colmato con il rinvio esplicito all’art. 240 c.p. per quanto non espressamente disposto, contenuto nell’ultimo comma. Emergono, però, alcune incertezze.

Infatti, se da un lato, tale rinvio è idoneo a colmare un’irragionevole omissione, dall’altro non è del tutto esaustivo, in quanto la norma richiamata non prevede la possibilità di procedere con la confisca per equivalente e pertanto non sarà possibile aggredire i beni costituenti prezzo del reato societario quando questo non sia più confiscabile nella forma ordinaria. Occorre, infine, chiedersi, stante l’ultimo comma dell’art. 2641 c.c., se la nozione di estraneità valga a ricomprendere anche la persona giuridica nel cui ambito il reato è stato commesso[31].

Infatti, l’autore materiale del fatto criminoso può avvalersi dei mezzi finanziari della società in cui opera e gli eventuali benefici di carattere patrimoniale derivanti dall’illecito possono riverberarsi su quest’ultima, piuttosto che sulla persona fisica. La questione della qualificazione della società come persona estranea al reato[32] ha perso parte della sua rilevanza con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231/2001 che prevede la confisca obbligatoria del prezzo e del profitto, senza, però, nulla disporre in merito agli instrumenta sceleris.

Tale discrasia legislativa si giustifica in funzione del ruolo centrale che riveste il profitto nell’ambito della criminalità economica. Le due ipotesi ablatorie possano procedere parallelamente e nell’ipotesi di simultaneus processus a carico dell’ente e dell’autore materiale del reato verosimilmente consentirebbero l’ablazione dell’intero quantum confiscabile del reato, cioè sia quello rimasto in capo alla persona fisica ex art. 2641 c.c., sia quello “girato” alla persona giuridica, confiscabile ai sensi dell’ art. 19, D. Lgs. n. 231/2001[33]. Per quanto riguarda, invece, le cose che sono servite a commettere il reato, a causa del loro mancato richiamo nel D. Lgs. n. 231/2001, continuano a non poter essere oggetto del provvedimento di confisca, se appartenenti alla persona giuridica, qualificabile come estranea al reato.

 2.2 L’art. 187 T.U.F.

Provvedimenti ablatori speciali sono previsti anche dalla Legge n. 62 del 2005, che ha introdotto nel D. Lgs. n. 58/1998 un nuovo titolo dedicato agli abusi di mercato. In tale materia sono inserite tre distinte figure di confisca:

la confisca penale, disciplinata dall’art. 187 TUF[34], che ha come destinatario la persona fisica che abbia commesso il reato di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato;

la confisca amministrativa destinata alla persona fisica che abbia commesso i rispettivi illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate (art. 187-bis TUF) e di manipolazione del mercato (art. 187-ter TUF) e disciplinata dall’art. 187-sexies TUF[35];

la confisca prevista come sanzione per gli enti ai quali si riconosca responsabilità “da reato” ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 indicata nell’art. 25-sexies, introdotto dall’art. 9, comma 3, L. n. 62/2005.

L’art. 187 TUF prevede, in caso di condanna per i reati di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 TUF) e di manipolazione del mercato (art. 185 TUF), un’ipotesi obbligatoria di figura ablativa del prodotto e del profitto del reato, nonché dei beni impiegati per commetterlo.

Il comma 3 dello stesso articolo disciplina, invece, l’applicabilità della confisca per equivalente o di valore ad una somma di denaro o altri beni nel caso in cui risulta difficoltosa l’apprensione dei beni, del prezzo o del profitto connessi direttamente all’attività delittuosa. In entrambe le ipotesi, si adopera, per i c.d. beni strumentali, una formula lievemente diversa («beni utilizzati») rispetto a quella adottata nell’art. 240, comma 1, c.p. («cose che servirono o furono destinate»), il che ha dato spunto a due rilevanti precisazioni:

a) la confisca obbligatoria è limitata, in ambo i casi, ai soli beni concretamente usati per la realizzazione della condotta criminosa, mentre per quelli che vi sono stati destinati, senza essere poi effettivamente adoperati nell’esecuzione del delitto, residua esclusivamente la possibilità di procedere a confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p.;

b) l’uso del termine “beni” in luogo di “cose” non sarebbe privo di pregnanza ermeneutica, posto che lo “strumento” del reato finanziario, soggetto ad ablazione obbligatoria, può essere costituito anche dal denaro utilizzato per l’acquisto di titoli, funzionale alla commissione di reati finanziari (quali l’insider trading o l’abuso di mercato), ovvero dalle azioni stesse, purché non si finisca per confondere i casi in cui il titolo è l’oggetto materiale della condotta incriminata – in quanto tale non confiscabile – e non il mezzo usato per delinquere.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha escluso la confiscabilità delle azioni acquistate da alcuni soggetti, imputati per il delitto di manipolazione del mercato, al fine di esercitare un’illecita influenza dominante su di un istituto bancario, ritenendo che detti titoli non fossero mai divenuti strumento del reato, essendone semmai l’oggetto materiale; al più, si sarebbero dovuti considerare alla stregua di instrumenta sceleris i contratti di mutuo che avevano permesso agli imputati di ottenere il finanziamento necessario all’acquisto dei titoli azionari medesimi[36].

Il mancato riferimento al «prezzo» quale oggetto di confisca obbligatoria, non ne inibisce l’ablazione diretta, in forza della previsione generale di cui all’art. 240, comma 2, c.p. – peraltro richiamato esplicitamente dall’art. 187, comma 3, D. Lgs. n. 58 del 1998 – ma impedisce che si proceda alla confisca di beni di valore equivalente al prezzo dei reati ivi previsti. Occorre, infine, evidenziare che la L. n. 62/2005 dispiega la sua efficacia anche nei procedimenti in corso.

Pertanto, il tema della retroattività rileva, con specifico riguardo al profilo della successione di norme in materia di confisca, rispetto al diverso tenore dell’art. 187 e del previgente art. 180, comma 5, T.U.F. Secondo il Tribunale di Milano[37], l’innovazione introdotta dalla L. n. 62/2005 è consistita nel prevedere la possibilità, nel caso non sia possibile eseguire la confisca del prodotto o del profitto del reato, della confisca di una “somma di denaro o beni di valore equivalente”, cioè, fermi il presupposto e il tipo della misura di sicurezza, è stato soltanto introdotto un elemento che agevola l’esecuzione della confisca obbligatoria di cui all’art. 187, comma 1, T.U.F. – già prevista come tale dal comma 5 dell’art. 180 T.U.F. (versione vigente ante L. n. 62/2005) – peraltro di portata patrimoniale identica (“valore equivalente”), come tale irrilevante rispetto al principio di irretroattività della legge penale.

La Corte d’Appello[38] non ha condiviso l’affermazione del primo giudice, secondo cui la confisca per equivalente costituirebbe una misura di sicurezza, nel qual caso varrebbe il principio di retroattività, ma è viceversa una sanzione penale, come emerge dalla lettura dell’art. 187 T.U.F. e dal contesto in cui la norma si colloca; avendo tale tipo di confisca natura sanzionatoria e non preventiva, come tale è sottoposta al regime di cui all’art 2 c.p., con la conseguente inapplicabilità al caso di specie, essendo i fatti oggetto del procedimento precedenti all’entrata in vigore della L. n. 62/2005, che ha introdotto l’istituto in esame[39].

2.3 Le ipotesi di confisca nel D. Lgs. n. 231/2001

La disciplina dettata dal D. Lgs. n. 231/2001 contempla una molteplicità di interventi ablatori, destinati ad atteggiarsi in modo diverso a seconda del concreto contesto in cui sono chiamati ad operare. L’art. 9, co. 1, lett. c), prevede la confisca come sanzione, il cui contenuto e i cui presupposti applicativi sono precisati nell’art. 19, co. 1, che testualmente recita: «Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato».

