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Canone di locazione in tempi di coronavirus: così è se vi pare

Canone di locazione
Canone di locazione

Indice:

1. Premessa

2. Le prime pronunce della giurisprudenza di merito sulle conseguenze del mancato pagamento dei canoni di locazione e di affitto

3. La Relazione dell’Ufficio del Massimario delle Corte Suprema di Cassazione

4. La nuova ipotesi di mediazione obbligatoria per il contenzioso “Covid”

5. Conclusioni

 

1. Premessa

Ripresa la generalità delle attività economiche dopo le diverse settimane di lockdown, è possibile fare il punto della situazione in relazione agli effetti della pandemia sui contratti (in particolare, di durata), potendo far riferimento a un quadro normativo pressoché consolidato per quanto concerne le disposizioni sostanziali in materia di diritto dei contratti e l’adozione (e diffusione) dei primi provvedimenti giudiziari che affrontano, sotto diversi aspetti e con soluzioni differenti, questioni inerenti alle sorti del rapporto obbligatorio in caso di inadempimento alle obbligazioni contrattuali.

Oggetto della presente indagine è l’individuazione delle conseguenze giuridiche del mancato versamento dei canoni di locazione di immobili nei mesi di lockdown da parte delle imprese che hanno visto forzatamente sospesa la propria attività (e, dunque, azzerato il proprio fatturato) a seguito dei provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare l’emergenza sanitaria.

Si procederà segnalando alcuni provvedimenti adottati da diversi Tribunali, aventi ad oggetto il diritto del creditore-locatore insoddisfatto di eseguire procedure esecutive o di porre all’incasso titoli rilasciati a garanzia dell’obbligazione pecuniaria assunta dal debitore-conduttore.

Inoltre, si esaminerà il punto di vista della Corte di Cassazione, che ha avuto modo di pronunciarsi sul tema degli effetti della pandemia sui contratti nella Relazione dell’Ufficio del Massimario dell’8 luglio 2020 n. 56.

Infine, si analizzeranno le soluzioni adottate dal Governo per evitare che le tensioni socio-economiche generate dalla sospensione delle attività produttive e commerciali e gli inadempimenti alle obbligazioni contrattuali connesse alla crisi di liquidità delle aziende si traducano in un ricorso massiccio al contenzioso giudiziario, capace di paralizzare un sistema già fortemente provato dalla riduzione dell’attività degli Uffici giudiziari degli ultimi mesi.

 

2. Le prime pronunce della giurisprudenza di merito sulle conseguenze del mancato pagamento dei canoni di locazione e di affitto

Analizzando i provvedimenti urgenti emanati in fase ancora emergenziale, si registra in generale un atteggiamento cauto e prudenziale dell’interprete che, quasi in attesa del completarsi di una disciplina normativa d’emergenza in continua e frenetica evoluzione o del consolidarsi di quella esistente, evita di adottare soluzioni potenzialmente dannose, rinviando la decisione ad avvenuta integrazione del contraddittorio (e consolidamento del quadro normativo).

Nel precedente articolo pubblicato su questa Rivista (Locazioni commerciali e Coronavirus: approfondimenti e chiarimenti interpretativi) avevamo già uno dei primissimi provvedimenti giudiziari sugli effetti del Coronavirus nei contratti di locazione, ossia la pronuncia adottata il 14 aprile 2020 dal Tribunale di Venezia in un procedimento cautelare ex articolo 700 c.p.c., attivato dal conduttore di un immobile a uso commerciale che aveva chiesto l’emissione di un provvedimento urgente per impedire al locatore l’escussione della fideiussione rilasciata a garanzia del pagamento dei canoni.

Il Giudicante, ritenendo possibile l’introduzione di ulteriori disposizioni normative emergenziali, ha ordinato alla banca di non pagare quanto richiesto dal beneficiario della fideiussione.

Dello stesso tenore è il decreto emanato dal Tribunale di Bologna il 12 maggio 2020, in cui il Giudice adito, anche in ragione dell’esistenza di trattative pendenti tra le parti, ha ordinato al locatore di un immobile ad uso commerciale di non mettere all’incasso gli assegni bancari, ricevuti dal conduttore a garanzia dei canoni non versati per i mesi di aprile-luglio 2020, anche al fine di evitare il verificarsi degli effetti pregiudizievoli per il debitore in caso di incasso dei titoli e mancato pagamento per difetto di provvista (segnalazione al CAI e, dunque, divieto di stipulare nuove convenzioni di assegno, divieto di emissione di assegni e iscrizione del protesto da parte del pubblico ufficiale).

