Carcere e sessualità: illegittimo il divieto dell' inderogabilità del controllo a vista

Carcere
Carcere

Carcere e sessualità: illegittimo il divieto dell' inderogabilità del controllo a vista

 

Considerazioni introduttive

 

Con la sentenza n. 10 del 2024, la Consulta ha dichiarato l' illegittimità costituzionale dell'art. 18 della legge sull'ordinamento penitenziario ( L. n. 354 del 1975, recante Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui non consente “che la persona detenuta possa essere ammessa a svolgere i colloqui con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona con lei stabilmente convivente, senza il controllo a vista del personale di custodia”. La norma oggetto del giudizio di legittimità, nel prescrivere il controllo a vista sui colloqui del detenuto, gli nega il diritto di esprimere l' affettività con le persone alui stabilmente legate, anche in quelle ipotesi nelle quali non sussistono significative ragioni di sicurezza.  La legittimità costituzionale dell'art. 18 era già stata sollevata nel 2012 dal magistrato di sorveglianza di Firenze e già da allora la Corte aveva evidenziato come il diritto alla intimità del colloquio fosse “ un'esigenza reale e fortemente avvertita, quale quella di permettere alle persone sottoposte a restrizione della libertà personale di continuare ad avere relazioni intime, anche a carattere sessuale”. Prima di allora, con la sentenza n. 561 del 1987, la Corte aveva dichiarato che: “essendo la sessualità uno degli essenziali modi di espressione della persona umana, il diritto di disporne liberamente è senza dubbio un diritto soggettivo assoluto che va ricompreso tra le posizioni soggettive direttamente tutelate dalla Costituzione ed inquadrato tra i diritti inviolabili della persona umana che l'art. 2 Cost., impone di garantire”. L'intervento della Corte si era risolto in una richiesta al legislatore di intervento in materia anche in risposta alle continue sollecitazioni sovranazionali. A distanza di dodici anni, l'atteggiamento inerte del legislatore ha portato nuovamente a sottoporre all'attenzione della Corte la necessità di una pronuncia chiarificatrice in tal senso e di riconoscimento del diritto alla sessualità in carcere, nel rispetto dei principi costituzionali e sovranazionali. Nel delineare, in sentenza, alcune soluzioni organizzative scaturenti dalla decisione medesima, la Consulta ha auspicato una “ azione combinata del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell' amministrazione penitenziaria”, ciascuno con le proprie competenze.

 

La vicenda processuale e l'ordinanza di remissione del Magistrato di sorveglianza

La questione di costituzionalità oggetto del provvedimento in epigrafe, era stata sollevata dal Magistrato di sorveglianza di Spoleto chiamato a giudicare sul reclamo - ex art. 35-bis ord. penitenziario -  presentato da un condannato, in via definitiva, per i reati di tentato omicidio, furto aggravato ed evasione il quale, non potendo usufruire dei permessi premio, lamentava l' assenza della possibilità di poter consumare rapporti sessuali con la compagna in quanto le visite, con la stessa, si svolgono “ in appositi locali sotto il controllo a vista e non uditivo del personale di custodia”. Il giudice rimettente evidenziava, in primis, che la questione dell'affettività del detenuto non possa essere risolta attraverso l' istituto dei permessi premio, perchè sarebbe improprio subordinare ad una logica premiale l'esercizio di un diritto fondamentale ed, inoltre, sottolineava che, a seguito dell' interlocuzione occorsa con la direzione della Casa circondariale di Terni, presso la quale si trovava il detenuto, è emerso che vi siano aree dedicate all'incontro dei detenuti con i figli minori ma non sia presente alcuno spazio riservato per i colloqui con i partner, vigendo “ un vero e proprio divieto di esercitare l' affettività in una dimensione riservata e segnatamente la sessualità”, in contrasto con i principi costituzionali. In particolare, il divieto di colloqui intimi, lederebbe il diritto del detenuto “ alla libera espressione della propria affettività, anche mediante rapporti sessuali, quale diritto inviolabile riconosciuto e garantito dal disposto dell' art 2 Cost”. Per il magistrato di sorveglianza, il divieto risulta distonico rispetto alle norme costituzionali di protezione della famiglia, in quanto “ logora i rapporti di coppia, rischia di spezzarli a fronte del protrarsi del tempo in cui la fondamentale componente della sessualità non può essere esercitata, e di fatto pone precondizioni, non perchè, al rientro in libertà della persona detenuta, la stessa possa tornare alla propria famiglia con maggiori chance di reinsediarvisi nella pienezza del proprio ruolo, ma avendo vissuto un periodo, breve o lungo, nel quale gli è stata imposta una innaturale astinenza dal vincolo unitivo del rapporto sessuale con il/la partner”.