E’ esclusa perciò ogni valutazione discrezionale da parte del giudice - ovviamente anche ai fini dell’emanazione della misura cautelare del sequestro preventivo - in ordine all’oggettiva pericolosità del profitto tratto dall’ente. Il secondo comma di quest’ultima disposizione autorizza la confisca anche nella forma per equivalente, replicando lo schema normativo di disposizioni già presenti nel codice penale o in leggi penali speciali.

Si tratta di confisca destinata a rilevare come sanzione principale, obbligatoria e autonoma rispetto alle altre pure previste nel decreto in esame.[40] In particolare, il profitto viene in rilievo ai fini della confisca all’ente in relazione alla sua incidenza diretta nel patrimonio dello stesso e deve essere costituito esclusivamente da quello ricavato dall’ente dal reato e non da altro profitto lecito.

Significativo è il caso dell’apprensibilità del profitto all’interno dei gruppi di società[41]. Infatti, in tale contesto, sorge il dubbio se, nel caso in cui il profitto si produce nella controllata e il reato sia commesso dai vertici della controllante, può essere sottoposto a confisca ai sensi dell’art. 19 già citato, oppure se si deve comunque accertare la rinvenienza dello stesso nella sfera della controllante. Si pensi alla corruzione aggravata per far conseguire appalti alla controllata, nel caso in cui gli utili derivanti dall’attività permangano nelle casse della controllata.

Nell’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, sia pure in sede di obiter dictum, si legge: «L'esistenza di tale rapporto qualificato tra controllante e controllata impedisce pertanto di considerare quest'ultima un “terzo” ed impedisce che gli utili che essa consegua, in conseguenza dell'attività della controllante, possano definirsi conseguiti da un terzo, quantomeno impedisce di ritenere che l'attività della controllante possa dirsi compiuta nell'esclusivo interesse del terzo, in considerazione degli inevitabili riflessi che le condizioni della controllata riverberano sulla controllante[42]».

L’organo giudicante, inoltre, individua la nozione di interesse di gruppo «nell’interesse di più società, non solo di quelle che direttamente hanno ottenuto l’aggiudicazione degli appalti, ma anche delle controllanti nella prospettiva della partecipazione agli utili.» Per la verifica della sussistenza del requisito del profitto, «Se infatti non occorre dimostrare ai fini dell’integrazione dell’illecito che l’ente abbia tratto un vantaggio ed essendo irrilevante che questo sia futuro e incerto, in quanto connesso alla eventuale futura ripartizione di utili dalla controllata alla controllante (se utili vi saranno), l’indubbio carattere eventuale e incerto nel suo ammontare del profitto ricavato dalla controllante per l’aggiudicazione corruttiva dell’appalto alla controllata impedisce di formulare fondate conclusioni sul profitto dell’ente controllante o, quantomeno, non risultano in concreto dedotti in atti elementi sufficienti per poter determinare quale sia il profitto della controllante».

La confisca, quindi, è ammessa nei limiti in cui la controllante si sia in concreto avvantaggiata di tale profitto. Invero, la responsabilità “amministrativa” dipendente da reato può colpire la capogruppo non in modo indiscriminato o irragionevole ma solo quando sussista nei suoi confronti sia il criterio di imputazione dell’atto all’ente, cioè l’appartenenza qualificata all’ente della persona fisica che ha commesso il reato, sia l’interesse o il vantaggio, che devono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato-presupposto[43].

Solo in presenza di tali elementi può escludersi il rischio di qualsiasi arbitraria ed ingiustificata estensione della responsabilità all’interno dei gruppi d’impresa. L’art. 6, co. 5, prevede, invece, la confisca del profitto del reato, commesso da persone che rivestono funzioni apicali, anche nell’ipotesi particolare in cui l’ente vada esente da responsabilità per avere validamente adottato e attuato i modelli organizzativi previsti e disciplinati dalla stessa norma.

In questa ipotesi risulta difficile cogliere la natura sanzionatoria della misura ablativa, che si differenzia strutturalmente da quella di cui all’art. 19, proprio perché difetta una responsabilità dell’ente. Dovendosi escludere un necessario profilo di intrinseca pericolosità della res oggetto di espropriazione, la confisca assume la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire sia pure incolpevolmente un profitto geneticamente illecito.

Ciò è tanto vero che, in relazione alla confisca di cui all’art. 6, co. 5, non può disporsi il sequestro preventivo, considerato che a tale norma non fa riferimento l’art. 53 del D. Lgs. n. 231/2001, che richiama esclusivamente l’art. 19. Si tratta quindi di una forma di confisca che, prescindendo da un profilo di colpevolezza dell’ente, presenta caratteri più spiccatamente preventivi. L’art. 15, co. 4, inoltre, contempla, in caso di commissariamento dell’ente, la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività. La nomina del commissario è disposta dal giudice in sostituzione della sanzione interdittiva che determinerebbe l’interruzione dell’attività dell’ente, con grave pregiudizio per la collettività (interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità) o per i livelli occupazionali (avuto riguardo alle dimensioni dell’ente e alle condizioni economiche del territorio).

In questo caso la confisca ha natura di sanzione sostitutiva, con funzione “compensativo-riparatoria” e tanto emerge anche dalla Relazione allo schema del decreto legislativo[44], nella quale si precisa che: «è intimamente collegata alla natura comunque sanzionatoria del provvedimento adottato dal giudice: la confisca del profitto serve proprio ad enfatizzare questo aspetto, nel senso che la prosecuzione dell’attività è pur sempre legata alla sostituzione di una sanzione, sì che l’ente non deve essere messo nelle condizioni di ricavare un profitto dalla mancata interruzione di un’attività che, se non avesse avuto ad oggetto un pubblico servizio, sarebbe stata interdetta».

Non può dubitarsi della natura radicalmente diversa di tale forma di confisca rispetto alle altre esaminate: il profitto derivante dall’attività svolta dall’ente sotto la guida del commissario giudiziale non ha provenienza criminosa. La sua apprensione, di conseguenza, non si giustifica con la finalità di neutralizzare la pericolosità oggettiva del profitto soggetto a confisca, a prescindere dalla responsabilità dell’ente.

Tanto meno si può ravvisare una finalità special-preventiva, che guarda ai rischi connessi alla permanenza in capo all’ente di determinati vantaggi patrimoniali collegati al reato, posto che un simile profitto non può dirsi collegato al reato[45]. Un’ultima ipotesi di confisca è prevista dall’art. 23 del D. Lgs. n. 231/2001, come sanzione in caso di violazione degli obblighi o dei divieti inerenti alle sanzioni interdittive, anche se applicate in via cautelare durante il processo. Qui la misura ablativa assume i caratteri di vera e propria sanzione principale, a presidio dell’illecito previsto a carico dell’ente, per l’inottemperanza agli obblighi o ai divieti inerenti alla misura interdittiva[46].

Dall’analisi della disciplina prevista dal D. Lgs. n. 231/2001 emerge, dunque, la presenza di diverse forme di ablazione patrimoniale, caratterizzate da distinta natura ed orientamento teleologico[47]. Pertanto, l’assetto normativo in esame ha come scopo quello di evitare che l’ente possa godere, in modo illegittimo, dei proventi dell’attività criminosa, sia se si tratti del profitto, inteso come vantaggio economico di diretta derivazione dal reato, sia se si tratti di altri benefici acquisiti, come nell’ipotesi della prosecuzione dell’attività ai sensi dell’art. 15, comma 4.

[1] L’art. 240 c.p. recita: «Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. È sempre ordinata la confisca: 1. delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 2. delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa».

[2] Ministero della Giustizia, Relazione ministeriale sul progetto di codice penale, I, n. 202.

[3]L’art. 236 c.p. recita: «Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:

1) la cauzione di buona condotta;

2) la confisca.

Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli articoli 199, 200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte e n. 3 del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell'articolo 200 e quelle dell'articolo 210.

Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli articoli 202, 203, 204, prima parte, e 207».

[4] BRICOLA, Commento all’art. 25, 2° 3° co. Cost., in Commentario della Costituzione, Rapporti civili, artt. 24-26, Bologna Roma 1981, 300.