Conclusa la prima fase, tuttavia, l’interprete sembra prendere consapevolezza della mancanza, nel nostro ordinamento, di istituti giuridici idonei a regolamentare, in un’ottica di conservazione del rapporto obbligatorio, le sopravvenienze sperequative del contratto e, pertanto, interpreta – spesso forzando il dato letterale – le disposizioni codicistiche e le norme emergenziali allo scopo di ricostituire l’equilibrio sinallagmatico inevitabilmente compromesso dall’evento pandemico.

Con ordinanza del 29 maggio 2020 emessa nell’ambito di un procedimento cautelare ex articolo 700 c.p.c. attivato dal conduttore di un ramo d’azienda, il Tribunale di Roma, nel rilevare che “non vi è alcuna norma di carattere generale che preveda una sospensione dell’obbligo di corrispondere i canoni di locazione” (in particolare, il Giudicante evidenzia come “l’assenza, da un lato, di una norma generale che detti una disciplina per tutti i rapporti di durata e la presenza, dall’altro, di una miriade di regole speciali citate richiamate dalla stessa difesa della ricorrente (sospensione dei termini di versamento di alcune imposte; proroga dei termini di pagamento delle rate di mutuo e dei finanziamenti; sospensione dei termini processuali) impone di prendere atto che il legislatore ha inteso, in relazione a talune, pur numerose, fattispecie, assumere iniziative di agevolazione ma nulla ha voluto disporre in ordine al quantum ed al quando del pagamento dei canoni di locazione commerciale o di affitto di azienda”), afferma l’impossibilità di applicare “alcuna norma sospensiva dell’obbligo di pagamento di canoni di affitto di azienda tratta dalla disciplina emergenziale ad oggi adottata, per la ragione – tanto semplice quanto decisiva – che una norma di tal fatta non esiste” e, pertanto, l’impossibilità di adottare una misura cautelare di mero differimento dei termini contrattuali di pagamento del canone di affitto.

Peraltro, a parere del Giudicante, il richiamo al principio di buona fede di cui agli articoli 1175 e 1375 Codice Civile, pur suggestivo, non convince, in quanto, se da una parte questo principio si concretizza nel dovere di ciascun contraente di realizzare l’interesse della controparte, imponendo di tenere comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali e dal dovere del neminem laedere, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra, non può comportare una variazione sensibile delle obbligazioni principali del contratto, a partire dai tempi e dalla misura di corresponsione del canone, in quanto “rischierebbe di minare la possibilità, per le parti, di confidare nella necessaria stabilità degli effetti del negozio (quanto meno, i principali) nei termini in cui l’autonomia contrattuale li ha determinati”.

Similmente, osserva il Tribunale capitolino, non potrebbe trovare applicazione l’articolo 1467 Codice Civile in tema di eccessiva onerosità sopravvenuta, essendo istituto incompatibile con la conservazione del contratto e idoneo solo a provocarne lo scioglimento.

Il Giudice adito, interpretando le disposizioni normative in un’ottica di ricostituzione dell’equilibrio contrattuale e di conservazione del rapporto obbligatorio, ricorre invece all’istituto dell’impossibilità temporanea, applicando in combinato disposto l’articolo 1256 Codice Civile (norma generale in materia di obbligazioni) e l’articolo 1464 Codice Civile (norma speciale in materia di contratti a prestazioni corrispettive) e affermando che “nel caso di specie ricorre una (del tutto peculiare) ipotesi di impossibilità della prestazione della resistente allo stesso tempo parziale (perché la prestazione della resistente è divenuta impossibile quanto all’obbligo di consentire all’affittuario, nei locali aziendali, l’esercizio del diritto a svolgere attività di vendita al dettaglio, ma è rimasta possibile, ricevibile ed utilizzata quanto alla concessione del diritto di uso dei locali, e quindi nella più limitata funzione di fruizione del negozio quale magazzino e deposito merci) e temporanea (perché l’inutilizzabilità del ramo di azienda per la vendita al dettaglio è stata ab origine limitata nel tempo, per poi venir meno dal 18 maggio 2020)”.