A parere del rimettente, sarebbero anche violati il primo ed il quarto comma dell' art. 13 Cost., in quanto “ la forzata astinenza dai rapporti sessuali con i congiunti in libertà” andrebbe a comprimere ulteriormente la libertà personale ed inciderebbe, altresì, in maniera negativa anche su qualunque, eventuale, progetto di nuova genitorialità. Vi sarebbe, altresì, una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli istituti minorili in quanto, per essi, è stata disposta la riproduzione di ambienti di tipo domestico nei quali poter svolgere riservatamente gli incontri con i propri familiari. Viene, infine, denunciata la violazione degli artt., 3 e 8 CEDU, con riferimento all' art. 117, primo comma Cost., perchè una pena caratterizzata dalla sottrazione di una porzione significativa di libera disponibilità del proprio corpo, sarebbe contraria al senso di umanità, oltre che incapace di assolvere alla funzione rieducativa.

 

Le argomentazioni della Corte Costituzionale

Con sentenza additiva di principio, la Corte ha dichiarato fondate le questioni sollevate del magistrato di sorveglianza, in riferimento agli artt., 3, 27, terzo comma, Cost., e 117, primo comma, Cost., quest'ultimo in relazione all'art. 8 CEDU.

Partendo dalle repliche avanzate dal Presidente del Consiglio che, nel richiamare la precedente pronuncia del 2012 ribadiva che la materia oggetto dell'ordinanza di remissione è di esclusiva competenza del legislatore, la Corte chiarisce la sua attuale posizione proprio con riferimento alla sentenza n. 301. In particolare, sottolinea come l'ordinamento penitenziario, in questo ultimo decennio, abbia subito significative innovazioni. Nello specifico: l'art. 1, comma 38, della L. n. 76/2016, ha previsto che:”i conviventi di fatto hanno gli stessi diritti spettanti al coniuge nei casi previsti dall'ordinamento penitenziario”; il comma 20 del medesimo, ha statuito che i diritti del coniuge in tema di colloqui penitenziari sono estesi anche alla parte dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. Inoltre, all'art. 18, oggetto di censura, è stato aggiunto un terzo comma, ai sensi del quale “ i locali destinati ai colloqui con i familiari favoriscono, ove possibile, una dimensione riservata del colloquio e sono collocati preferibilmente in prossimità dell'ingresso dell'istituto”.