[5] Cfr. Cass., Sez. VI, 25 settembre 2008, n. 42084. Secondo tale pronuncia, nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., la sinteticità della motivazione propria del rito non può estendersi alle ragioni che hanno determinato il giudice a disporre la misura ablatoria.

[6] ALESSANDRI, La confisca nel diritto penale, in Digesto, IV ed., Torino, 1989, 44.

[7] Cass. pen., 29-3-1995, Gianquitto, in Riv. Pen. 1996, 245; Cass. pen., 17-11-1995, n. 775, Borino Marchese, in Riv. Pen. 1996, 1153; Cass., 3-10-1996, Sibilia, in Cass. Pen., 1998, 482.

[8] Fra le tante, Cass. pen., 22 gennaio 1983, Costa, in Giustizia penale, 1984, II, 462.

[9] ALESSANDRI, op. cit., 44, MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, 107.

[10] FIANDACA-MUSCO, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo II – I delitti contro il patrimonio, V ed., Bologna, 2007, 834.

[11] FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale parte generale, 598.

[12] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599, FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834.

[13] Questa precisazione si evince da significato etimologico delle espressioni “servirono” e “furono destinate”, che manifestano un’intenzione finalistica dell’agente. MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[14] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599, FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834.

[15] La prima condizione (procedimento penale concluso con una sentenza di condanna o con un decreto penale di condanna) non ricorre quando è intervenuta una causa di estinzione del reato perché, in questo caso, deve essere pronunciata una sentenza di proscioglimento. Diverso, invece, è il caso in cui viene pronunciata una sentenza di patteggiamento. L’art. 445, comma 1, c.p.p. consente, infatti, che questa sentenza comporti la confisca ex art. 240 c.p., sia nella forma facoltativa sia in quella obbligatoria, anche nell’ipotesi in cui venga irrogata una pena non detentiva o una pena detentiva non superiore a due anni. FIANDACA-MUSCO, op. cit., 835, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale parte generale, XVI ed., Milano, 2003, 820, PALAZZO, op. cit., 573-574, MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[16] La seconda condizione (la cosa non deve appartenere a persona estranea dal reato) deve essere interpretata nel senso che la cosa non può essere oggetto della confisca se appartiene ad un soggetto diverso dall’autore o da un concorrente nel reato. Non rileva che un terzo vanti diritti reali di godimento o diritti di garanzia su una cosa altrui, né rileva che il proprietario della cosa abbia commesso un reato presupposto o consequenziale rispetto a quello per cui si procede. FIANDACA-MUSCO, op. cit., 835, ANTOLISEI, op. cit., 820, PALAZZO, Corso di diritto penale parte generale, IV ed., Torino, 2011, 573-574, MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[17] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[18] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[19] Cass. pen., SS.UU., 25-3-1993, n. 5, Carlea. I punti fondamentali della suddetta motivazione sono i seguenti: a) l'avverbio “sempre”, all'inizio del comma 2 dell'art. 240 c.p. ha inteso rendere obbligatoria, diversamente da quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa; b) solo nei casi indicati nel n. 2 del comma 2 dell’art. 240 c.p. l’obbligatorietà è destinata ad operare «anche se non è stata pronunciata condanna»; c) non può trarsi contrario argomento dall'art. 236, comma 2, c.p., che rende inoperanti rispetto alla confisca le disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», poiché tale previsione normativa «si limita ad indicare le disposizioni sulle misure di sicurezza personali che sono applicabili alle misure di sicurezza patrimoniali (contribuendo a delinearne la disciplina complessiva), ma non è diretto a stabilire i casi in cui queste misure possono essere disposte», dovendosi far capo alle diverse disposizioni speciali, come quella dell’art. 240 c.p., per stabilire di volta in volta se la misura presuppone la condanna o può essere disposta anche in seguito al proscioglimento; «né si può dire che questa interpretazione renderebbe inutile l'art. 236, comma 2, nella parte in cui ha reso inapplicabile alla confisca l'art. 210 c.p., sia perché in mancanza della disposizione dell'art. 236, comma 2, si sarebbe potuto ravvisare nell'estinzione del reato (analogamente a quanto avviene per altre misure di sicurezza) un ostacolo alla confisca pure nei casi in cui ne è espressamente prevista l'applicazione in seguito al proscioglimento, sia perché avrebbero inciso sulla confisca anche l'amnistia impropria e le cause di estinzione della pena, che invece cosi sono state rese inoperanti».

[20] Cass. pen., SS.UU., 15-10-2008, n. 38834.

[21] Cass. pen., SS.UU., 15-10-2008, n. 38834; Cass. pen. SS.UU., 25-3-1993, n. 5, Carlea.

[22] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599-600.

[23] Sul punto è stato, peraltro, rilevato che il proprietario della cosa intrinsecamente criminosa – seppur soggetto diverso da quello coinvolto nel procedimento penale – non potrebbe comunque ritenersi estraneo al reato, dal momento che qualsiasi “attività umana relativa [ad esse] costituisce sempre reato”. Cfr. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2005, 896.

[24] ANTOLISEI, op. cit., 822, PALAZZO, op. cit., 574.

[25] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 600.

[26] MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano 2001, 4.

[27] FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna 2007, 4.

[28] L’art. 2641 c.c. recita: «In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Quando non è possibile l'individuazione o l'apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale».

[29] Cfr., sul punto, A. ALESSANDRI, La confisca, in AA. VV., Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, p. 106 e segg.

[30] PELISSERO, Commento alla l. 29.9.2000, n. 300, in Legisl. Pen., 2001, 1026-1027.

[31] ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, op. cit., 2149 ss.

[32] Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr., ex multis, Corte cost., sent. n. 2/1987), «l'art. 27, comma 1, Cost. non può consentire che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto».

[33] FONDAROLI, op. cit., 424 ss.

[34] L’art. 187 TUF recita: «1. In caso d condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. 3. Per quanto non stabilito ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale.»

[35] L’art. 187-sexies TUF recita: «1. L’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa sempre la confisca del prodotto e del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. 3. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria.»

[36] Cfr. Cass. pen., sez. V, 24 maggio 2007, n. 28944.

[37] Cfr. Tribunale di Milano, sez. III pen., 26 ottobre 2006, Foro ambrosiano, 2006.

[38] Cfr. Corte di Appello di Milano, sez. II, 30 gennaio 2009, Rivista dottori comm., 2009, 605.

[39] Tali statuizioni sono state confermate dalla Cass. pen., Sez. V, sent. n. 8588/2010.

[40] Cfr. Cass. pen., SS. UU., 2 luglio 2008, n. 26654.

[41] LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2005.

[42] Trib. Milano Sez. XI, ordinanza 20-12-2004.

[43] Cfr., Cass. pen., sez. V, sentenza n. 24583 del 20 giugno 2011.

[44] Relazione ministeriale al D. Lgs. n. 231/2001, in Guida al diritto, 2001.

[45] CHIARAVIGLIO, Confisca, procedura fallimentare, diritti dei terzi. Una importante sentenza delle sezioni unite circa la nozione di profitto del reato in favore o a vantaggio dell’ente (art.19, d.lgs. n. 231/2001), nota a Cass. sez. V 1-4-2008, n. 21941, in Rivista dei dottori commercialisti, 2008, 964-965.

[46] CHIARAVIGLIO, op. cit., 964, FONDAROLI, op. cit., 322.

[47] CHIARAVIGLIO, op. cit., 964.