Conseguentemente, secondo il Tribunale di Roma, le conseguenze della vicenda pandemica sul contratto “non sono dunque né solamente quelle della impossibilità totale temporanea (che comporterebbe il completo venir meno del correlato obbligo di corrispondere la controprestazione) né quelle della impossibilità parziale definitiva (che determinerebbe, ex articolo 1464, una riduzione parimenti definitiva del canone): trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull’obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex articolo 1464 Codice Civile una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita”.

Il Giudicante afferma, dunque, che la resistente (ossia, parte locatrice) ha potuto eseguire (pur senza colpa, ma per factum principis) per il periodo di lockdown una prestazione solo parzialmente conforme al contratto, pertanto la ricorrente ha diritto ex articolo 1464 Codice Civile ad una riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale, riduzione da operarsi, nella sua determinazione quantitativa, avuto riguardo: a) alla sopravvissuta possibilità di utilizzazione del ramo di azienda nella più limitata funzione di ricovero delle merci, correlata al diritto di uso dei locali; b) al fatto che il ramo di azienda è pur sempre rimasto nella materiale disponibilità della ricorrente.

Pertanto, il Giudice, pur invitando le parti a ricercare un accordo, interviene in concreto nel regolamento contrattuale e nella disciplina del rapporto obbligatorio, ritenendo equa una riduzione dell’importo del canone mensile del 70% per i mesi di sospensione dell’attività economica.

L’ordinanza del 4 giugno 2020 del Tribunale di Bologna, emessa nell’ambito di un procedimento cautelare ex articolo 700 c.p.c., avente ad oggetto il mancato adempimento di una prestazione pecuniaria (quale, peraltro, è quella del conduttore nel contratto di locazione) esamina dettagliatamente la disposizione di cui al comma 3-bis dell’articolo 3 del DECRETO LEGGE n. 6/2020, convertito in Legge n. 13/2020, peraltro richiamata in tutte le pronunce già analizzate.

Il Giudice ritiene non accoglibile una lettura della disposizione in esame che legittimi l’esenzione dall’adempimento e la liberazione dall’obbligazione da parte del debitore per evidente contrasto con il dato letterale, che fa riferimento esclusivamente alla responsabilità del debitore e, dunque, alle conseguenze dell’inadempimento, che sussiste. La portata della norma andrebbe, pertanto, limitata al risarcimento del danno da inadempimento, purché questo abbia un legame eziologico con l’evento pandemico.

Ma è proprio nella determinazione dei confini dell’inadempimento da Covid e dei suoi effetti che il Tribunale di Bologna, con questa pronuncia, adotta un’interpretazione innovativa che, di certo, farà discutere.

Il Giudice di merito ritiene che un’interpretazione restrittiva della norma, tale da escluderne l’applicazione all’inadempimento di obbligazioni pecuniarie (mai oggettivamente impossibili, in virtù del principio genus numquam perit), renderebbe la stessa inutile allo scopo stesso per il quale è stata introdotta: l’interpretazione più restrittiva limiterebbe infatti l’applicazione della norma ai casi di scuola, finendo per abrogarla in via interpretativa.

Secondo il Giudicante, adottando una diversa soluzione interpretativa, la norma di cui al citato comma 3-bis potrebbe trovare applicazione anche con riferimento alle obbligazioni pecuniarie, giungendo a influenzare considerevolmente il potere del giudice di ridurre equamente la penale ai sensi dell’articolo 1384 Codice Civile e di valutare il danno come conseguenza dell’inadempimento ex articolo 1225 Codice Civile, nonché la stessa gravità dell’inadempimento di cui all’articolo 1455 Codice Civile. Ciò in quanto, “inadempimenti che, in condizioni normali, sono di non scarsa importanza, possono ricevere una valutazione di scarsa importanza, invece, in periodo di pandemia”.