Con riferimento ai permessi premio, la Corte precisa che la loro concessione ai detenuti che ne abbiano diritto, non eleimina il problema dell'affettività in carcere ma consente solo di poter consumare il rapporto sessuale al di là delle mura carcerarie. Il detenuto in attesa di giudizio, non potendo fruire del beneficio premiale, non può godere dell'affettività intramuraria a causa del disposto dell'art. 18 ord. pen., il quale prescrive il controllo a vista come modalità unica ed inderogabile del colloquio. Per la Corte, “l'assolutezza e l'inderogabilità della prescrizione producono una compressione sproporzionata e un sacrificio irragionevole della dignità della persona, in violazione dell'art. 3 Cost”. Nella pronuncia viene, altresì, censurata la violazione dell'art. 27, comma 3, Cost., in quanto il detenuto – al quale è consentito di sposarsi in carcere ma laddove non possa usufruire di permessi premio, non può esercitare il diritto all'affettività coniugale – è impossibilitato ad “esprimere una normale affettività con il partner”, cosicchè la pena si rivela inidonea ad esercitare la finalità educativa. E' stato, infine, ritenuto che il carattere assoluto ed indiscriminato del divieto di esercizio della affettività intramuraria, pone l'art. 18 in contrasto con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 8 CEDU, sotto il profilo del divieto di proporzionalità tra il divieto medesimo e le sue stesse finalità: “il diritto al rispetto della vita privata e familiare, garantito dal paragrafo 1 dell'art. 8 CEDU, viene compromesso senza che sia verificabile in concreto, agli effetti del successivo paragrafo 2, la necessità della misura restrittiva per esigenze di difesa dell'ordine e prevenzione dei reati”. I giudici costituzionali rilevano un altro profilo di irragionevolezza dell'art. 18 censurato, vale a dire il suo riverberarsi “ sulle persone che legate al convenuto da stabile relazione affettiva, vengono limitate nella possibilità di coltivare il rapporto, anche per anni. Si tratta di persone estranee al reato e alla condanna, che subiscono dalla descritta situazione normativa un pregiudizio indiretto”. Il giudizio di irragionevolezza del divieto assoluto, riceve supporto dal richiamo alle norme penitenziarie europee della Corte in sentenza, laddove evidenzia che nella maggior parte degli ordinamenti europei, sono riconosciuti spazi di espressione dell'affettività intramuraria: il riferimento è ai cosiddetti parloirs familiaux, e alle unités de vie familiares vale a dire locali, appositamente riconosciuti dall'ordinamento penitenziario francese, per consentire ai detenuti lo svolgimento di visite familiari adulti, di durata più o meno estesa, sans surveillance continue et direct. La stessa finalità hanno anche le comunicaciones ìntimas, previste dall'ordinamento spagnolo e le langzeitbesuche, le visite di lunga durata, dell'ordinamento tedesco.

Ben consapevole degli innumerevoli problemi già presenti negli istituti penitenziari, in primis il sovraffollamento, ( tanto che nella sentenza viene chiarito che può darsi immediato corso alla decisione solo laddova le condizioni materiali della singola struttura lo consentano e con la gradualità eventualmente necessaria), la Corte ha dettato specifiche indicazioni operative finalizzate a dare inizio ad un reale recepimento delle prescrizioni enunciate in sentenza, sì da consentire l'esercizio dell'affettività intramuraria della persona detenuta:

  • la durata dei colloqui intimi deve essere in proporzione all'obiettivo di garantire al detenuto e al partner un' espressione piena dell'affettività;
  • di conseguenza, le visite devono potersi svolgere non sporadicamente così da assicurare la stabilità della relazione affettiva;
  • è necessario predisporre, all'interno di ogni istituto carcerario, luoghi appropriati, “unità abitative appositamente attrezzate, (…), organizzate per consentire la preparazione e la consumazione di pasti e riprodurre, per quanto possibile, un ambiente di tipo domestico”, in modo da assicurare la riservatezza dell'incontro il quale, considerata l'eventualità di una declinazione sessuale, deve “svolgersi unicamente con il coniuge, la parte dell'unione civile o la persona stabilmente convivente con il detenuto stesso”;
  • prma di autorizzare il colloquio riservato, il direttore dell'istituto deve verificare sia l'esistenza di eventuali divieti dell'autorità giudiziaria che vietino i contatti del detenuto con la persona con la quale il colloquio deve avvenire, sia la sussistenza del presupposto dello stabile legame effettivo, “in particolare l'effettività della pregressa convivenza”.

A conclusione di ciò la Consulta rivolge, ancora una volta, l'invito ad intervenire al Parlamento, sottolineando che “ resta ovviamente salva la possibilità per il legislatore di disciplinare la materia stabilendo termini e condizioni diversi da quelli sopra enunciati, purchè idonei a garantire l'esercizio dell'affettività dei detenuti, nel senso fatto proprio dalla presente pronuncia”.

Va ricordato che le disposizioni enunciate in sentenza, non riguardano i regimi detentivi speciali, vale a dire il regime speciale di cui all'art. 41 bis ord. pen., e i detenuti sottoposti a vigilanza particolar