Il presente contributo è stato discusso in data 12 aprile 2013 presso la LUISS Guido Carli di Roma a conclusione della V Edizione a.a. 2011/2012 del Master di II Livello in Diritto Penale d'Impresa

1. Premessa: l’art. 240 c.p.

 La forma originaria e generale di confisca contemplata dall’ordinamento italiano è la misura di sicurezza patrimoniale disciplinata dall’art. 240 c.p.[1], il cui presupposto è costituito dal vincolo di pertinenzialità della cosa rispetto al reato commesso. Invero, la res incide sulla motivazione a delinquere del reo, che, conservandone la disponibilità, “manterrebbe viva l’idea e l’attrattiva del reato”[2]: la pericolosità del bene confiscabile, dunque, costituirebbe un antecedente logico necessario alla pericolosità del suo possessore e, pertanto, sarebbe preparatoria e propedeutica a quest’ultima.

Conviene muovere dall’analisi della disciplina prevista dal codice penale al fine di verificare in che misura e sotto quali profili il modello in esame “persista”. Ad una prima lettura dell’art. 236 c.p.[3] emerge che sono riferibili alla confisca ex art. 240 c.p. i principi di legalità e di tassatività, imposti a tutte le misure di sicurezza dall’art. 199 c.p. e, più in generale, dall’art. 25, comma 3, Cost[4]. Il rispetto di tali principi si impone, oltre che per porre un limite alla discrezionalità del giudice[5] nell’ambito del giudizio di pericolosità necessario per le altre misure di sicurezza, per l’afflittività che connota l’ablazione dei beni in connessione con la realizzazione di un fatto di reato[6].

Altra regola generale che la confisca condivide con le misure di sicurezza è quella prevista dall’art. 200, comma 1, c.p., concernente la supremazia della legge in vigore al momento dell’applicazione. Su questo punto si è espressa la Suprema Corte affermando, in riferimento alla confisca, che questa misura si può applicare anche in relazione a fatti commessi anteriormente alla norma che la disciplina, poiché non si tratta di una pena per la quale valga il principio di irretroattività della norma sanzionatoria, quanto di una «misura non punitiva, ma cautelare, rivolta a prevenire il fenomeno delittuoso, in corrispondenza di una finalità preventiva». Per questa ragione e per il fatto che «il ricorso alla confisca discende dalla pericolosità della detenzione del bene al momento della decisione, non ha senso parlare di retroattività con riferimento al fatto contestato»[7]. Per espresso disposto del 2° comma, ex art. 236 c.p., è, invece, inapplicabile quanto statuito dall’art. 200, secondo capoverso, c.p., in base al quale si applica alle misure di sicurezza personali la legge in vigore al momento della loro esecuzione, qualora sia diversa da quella in vigore al momento della sua applicazione.

Tale inapplicabilità si spiega con la constatazione che la confisca è una misura tipicamente istantanea, che si perfeziona nel momento in cui viene inflitta e, pertanto, in relazione a tale figura, non si potrebbe distinguere tra momento dell’applicazione e momento dell’esecuzione. A tal proposito, non si applica, altresì, l’art. 207 c.p. relativo alla revoca; le Sezioni Unite hanno sancito l’irretrattabilità della confisca in caso di abrogazione o di dichiarazione di incostituzionalità di una norma incriminatrice e di conseguente revoca della sentenza di condanna ai sensi dell’art. 673 c.p.p.[8]

Il principio di retroattività, infine, non può essere ammesso nei casi in cui oggetto della confisca, per ius superveniens, sarebbero beni connessi ad un fatto che al momento della sua commissione non costituiva reato[9]. Nello specifico, la confisca ai sensi dell’art. 240 c.p. consiste nell’espropriazione ad opera dello Stato «delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto» o «delle cose che costituiscono il prezzo del reato, delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato». Per principio generale la confisca è facoltativa[10] e può essere applicata solo a seguito di una sentenza di condanna (ex art. 240, comma 1, c.p.), basata su un accertamento della pericolosità della cosa connessa al reato, con riferimento all’utilizzo che il reo possa farne avendone la disponibilità[11].

Oggetto di questa tipologia di confisca sono «le cose che servirono a commettere il reato» e «le cose che furono destinate a commettere il reato» (dette anche mezzi di esecuzione del reato). Le prime sono quelle che, effettivamente, sono state utilizzate dal reo per la commissione del fatto; le seconde, invece, sono quelle che erano state predisposte ai fini della realizzazione del reato, ma che, in concreto, non sono state usate[12]. Va sottolineato che, attraverso le formule ora citate, il legislatore circoscrive l’area applicativa della confisca facoltativa ai soli reati dolosi[13].

Il 1° comma dell’art. 240 c.p. include nell’elenco dei beni suscettibili di confisca anche il prodotto e il profitto del reato. Per prodotto del reato si intende la cosa materiale che si origina attraverso l’attività penalmente rilevante, mentre, per profitto del reato il guadagno, il vantaggio di natura economica derivante dalla commissione del reato[14]. La confisca facoltativa è subordinata a due condizioni: il procedimento penale deve essere concluso con una sentenza di condanna o con un decreto penale di condanna[15]; la cosa non deve appartenere a persona estranea al reato[16]. Per quanto concerne, invece, la confisca obbligatoria, l’art. 240, comma 2, c.p. contempla due ipotesi.

La prima ha per oggetto «le cose che costituiscono il prezzo del reato», vale a dire le cose che sono state date per istigare o determinare il soggetto a commettere il reato, in veste di autore o di partecipe[17]. Il carattere obbligatorio di questa ipotesi di confisca riflette una presunzione di pericolosità delle cose che sono state corrisposte per commettere un reato oppure che sono collegate ad esso. Pertanto, la definizione di prezzo del reato si differenzia da quella di provento del reato che deve ritenersi rientrante nella più ampia nozione di prodotto o profitto del reato e, dunque, oggetto di confisca facoltativa. Anche in tale ipotesi la confisca è preclusa se la cosa, che costituisce prezzo del reato, appartiene a persona estranea al reato stesso[18] e se non sussiste una pronuncia di condanna.

Questa seconda questione è stata oggetto di diverse sentenze delle Sezioni Unite, chiamate a prendere posizione sul contrasto giurisprudenziale circa l’interpretazione del combinato disposto degli artt. 210, 236, comma 2, e 240 c.p. In particolare, la decisione n. 38834 del 15/10/2008 afferma che «la confisca delle cose costituenti il prezzo del reato, prevista obbligatoriamente dall’art. 240, comma 2, n. 1, cod. pen., non può essere disposta nel caso di estinzione del reato stesso».

Le Sezioni Unite, confermando un arresto giurisprudenziale precedente (sentenza n. 5/1993[19]), sostengono che «nei casi dell'art. 240, comma 1, e comma 2, n. 1, come in quello dell’art. 722 c.p., essendo richiesta la condanna, la confisca, se il reato è estinto, non può essere disposta, mentre ad una diversa conclusione deve pervenirsi nel caso dell’art. 240, comma 2, n. 2, c.p., che impone la confisca anche nel caso di proscioglimento»[20]. Si esclude, quindi, che la confisca del prezzo del reato possa essere ordinata anche in caso di proscioglimento per prescrizione, poiché «la particolare natura dell’oggetto della misura patrimoniale, non illecito di per sé, ma per il collegamento con il reato del quale si considera il prezzo, presuppone l’accertamento del reato stesso». Invece, l’ipotesi prevista dal n. 2, comma 2, art. 240 c.p., focalizzata su determinate caratteristiche delle cose confiscabili, non richiede, in genere, particolari accertamenti rispetto all’obbligo dell’immediata declaratoria di estinzione del reato[21].

La pericolosità della cosa è, pertanto, presunta, ritenendosi che, se all’autore del reato viene lasciato il vantaggio economico sulla spinta del quale egli ha agito, ciò può costituire uno stimolo a commettere altri reati, in quanto manifestazione dell’idea che il crimine paga. La seconda ipotesi di confisca obbligatoria, invece, concerne «le cose la cui fabbricazione, uso, porto, detenzione o alienazione è prevista dalla legge come reato», cioè di cose intrinsecamente criminose. Occorre distinguere a seconda che si tratti di cose il cui possesso, uso, porto, detenzione o alienazione costituisce sempre reato (c.d. divieto assoluto) oppure può essere autorizzato in via amministrativa (c.d. divieto relativo).