Nella complicata situazione socio-economica creatasi in conseguenza della pandemia, secondo il Giudicante, uno “strumento di rara applicazione per i suoi rigorosi presupposti a tutela della stabilità del contratto”, come l’eccessiva onerosità sopravvenuta, diventa un utile strumento per il debitore, fermo restando – come osserva lo stesso estensore del provvedimento – che nella pratica il meccanismo codicistico non è del tutto soddisfacente per il debitore, potendo quest’ultimo richiedere solo la risoluzione, salva la possibilità del creditore di salvare il rapporto contrattuale offrendo la modifica e la riconduzione a equità delle condizioni del contratto.

Non di meno, il Giudicante giunge a ritenere che le conseguenze dell’inadempimento della ricorrente, che condurrebbero a un protesto di cambiali, con conseguente pregiudizio commerciale derivante dalla categorizzazione come cattivo pagatore, non sono ragionevoli in considerazione della natura dell’evento generante la crisi di liquidità (l’emergenza Covid, appunto) e del grado della colpa.

Pertanto, al fine di evitare il protesto dei titoli consegnati a garanzia dell’obbligazione pecuniaria, il Tribunale giunge a inibire alla parte resistente di porre all’incasso o di girare a terzi le cambiali e di sottoporre o consentire ad altri di sottoporre tali titoli a protesto e, di fatto, dunque, di ottenere il pagamento dei canoni non versati attraverso l’escussione della garanzia.

In altre pronunce ancora, infine, il principio di buona fede viene assunto a chiave di volta del sistema e principio fondamentale per la ricostituzione dell’equilibrio sinallagmatico.

A tal proposito, si segnala l’ordinanza del Tribunale di Pordenone dell’8 luglio 2020, in cui il Giudice adito, pronunciandosi su un’istanza di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo proposta con opposizione all’esecuzione ex articolo 615, comma 1, c.p.c. dal conduttore di un’azienda oggetto di contratto di affitto, afferma espressamente che “nessuna norma connessa all’emergenza conseguente alla pandemia da Covid-19 ha previsto che l’affittuario di un’azienda o il conduttore di un immobile possano sospendere o rifiutare il pagamento del canone nell’ipotesi in cui l’attività esercitata sia risultata interdetta dai provvedimenti emergenziali”.

A parer del Giudicante, infatti, la disposizione di cui al comma 6-bis dell’articolo 3 del Decreto Legge n. 6/2020 farebbe chiaro riferimento a profili diversi da quelli del pagamento del canone di affitto o di locazione, ossia all’obbligo di risarcimento o al maturare di decadenze e penali in caso di inadempimento, senza tuttavia affermare l’automatica sospensione sine die o la cancellazione della prestazione del versamento del canoneil cui obbligo - si dice - ne risulta, semmai, confermato”; peraltro, osserva il Giudice, “l’affittuario ha mantenuto la detenzione dei beni oggetto del contratto ed ha pacificamente ripreso l’attività al termine del periodo nel quale la stessa è stata interdetta”.

Nel caso di specie, il Giudice rigetta l’istanza di sospensione dell’efficacia del titolo, e aggiunge di dover “invitare le parti a concordare una riduzione del canone relativo ai due mesi [di sospensione dell’attività economica, ndr] cui si riferisce il precetto in conformità al canone di buona fede nell’esecuzione del contratto”.

 

3. La Relazione dell’Ufficio del Massimario delle Corte Suprema di Cassazione

In questo contesto è opportuno segnalare come anche la Corte di Cassazione sia intervenuta sul tema degli effetti della pandemia sulle obbligazioni contrattuali (ivi compresi quelli di durata, come, appunto, la locazione) con la Relazione dell’Ufficio del Massimario dell’8 luglio 2020 n. 56.

La Relazione esamina gli istituiti tradizionali e gli interventi normativi sostanziali del diritto emergenziale in ambito contrattuale e concorsuale.

Per quanto di interesse in questa sede, la Cassazione afferma espressamente come l’istituto della impossibilità parziale di cui all’articolo 1464 Codice Civile possa difficilmente applicarsi ai contratti di locazione, anche di beni produttivi, “dal momento che la prestazione di concessione in godimento rimane possibile e continua a essere eseguita quand’anche per factum principis le facoltà di godimento del bene risultino momentaneamente affievolite.