In entrambi i casi, la confisca delle cose intrinsecamente criminose deve essere disposta anche in assenza di una sentenza di condanna, rilevandosene, così, la natura obbligatoria[22], mentre è applicabile unicamente nell’ipotesi di divieto assoluto quando la cosa appartiene ad un terzo estraneo alla commissione del reato[23]. Infatti, attraverso un’interpretazione del quarto comma dell’art. 240 c.p., si evince che la figura ablativa della confisca non può essere adottata se il bene è di proprietà di una persona estranea al fatto illecito nel caso si tratti di un divieto relativo, vale a dire nel caso in cui le azioni, che hanno per oggetto la cosa, (fabbricazione, porto, uso etc.) sono consentite «mediante autorizzazione amministrativa»[24].

Per escludere la confisca, non è necessario che il rilascio di tale autorizzazione sia effettivo e concreto; è essenziale che sussista un’astratta possibilità che venga effettuato[25]. Dalla breve disamina dell’art. 240 c.p., si evince, pertanto, che la disciplina codicistica contempla le ipotesi di confisca facoltativa come regola generale, mentre i casi di previsione obbligatoria hanno per lo più natura sussidiaria.

2. Le confische nel diritto penale d’impresa

 Negli ultimi anni il progressivo “inquinamento” dell’economia ha indotto il legislatore moderno, sia nazionale sia internazionale, a predisporre idonei strumenti con lo scopo di colpire il “motore” della criminalità economica: i proventi illeciti[26]. Questi strumenti di sottrazione del profitto dei reati costituiscono «il nucleo dei recenti interventi “punitivi” dello Stato»[27] e si identificano, in particolar modo, nelle ipotesi “speciali” di confisca.

L’effetto dissuasivo dell’istituto, tale da incidere sulla motivazione a delinquere e neutralizzare la finalità ultima del reato, e la sua estrema flessibilità, che dovrebbe garantirne una maggiore efficacia, hanno provocato, negli ultimi decenni, una forte spinta espansiva della confisca. Muovendo da tale presupposto, l’analisi che segue riguarderà esclusivamente quelle misure volte al contrasto della c. d. criminalità del profitto, ossia a quelle forme di manifestazione del reato che, sebbene non compiute nell’ambito di un’attività integralmente illecita, come quella che caratterizza la criminalità organizzata, tendono in maniera sistematica od occasionale al conseguimento di un profitto.

2.1 L’ art. 2641 c.c.

Con la riforma introdotta dal D. Lgs. 11 aprile 2002, n. 61, è stata prevista un’ipotesi di provvedimento ablatorio speciale, novellando l’art. 2641 c.c.[28] L’istituto in esame è ovviamente applicabile a tutti i reati previsti e puniti dagli articoli 2621-2640 c.c., con la previsione di sole ipotesi obbligatorie di ablazione patrimoniale e di una confisca per equivalente.

La norma in oggetto estende l’obbligo di confisca, oltre che al profitto del reato, anche ai “beni utilizzati per commetterlo”, nozione in tutto riconducibile a quella di “cose che servirono a commettere il reato” di cui all’art. 240 c.p. Tale nuova formulazione si rivela un mezzo dotato di particolare efficacia deterrente in relazione a quelle forme di criminalità d’impresa di cui si è detto, giacché, se nell’ambito dell’attività economica il profitto è solo eventuale, non lo è l’utilizzo di mezzi talora ingenti, anche di natura finanziaria, che possono ora in ogni caso essere acquisiti al patrimonio dello Stato[29].

La sua finalità, invero, è quella di «sottrarre l’extraprofitto derivante dalla commissione del reato, anche qualora non sia possibile una diretta apprensione dei beni che costituiscono profitto diretto del reato e che l’autore tende ad occultare al fine di sottrarli ai provvedimenti cautelari delle autorità inquirenti ed ai ben più incisivi provvedimenti ablatori definitivi delle autorità giudicanti»[30].

Il mancato richiamo, invece, alle cose che sono state soltanto “destinate a commettere il reato” determina l’applicabilità a queste ultime del solo regime di confisca facoltativa di cui all’art. 240, comma 1, c.p. Ciò che balza agli occhi nella lettura del testo della disposizione è la mancanza di un esplicito riferimento al prezzo del reato quale oggetto di confisca obbligatoria. L’omesso richiamo, tuttavia, è colmato con il rinvio esplicito all’art. 240 c.p. per quanto non espressamente disposto, contenuto nell’ultimo comma. Emergono, però, alcune incertezze.

Infatti, se da un lato, tale rinvio è idoneo a colmare un’irragionevole omissione, dall’altro non è del tutto esaustivo, in quanto la norma richiamata non prevede la possibilità di procedere con la confisca per equivalente e pertanto non sarà possibile aggredire i beni costituenti prezzo del reato societario quando questo non sia più confiscabile nella forma ordinaria. Occorre, infine, chiedersi, stante l’ultimo comma dell’art. 2641 c.c., se la nozione di estraneità valga a ricomprendere anche la persona giuridica nel cui ambito il reato è stato commesso[31].

Infatti, l’autore materiale del fatto criminoso può avvalersi dei mezzi finanziari della società in cui opera e gli eventuali benefici di carattere patrimoniale derivanti dall’illecito possono riverberarsi su quest’ultima, piuttosto che sulla persona fisica. La questione della qualificazione della società come persona estranea al reato[32] ha perso parte della sua rilevanza con l’entrata in vigore del D. Lgs. n. 231/2001 che prevede la confisca obbligatoria del prezzo e del profitto, senza, però, nulla disporre in merito agli instrumenta sceleris.

Tale discrasia legislativa si giustifica in funzione del ruolo centrale che riveste il profitto nell’ambito della criminalità economica. Le due ipotesi ablatorie possano procedere parallelamente e nell’ipotesi di simultaneus processus a carico dell’ente e dell’autore materiale del reato verosimilmente consentirebbero l’ablazione dell’intero quantum confiscabile del reato, cioè sia quello rimasto in capo alla persona fisica ex art. 2641 c.c., sia quello “girato” alla persona giuridica, confiscabile ai sensi dell’ art. 19, D. Lgs. n. 231/2001[33]. Per quanto riguarda, invece, le cose che sono servite a commettere il reato, a causa del loro mancato richiamo nel D. Lgs. n. 231/2001, continuano a non poter essere oggetto del provvedimento di confisca, se appartenenti alla persona giuridica, qualificabile come estranea al reato.

 2.2 L’art. 187 T.U.F.

Provvedimenti ablatori speciali sono previsti anche dalla Legge n. 62 del 2005, che ha introdotto nel D. Lgs. n. 58/1998 un nuovo titolo dedicato agli abusi di mercato. In tale materia sono inserite tre distinte figure di confisca:

la confisca penale, disciplinata dall’art. 187 TUF[34], che ha come destinatario la persona fisica che abbia commesso il reato di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato;

la confisca amministrativa destinata alla persona fisica che abbia commesso i rispettivi illeciti amministrativi di abuso di informazioni privilegiate (art. 187-bis TUF) e di manipolazione del mercato (art. 187-ter TUF) e disciplinata dall’art. 187-sexies TUF[35];

la confisca prevista come sanzione per gli enti ai quali si riconosca responsabilità “da reato” ai sensi del D. Lgs. n. 231/2001 indicata nell’art. 25-sexies, introdotto dall’art. 9, comma 3, L. n. 62/2005.

L’art. 187 TUF prevede, in caso di condanna per i reati di abuso di informazioni privilegiate (art. 184 TUF) e di manipolazione del mercato (art. 185 TUF), un’ipotesi obbligatoria di figura ablativa del prodotto e del profitto del reato, nonché dei beni impiegati per commetterlo.

Il comma 3 dello stesso articolo disciplina, invece, l’applicabilità della confisca per equivalente o di valore ad una somma di denaro o altri beni nel caso in cui risulta difficoltosa l’apprensione dei beni, del prezzo o del profitto connessi direttamente all’attività delittuosa. In entrambe le ipotesi, si adopera, per i c.d. beni strumentali, una formula lievemente diversa («beni utilizzati») rispetto a quella adottata nell’art. 240, comma 1, c.p. («cose che servirono o furono destinate»), il che ha dato spunto a due rilevanti precisazioni:

a) la confisca obbligatoria è limitata, in ambo i casi, ai soli beni concretamente usati per la realizzazione della condotta criminosa, mentre per quelli che vi sono stati destinati, senza essere poi effettivamente adoperati nell’esecuzione del delitto, residua esclusivamente la possibilità di procedere a confisca facoltativa ex art. 240, comma 1, c.p.;

b) l’uso del termine “beni” in luogo di “cose” non sarebbe privo di pregnanza ermeneutica, posto che lo “strumento” del reato finanziario, soggetto ad ablazione obbligatoria, può essere costituito anche dal denaro utilizzato per l’acquisto di titoli, funzionale alla commissione di reati finanziari (quali l’insider trading o l’abuso di mercato), ovvero dalle azioni stesse, purché non si finisca per confondere i casi in cui il titolo è l’oggetto materiale della condotta incriminata – in quanto tale non confiscabile – e non il mezzo usato per delinquere.

A tal proposito, la Corte di Cassazione ha escluso la confiscabilità delle azioni acquistate da alcuni soggetti, imputati per il delitto di manipolazione del mercato, al fine di esercitare un’illecita influenza dominante su di un istituto bancario, ritenendo che detti titoli non fossero mai divenuti strumento del reato, essendone semmai l’oggetto materiale; al più, si sarebbero dovuti considerare alla stregua di instrumenta sceleris i contratti di mutuo che avevano permesso agli imputati di ottenere il finanziamento necessario all’acquisto dei titoli azionari medesimi[36].

Il mancato riferimento al «prezzo» quale oggetto di confisca obbligatoria, non ne inibisce l’ablazione diretta, in forza della previsione generale di cui all’art. 240, comma 2, c.p. – peraltro richiamato esplicitamente dall’art. 187, comma 3, D. Lgs. n. 58 del 1998 – ma impedisce che si proceda alla confisca di beni di valore equivalente al prezzo dei reati ivi previsti. Occorre, infine, evidenziare che la L. n. 62/2005 dispiega la sua efficacia anche nei procedimenti in corso.

Pertanto, il tema della retroattività rileva, con specifico riguardo al profilo della successione di norme in materia di confisca, rispetto al diverso tenore dell’art. 187 e del previgente art. 180, comma 5, T.U.F. Secondo il Tribunale di Milano[37], l’innovazione introdotta dalla L. n. 62/2005 è consistita nel prevedere la possibilità, nel caso non sia possibile eseguire la confisca del prodotto o del profitto del reato, della confisca di una “somma di denaro o beni di valore equivalente”, cioè, fermi il presupposto e il tipo della misura di sicurezza, è stato soltanto introdotto un elemento che agevola l’esecuzione della confisca obbligatoria di cui all’art. 187, comma 1, T.U.F. – già prevista come tale dal comma 5 dell’art. 180 T.U.F. (versione vigente ante L. n. 62/2005) – peraltro di portata patrimoniale identica (“valore equivalente”), come tale irrilevante rispetto al principio di irretroattività della legge penale.

La Corte d’Appello[38] non ha condiviso l’affermazione del primo giudice, secondo cui la confisca per equivalente costituirebbe una misura di sicurezza, nel qual caso varrebbe il principio di retroattività, ma è viceversa una sanzione penale, come emerge dalla lettura dell’art. 187 T.U.F. e dal contesto in cui la norma si colloca; avendo tale tipo di confisca natura sanzionatoria e non preventiva, come tale è sottoposta al regime di cui all’art 2 c.p., con la conseguente inapplicabilità al caso di specie, essendo i fatti oggetto del procedimento precedenti all’entrata in vigore della L. n. 62/2005, che ha introdotto l’istituto in esame[39].

2.3 Le ipotesi di confisca nel D. Lgs. n. 231/2001

La disciplina dettata dal D. Lgs. n. 231/2001 contempla una molteplicità di interventi ablatori, destinati ad atteggiarsi in modo diverso a seconda del concreto contesto in cui sono chiamati ad operare. L’art. 9, co. 1, lett. c), prevede la confisca come sanzione, il cui contenuto e i cui presupposti applicativi sono precisati nell’art. 19, co. 1, che testualmente recita: «Nei confronti dell’ente è sempre disposta, con la sentenza di condanna, la confisca del prezzo o del profitto del reato, salvo che per la parte che può essere restituita al danneggiato».

E’ esclusa perciò ogni valutazione discrezionale da parte del giudice - ovviamente anche ai fini dell’emanazione della misura cautelare del sequestro preventivo - in ordine all’oggettiva pericolosità del profitto tratto dall’ente. Il secondo comma di quest’ultima disposizione autorizza la confisca anche nella forma per equivalente, replicando lo schema normativo di disposizioni già presenti nel codice penale o in leggi penali speciali.

Si tratta di confisca destinata a rilevare come sanzione principale, obbligatoria e autonoma rispetto alle altre pure previste nel decreto in esame.[40] In particolare, il profitto viene in rilievo ai fini della confisca all’ente in relazione alla sua incidenza diretta nel patrimonio dello stesso e deve essere costituito esclusivamente da quello ricavato dall’ente dal reato e non da altro profitto lecito.

Significativo è il caso dell’apprensibilità del profitto all’interno dei gruppi di società[41]. Infatti, in tale contesto, sorge il dubbio se, nel caso in cui il profitto si produce nella controllata e il reato sia commesso dai vertici della controllante, può essere sottoposto a confisca ai sensi dell’art. 19 già citato, oppure se si deve comunque accertare la rinvenienza dello stesso nella sfera della controllante. Si pensi alla corruzione aggravata per far conseguire appalti alla controllata, nel caso in cui gli utili derivanti dall’attività permangano nelle casse della controllata.

Nell’ordinanza del Tribunale del riesame di Milano, sia pure in sede di obiter dictum, si legge: «L'esistenza di tale rapporto qualificato tra controllante e controllata impedisce pertanto di considerare quest'ultima un “terzo” ed impedisce che gli utili che essa consegua, in conseguenza dell'attività della controllante, possano definirsi conseguiti da un terzo, quantomeno impedisce di ritenere che l'attività della controllante possa dirsi compiuta nell'esclusivo interesse del terzo, in considerazione degli inevitabili riflessi che le condizioni della controllata riverberano sulla controllante[42]».

L’organo giudicante, inoltre, individua la nozione di interesse di gruppo «nell’interesse di più società, non solo di quelle che direttamente hanno ottenuto l’aggiudicazione degli appalti, ma anche delle controllanti nella prospettiva della partecipazione agli utili.» Per la verifica della sussistenza del requisito del profitto, «Se infatti non occorre dimostrare ai fini dell’integrazione dell’illecito che l’ente abbia tratto un vantaggio ed essendo irrilevante che questo sia futuro e incerto, in quanto connesso alla eventuale futura ripartizione di utili dalla controllata alla controllante (se utili vi saranno), l’indubbio carattere eventuale e incerto nel suo ammontare del profitto ricavato dalla controllante per l’aggiudicazione corruttiva dell’appalto alla controllata impedisce di formulare fondate conclusioni sul profitto dell’ente controllante o, quantomeno, non risultano in concreto dedotti in atti elementi sufficienti per poter determinare quale sia il profitto della controllante».

La confisca, quindi, è ammessa nei limiti in cui la controllante si sia in concreto avvantaggiata di tale profitto. Invero, la responsabilità “amministrativa” dipendente da reato può colpire la capogruppo non in modo indiscriminato o irragionevole ma solo quando sussista nei suoi confronti sia il criterio di imputazione dell’atto all’ente, cioè l’appartenenza qualificata all’ente della persona fisica che ha commesso il reato, sia l’interesse o il vantaggio, che devono essere verificati in concreto, nel senso che la società deve ricevere una potenziale o effettiva utilità, ancorché non necessariamente di carattere patrimoniale, derivante dalla commissione del reato-presupposto[43].