Nel contratto di durata – si legge nella Relazionela prestazione del locatore continua ad essere resa benché l’utilità che il conduttore ne ricava sia allo stato depressa. Fare perno sulle disposizioni in materia di impossibilità sopravvenuta per smarcare in tutto o in parte il locatario dal pagamento del canone vuol dire correggere l’alterazione dell’equilibrio contrattuale, dislocando una porzione delle conseguenze finanziarie del Covid da una parte all’altra del contratto, ma sulla base di una considerazione che appare ispirata al buon senso, più che al rigore giuridico”.

Per quanto concerne l’istituto dell’eccessiva onerosità sopravvenuta, “stanza di compensazione” dell’alterazione del nesso di interdipendenza anche economica tra le prestazioni, dovuta alla comparsa delle sopravvenienze, la Cassazione ne legittima il ricorso nell’attuale situazione socio-economica, dovendosi riconoscere all’evento pandemico le caratteristiche di straordinarietà, imprevedibilità e inevitabilità richieste dalla disposizione codicistica. Non di meno, come osserva la Corte di legittimità, detto strumento può rivelarsi poco utile nella pratica, in ragione degli effetti demolitori e non conservativi del contratto, che può essere salvato solo dalla parte avvantaggiata dalla sopravvenienza e, dunque, con il minor interesse alla riconduzione ad equità del regolamento contrattuale.

Peraltro, con specifico riferimento alle obbligazioni pecuniarie, nella Relazione si afferma che “il mancato o tardivo pagamento di somme dovute rimane, allo stato, e in linea di principio, ingiustificato e imputabile. Pur nel quadro costituzionale del principio solidaristico, il concetto di impossibilità della prestazione non ricomprende, infatti, la c.d. impotenza finanziaria, per quanto determinata dalla causa di forza maggiore in cui si compendia l’attuale emergenza sanitaria. Il principio non scalfito rimane quello che nega all’impotenza in questione, sebbene incolpevole, una vis liberatoria del debitore dall’obbligazione pecuniaria”.

In virtù del principio giuridico espresso dall’antico brocardo genus numquam perit, “non può esservi impossibilità oggettiva e assoluta di procurarsi il denaro per adempiere, essendo il denaro un bene generico e imperituro”.

Non di meno, la Corte di Cassazione afferma che il precetto che impone alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede (artt. 1175 e 1375 Codice Civile) si iscrive nel novero delle norme imperative di legge che vincolano e reggono l’autonomia privata. Nell’attuale situazione economica, detto precetto si declina nel dovere di rinegoziare un contratto sperequato.

Secondo la Cassazione, il principio di buona fede imporrebbe ai contraenti di “rendersi disponibili alla modificazione del contatto, allorché la parte interessata a mantenere in essere un rapporto in senso aderente alla concreta realtà del mercato inviti l’altra a rinegoziare”, con conseguente obbligo di quest’ultima di condurre la rinegoziazione in modo costruttivo, secondo i criteri derivanti, ancora una volta, dalla clausola generale di buona fede.

 

4. La nuova ipotesi di mediazione obbligatoria per il contenzioso “Covid”

Dalla rapida rassegna giurisprudenziale di cui si è dato atto nella prima parte di questo scritto, emerge evidente come la (lenta) ripresa dell’attività giudiziaria post lockdown sia segnata da un considerevole aumento del contenzioso per questioni (a torto o a ragione) dipendenti dal rispetto delle misure emergenziali adottate dal Governo per contenere la diffusione del contagio da Covid-19 e tra queste, in particolare, quelle concernenti l’inadempimento di una parte a obbligazioni contrattuali precedentemente assunte.

Per evitare la paralisi di un sistema giudiziario già fortemente congestionato, il Legislatore, in un’ottica di deflazionamento del contenzioso giudiziario secondo una tendenza già avviata da diverso tempo, ha deciso di rendere obbligatorio il preventivo ricorso all’istituto forse maggiormente utilizzato tra quelli di Alternative Dispute Resolution (ADR), ossia la mediazione.

In particolare, il comma 1-quater dell’articolo 3 del Decreto-Legge 30 aprile 2020, n. 28, inserito in sede di conversione dalla Legge 25 giugno 2020, n. 70, ha aggiunto all’articolo 3 del Decreto-Legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla Legge 5 marzo 2020, n. 13, il comma 3-ter secondo cui:

Nelle controversie in materia di obbligazioni contrattuali, nelle quali il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto, o comunque disposte durante l’emergenza epidemiologica da COVID-19 sulla base di disposizioni successive, può essere valutato ai sensi del comma 6-bis, il preventivo esperimento del procedimento di mediazione ai sensi del comma 1-bis dell’articolo 5 del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, costituisce condizione di procedibilità della domanda”.