Solo in presenza di tali elementi può escludersi il rischio di qualsiasi arbitraria ed ingiustificata estensione della responsabilità all’interno dei gruppi d’impresa. L’art. 6, co. 5, prevede, invece, la confisca del profitto del reato, commesso da persone che rivestono funzioni apicali, anche nell’ipotesi particolare in cui l’ente vada esente da responsabilità per avere validamente adottato e attuato i modelli organizzativi previsti e disciplinati dalla stessa norma.

In questa ipotesi risulta difficile cogliere la natura sanzionatoria della misura ablativa, che si differenzia strutturalmente da quella di cui all’art. 19, proprio perché difetta una responsabilità dell’ente. Dovendosi escludere un necessario profilo di intrinseca pericolosità della res oggetto di espropriazione, la confisca assume la fisionomia di uno strumento volto a ristabilire l’equilibrio economico alterato dal reato-presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente collettivo, che finirebbe, in caso contrario, per conseguire sia pure incolpevolmente un profitto geneticamente illecito.

Ciò è tanto vero che, in relazione alla confisca di cui all’art. 6, co. 5, non può disporsi il sequestro preventivo, considerato che a tale norma non fa riferimento l’art. 53 del D. Lgs. n. 231/2001, che richiama esclusivamente l’art. 19. Si tratta quindi di una forma di confisca che, prescindendo da un profilo di colpevolezza dell’ente, presenta caratteri più spiccatamente preventivi. L’art. 15, co. 4, inoltre, contempla, in caso di commissariamento dell’ente, la confisca del profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività. La nomina del commissario è disposta dal giudice in sostituzione della sanzione interdittiva che determinerebbe l’interruzione dell’attività dell’ente, con grave pregiudizio per la collettività (interruzione di un servizio pubblico o di pubblica necessità) o per i livelli occupazionali (avuto riguardo alle dimensioni dell’ente e alle condizioni economiche del territorio).

In questo caso la confisca ha natura di sanzione sostitutiva, con funzione “compensativo-riparatoria” e tanto emerge anche dalla Relazione allo schema del decreto legislativo[44], nella quale si precisa che: «è intimamente collegata alla natura comunque sanzionatoria del provvedimento adottato dal giudice: la confisca del profitto serve proprio ad enfatizzare questo aspetto, nel senso che la prosecuzione dell’attività è pur sempre legata alla sostituzione di una sanzione, sì che l’ente non deve essere messo nelle condizioni di ricavare un profitto dalla mancata interruzione di un’attività che, se non avesse avuto ad oggetto un pubblico servizio, sarebbe stata interdetta».

Non può dubitarsi della natura radicalmente diversa di tale forma di confisca rispetto alle altre esaminate: il profitto derivante dall’attività svolta dall’ente sotto la guida del commissario giudiziale non ha provenienza criminosa. La sua apprensione, di conseguenza, non si giustifica con la finalità di neutralizzare la pericolosità oggettiva del profitto soggetto a confisca, a prescindere dalla responsabilità dell’ente.

Tanto meno si può ravvisare una finalità special-preventiva, che guarda ai rischi connessi alla permanenza in capo all’ente di determinati vantaggi patrimoniali collegati al reato, posto che un simile profitto non può dirsi collegato al reato[45]. Un’ultima ipotesi di confisca è prevista dall’art. 23 del D. Lgs. n. 231/2001, come sanzione in caso di violazione degli obblighi o dei divieti inerenti alle sanzioni interdittive, anche se applicate in via cautelare durante il processo. Qui la misura ablativa assume i caratteri di vera e propria sanzione principale, a presidio dell’illecito previsto a carico dell’ente, per l’inottemperanza agli obblighi o ai divieti inerenti alla misura interdittiva[46].

Dall’analisi della disciplina prevista dal D. Lgs. n. 231/2001 emerge, dunque, la presenza di diverse forme di ablazione patrimoniale, caratterizzate da distinta natura ed orientamento teleologico[47]. Pertanto, l’assetto normativo in esame ha come scopo quello di evitare che l’ente possa godere, in modo illegittimo, dei proventi dell’attività criminosa, sia se si tratti del profitto, inteso come vantaggio economico di diretta derivazione dal reato, sia se si tratti di altri benefici acquisiti, come nell’ipotesi della prosecuzione dell’attività ai sensi dell’art. 15, comma 4.

[1] L’art. 240 c.p. recita: «Nel caso di condanna, il giudice può ordinare la confisca delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato, e delle cose che ne sono il prodotto o il profitto. È sempre ordinata la confisca: 1. delle cose che costituiscono il prezzo del reato; 2. delle cose, la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione delle quali costituisce reato, anche se non è stata pronunciata condanna. Le disposizioni della prima parte e del n. 1 del capoverso precedente non si applicano se la cosa appartiene a persona estranea al reato. La disposizione del n. 2 non si applica se la cosa appartiene a persona estranea al reato e la fabbricazione, l’uso, il porto, la detenzione o l’alienazione possono essere consentiti mediante autorizzazione amministrativa».

[2] Ministero della Giustizia, Relazione ministeriale sul progetto di codice penale, I, n. 202.

[3]L’art. 236 c.p. recita: «Sono misure di sicurezza patrimoniali, oltre quelle stabilite da particolari disposizioni di legge:

1) la cauzione di buona condotta;

2) la confisca.

Si applicano anche alle misure di sicurezza patrimoniali le disposizioni degli articoli 199, 200, prima parte, 201, prima parte, 205, prima parte e n. 3 del capoverso, e, salvo che si tratti di confisca, le disposizioni del primo e secondo capoverso dell'articolo 200 e quelle dell'articolo 210.

Alla cauzione di buona condotta si applicano altresì le disposizioni degli articoli 202, 203, 204, prima parte, e 207».

[4] BRICOLA, Commento all’art. 25, 2° 3° co. Cost., in Commentario della Costituzione, Rapporti civili, artt. 24-26, Bologna Roma 1981, 300.

[5] Cfr. Cass., Sez. VI, 25 settembre 2008, n. 42084. Secondo tale pronuncia, nella sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p., la sinteticità della motivazione propria del rito non può estendersi alle ragioni che hanno determinato il giudice a disporre la misura ablatoria.

[6] ALESSANDRI, La confisca nel diritto penale, in Digesto, IV ed., Torino, 1989, 44.

[7] Cass. pen., 29-3-1995, Gianquitto, in Riv. Pen. 1996, 245; Cass. pen., 17-11-1995, n. 775, Borino Marchese, in Riv. Pen. 1996, 1153; Cass., 3-10-1996, Sibilia, in Cass. Pen., 1998, 482.

[8] Fra le tante, Cass. pen., 22 gennaio 1983, Costa, in Giustizia penale, 1984, II, 462.

[9] ALESSANDRI, op. cit., 44, MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano, 2001, 107.

[10] FIANDACA-MUSCO, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. II, tomo II – I delitti contro il patrimonio, V ed., Bologna, 2007, 834.

[11] FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834, MARINUCCI-DOLCINI, Manuale di diritto penale parte generale, 598.

[12] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599, FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834.

[13] Questa precisazione si evince da significato etimologico delle espressioni “servirono” e “furono destinate”, che manifestano un’intenzione finalistica dell’agente. MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[14] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599, FIANDACA-MUSCO, op. cit., 834.