La disposizione in esame, entrata in vigore il giorno successivo a quello di pubblicazione della Legge n. 70/2020 in Gazzetta Ufficiale e, dunque, il 30 giugno 2020, introduce pertanto una nuova ipotesi di mediazione obbligatoria per tutte le controversie aventi ad oggetto obbligazioni nascenti da un contratto in cui l’inadempimento di una delle parti sia dovuto, anche solo ipoteticamente, al rispetto delle misure di contenimento disposte durante l’emergenza epidemiologica, da valutarsi, al contempo, per l’esonero della responsabilità per il ritardato, l’inesatto o il mancato adempimento dell’obbligazione assunta ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 Codice Civile (articolo 3, comma 3-bis, Decreto Legge 23 febbraio 2020, n. 6).

Dal punto di vista operativo, appare evidente come l’appartenenza della vertenza all’ambito di applicazione della disposizione normativa in esame – e, dunque, l’obbligatorietà del preventivo esperimento del procedimento di mediazione – possa emergere in momenti diversi rispetto all’instaurazione del giudizio, a seconda dell’identità e del ruolo della parte ricorrente.

In particolare, con riferimento alle controversie in materia di locazione, se a ricorrere in giudizio è il conduttore, questo, prima di proporre domanda di risoluzione del contratto (l’unica in concreto esercitabile, come visto), dovrà preliminarmente proporre istanza di mediazione, se ritiene che il proprio inadempimento sia stato determinato dall’emergenza Covid.

Al contrario, se è il locatore ad agire per l’adempimento o la risoluzione, questi dovrà instaurare il giudizio, dovendosi poi attivare il procedimento di mediazione su eccezione del debitore o in seguito al rilievo d’ufficio del giudice, se del caso, sulla base delle difese che saranno formulate dal conduttore in sede di costituzione (e quindi una volta che il processo sia stato ritualmente incardinato).

Si osserva che la portata innovativa della disposizione risulta notevolmente depotenziata riguardo alle materie che, a norma del comma 1-bis dell’articolo 5 del Decreto Legislativo 4 marzo 2010, n. 28, già prevedono il preventivo esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale (tra le quali, anche locazione e affitto di aziende).

 

5. Conclusioni

Alla luce di quanto sopra esposto, è possibile individuare una comune tendenza dell’interprete a prediligere la conservazione del rapporto obbligatorio e a valutare in modo meno rigido e severo le conseguenze dell’inadempimento del debitore.

Di qui, la propensione ad incentivare la ricerca e il raggiungimento di un accordo tra le parti, al fine di assicurare la sopravvivenza del rapporto obbligatorio attraverso la rinegoziazione del contratto, il rispristino dell’equilibrio contrattuale e la compartecipazione del locatore alla temporanea difficoltà economica del proprio conduttore (si legge nella Relazione citata: “Il venir meno dei flussi di cassa è un contagio diffuso, rispetto al quale la terapia non è la cesura del vincolo negoziale, ma la sospensione, postergazione, riduzione delle obbligazioni che vi sono annesse”), o disciplinarne in modo meno gravoso per il debitore inadempiente le conseguenze dello scioglimento dello stesso.

Con l’introduzione della nuova ipotesi di mediazione obbligatoria per tutte le controversie aventi ad oggetto l’inadempimento di una delle parti connesso all’evento pandemico, il Legislatore ha voluto incentivare la ricerca di tale accordo prima (o immediatamente dopo) l’instaurazione del giudizio.

Come da noi sempre sostenuto, la rinegoziazione si pone, dunque, come soluzione allo straordinario, eccezionale, imprevedibile e inevitabile mutamento, ben oltre la normale aleatorietà, delle condizioni esistenti al momento della formazione del contratto e un imprescindibile strumento per ridefinire il contenuto e i caratteri delle relative obbligazioni, secondo la libera volontà delle parti, evitando indebiti interventi del giudice sul contratto, con inevitabile pregiudizio per l’autonomia economica e contrattuale privata.