[15] La prima condizione (procedimento penale concluso con una sentenza di condanna o con un decreto penale di condanna) non ricorre quando è intervenuta una causa di estinzione del reato perché, in questo caso, deve essere pronunciata una sentenza di proscioglimento. Diverso, invece, è il caso in cui viene pronunciata una sentenza di patteggiamento. L’art. 445, comma 1, c.p.p. consente, infatti, che questa sentenza comporti la confisca ex art. 240 c.p., sia nella forma facoltativa sia in quella obbligatoria, anche nell’ipotesi in cui venga irrogata una pena non detentiva o una pena detentiva non superiore a due anni. FIANDACA-MUSCO, op. cit., 835, ANTOLISEI, Manuale di diritto penale parte generale, XVI ed., Milano, 2003, 820, PALAZZO, op. cit., 573-574, MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[16] La seconda condizione (la cosa non deve appartenere a persona estranea dal reato) deve essere interpretata nel senso che la cosa non può essere oggetto della confisca se appartiene ad un soggetto diverso dall’autore o da un concorrente nel reato. Non rileva che un terzo vanti diritti reali di godimento o diritti di garanzia su una cosa altrui, né rileva che il proprietario della cosa abbia commesso un reato presupposto o consequenziale rispetto a quello per cui si procede. FIANDACA-MUSCO, op. cit., 835, ANTOLISEI, op. cit., 820, PALAZZO, Corso di diritto penale parte generale, IV ed., Torino, 2011, 573-574, MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[17] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[18] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599.

[19] Cass. pen., SS.UU., 25-3-1993, n. 5, Carlea. I punti fondamentali della suddetta motivazione sono i seguenti: a) l'avverbio “sempre”, all'inizio del comma 2 dell'art. 240 c.p. ha inteso rendere obbligatoria, diversamente da quanto previsto dal comma 1 dello stesso articolo, una confisca che altrimenti sarebbe stata facoltativa; b) solo nei casi indicati nel n. 2 del comma 2 dell’art. 240 c.p. l’obbligatorietà è destinata ad operare «anche se non è stata pronunciata condanna»; c) non può trarsi contrario argomento dall'art. 236, comma 2, c.p., che rende inoperanti rispetto alla confisca le disposizioni dell'art. 210, che prevedono, tra l'altro, che «l'estinzione del reato impedisce l'applicazione delle misure di sicurezza e ne fa cessare l'esecuzione», poiché tale previsione normativa «si limita ad indicare le disposizioni sulle misure di sicurezza personali che sono applicabili alle misure di sicurezza patrimoniali (contribuendo a delinearne la disciplina complessiva), ma non è diretto a stabilire i casi in cui queste misure possono essere disposte», dovendosi far capo alle diverse disposizioni speciali, come quella dell’art. 240 c.p., per stabilire di volta in volta se la misura presuppone la condanna o può essere disposta anche in seguito al proscioglimento; «né si può dire che questa interpretazione renderebbe inutile l'art. 236, comma 2, nella parte in cui ha reso inapplicabile alla confisca l'art. 210 c.p., sia perché in mancanza della disposizione dell'art. 236, comma 2, si sarebbe potuto ravvisare nell'estinzione del reato (analogamente a quanto avviene per altre misure di sicurezza) un ostacolo alla confisca pure nei casi in cui ne è espressamente prevista l'applicazione in seguito al proscioglimento, sia perché avrebbero inciso sulla confisca anche l'amnistia impropria e le cause di estinzione della pena, che invece cosi sono state rese inoperanti».

[20] Cass. pen., SS.UU., 15-10-2008, n. 38834.

[21] Cass. pen., SS.UU., 15-10-2008, n. 38834; Cass. pen. SS.UU., 25-3-1993, n. 5, Carlea.

[22] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 599-600.

[23] Sul punto è stato, peraltro, rilevato che il proprietario della cosa intrinsecamente criminosa – seppur soggetto diverso da quello coinvolto nel procedimento penale – non potrebbe comunque ritenersi estraneo al reato, dal momento che qualsiasi “attività umana relativa [ad esse] costituisce sempre reato”. Cfr. MANTOVANI, Diritto penale. Parte generale, Padova, 2005, 896.

[24] ANTOLISEI, op. cit., 822, PALAZZO, op. cit., 574.

[25] MARINUCCI-DOLCINI, op. cit., 600.

[26] MAUGERI, Le moderne sanzioni patrimoniali tra funzionalità e garantismo, Milano 2001, 4.

[27] FONDAROLI, Le ipotesi speciali di confisca nel sistema penale. Ablazione patrimoniale, criminalità economica, responsabilità delle persone fisiche e giuridiche, Bologna 2007, 4.

[28] L’art. 2641 c.c. recita: «In caso di condanna o di applicazione della pena su richiesta delle parti per uno dei reati previsti dal presente titolo è ordinata la confisca del prodotto o del profitto del reato e dei beni utilizzati per commetterlo. Quando non è possibile l'individuazione o l'apprensione dei beni indicati nel comma primo, la confisca ha ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. Per quanto non stabilito nei commi precedenti si applicano le disposizioni dell'articolo 240 del codice penale».

[29] Cfr., sul punto, A. ALESSANDRI, La confisca, in AA. VV., Il nuovo diritto penale delle società, Milano, 2002, p. 106 e segg.

[30] PELISSERO, Commento alla l. 29.9.2000, n. 300, in Legisl. Pen., 2001, 1026-1027.

[31] ALESSANDRI, Criminalità economica e confisca del profitto, op. cit., 2149 ss.

[32] Secondo l’orientamento giurisprudenziale prevalente (cfr., ex multis, Corte cost., sent. n. 2/1987), «l'art. 27, comma 1, Cost. non può consentire che si proceda a confisca di cose pertinenti a reato, ove chi ne sia proprietario al momento in cui la confisca debba essere disposta non sia l'autore del reato o non ne abbia tratto in alcun modo profitto».

[33] FONDAROLI, op. cit., 424 ss.

[34] L’art. 187 TUF recita: «1. In caso d condanna per uno dei reati previsti dal presente capo è disposta la confisca del prodotto o del profitto conseguito dal reato e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto una somma di denaro o beni di valore equivalente. 3. Per quanto non stabilito ai commi 1 e 2 si applicano le disposizioni dell’articolo 240 del codice penale.»

[35] L’art. 187-sexies TUF recita: «1. L’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste dal presente capo importa sempre la confisca del prodotto e del profitto dell’illecito e dei beni utilizzati per commetterlo. 2. Qualora non sia possibile eseguire la confisca a norma del comma 1, la stessa può avere ad oggetto somme di denaro, beni o altre utilità di valore equivalente. 3. In nessun caso può essere disposta la confisca di beni che non appartengono ad una delle persone cui è applicata la sanzione amministrativa pecuniaria.»

[36] Cfr. Cass. pen., sez. V, 24 maggio 2007, n. 28944.

[37] Cfr. Tribunale di Milano, sez. III pen., 26 ottobre 2006, Foro ambrosiano, 2006.

[38] Cfr. Corte di Appello di Milano, sez. II, 30 gennaio 2009, Rivista dottori comm., 2009, 605.

[39] Tali statuizioni sono state confermate dalla Cass. pen., Sez. V, sent. n. 8588/2010.

[40] Cfr. Cass. pen., SS. UU., 2 luglio 2008, n. 26654.

[41] LATTANZI (a cura di), Reati e responsabilità degli enti. Guida al d. lgs. 8 giugno 2001, n. 231, Milano, 2005.

[42] Trib. Milano Sez. XI, ordinanza 20-12-2004.

[43] Cfr., Cass. pen., sez. V, sentenza n. 24583 del 20 giugno 2011.

[44] Relazione ministeriale al D. Lgs. n. 231/2001, in Guida al diritto, 2001.

[45] CHIARAVIGLIO, Confisca, procedura fallimentare, diritti dei terzi. Una importante sentenza delle sezioni unite circa la nozione di profitto del reato in favore o a vantaggio dell’ente (art.19, d.lgs. n. 231/2001), nota a Cass. sez. V 1-4-2008, n. 21941, in Rivista dei dottori commercialisti, 2008, 964-965.

[46] CHIARAVIGLIO, op. cit., 964, FONDAROLI, op. cit., 322.

[47] CHIARAVIGLIO, op. cit., 964.