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Cassazione: elemento soggettivo nell’omissione di soccorso

Nota a Corte di Cassazione - Sezione Quarta Penale, Sentenza 8 novembre 2006 n. 41962

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte analizza la fattispecie di reato dell’omissione di soccorso e si sofferma in particolare sull’elemento soggettivo sotteso a tale reato.

Nel caso specifico si trattava di un automobilista, il quale non si era prestato al soccorso della vittima di un incidente stradale e che nei due gradi di merito aveva ritenuto non configurabile in suo capo una condotta dolosa, poiché la natura lieve delle lesioni colpose causate deponevano per la mancata conoscenza delle condizioni di fatto che avrebbero giustificato l’assolvimento dell’obbligo di assistenza.

Al riguardo, va premesso che il nuovo Codice della Strada, all’articolo 189, prevede varie condotte che devono essere tenute dal conducente in caso di incidente.

La Suprema Corte evidenzia come tali condotte siano dosate in “crescendo” in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente vuole la punibilità per un tale tipo di reato solo per dolo; già in precedenza la Suprema Corte aveva statuito, infatti, che “poichè l’art. 189 c. strad. prevede quale delitto, e non più, come nel precedente c. strad., quale contravvenzione, l’omissione dell’obbligo di fermarsi dopo un incidente stradale con danno alle persone, detta condotta può essere punita solo se commessa con dolo; il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone, che non costituisce una condizione di punibilità, sostanzialmente imputabile a titolo di responsabilità oggettiva, atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una colposa sarebbe poco razionale laddove si ritenesse che la seconda è punita indipendentemente dalla consapevolezza da parte dell’agente di tutti gli elementi della stessa, e quindi anche delle conseguenze derivate dall’incidente stesso” (Cass. pen. Sez. IV, 16 febbraio 2000, n. 5164).

La sostituzione effettuata dal legislatore della fattispecie contravvenzionale con quella delittuosa fa cadere la possibilità di considerare l’evento dannoso come condizione di punibilità.

La punibilità in questo caso si fonda, infatti, sulla consapevolezza dell’agente di tutti gli elementi della fattispecie e, pertanto, anche del danno alle persone.

Sulla base di tale ragionamento si è condannato l’imputato, che dopo aver tamponato un’altra autovettura si era dileguato per sottrarsi ad un proprio dovere.

Irrilevante dovrà considerarsi la circostanza della gravità o meno delle lesioni riportate dai danneggiati, non potendosi escludere per una valutazione ex post di lievità dei relativi danni, la condotta dolosa dell’autore del delitto.

Viene confermata pertanto la condanna sancita dalla Corte di Appello di Napoli, riaffermando un principio che oltre che giuridico, appare come un dovere di civiltà, il quale deve essere rispettato e non ammette giustificazioni che si fondano sulla gravità o meno delle lesioni provocate dal comportamento dell’agente. 

Con la sentenza in oggetto la Suprema Corte analizza la fattispecie di reato dell’omissione di soccorso e si sofferma in particolare sull’elemento soggettivo sotteso a tale reato.

Nel caso specifico si trattava di un automobilista, il quale non si era prestato al soccorso della vittima di un incidente stradale e che nei due gradi di merito aveva ritenuto non configurabile in suo capo una condotta dolosa, poiché la natura lieve delle lesioni colpose causate deponevano per la mancata conoscenza delle condizioni di fatto che avrebbero giustificato l’assolvimento dell’obbligo di assistenza.

Al riguardo, va premesso che il nuovo Codice della Strada, all’articolo 189, prevede varie condotte che devono essere tenute dal conducente in caso di incidente.

La Suprema Corte evidenzia come tali condotte siano dosate in “crescendo” in relazione alla maggiore delicatezza delle situazioni che si possono presentare.

L’orientamento giurisprudenziale prevalente vuole la punibilità per un tale tipo di reato solo per dolo; già in precedenza la Suprema Corte aveva statuito, infatti, che “poichè l’art. 189 c. strad. prevede quale delitto, e non più, come nel precedente c. strad., quale contravvenzione, l’omissione dell’obbligo di fermarsi dopo un incidente stradale con danno alle persone, detta condotta può essere punita solo se commessa con dolo; il dolo deve investire non solo l’evento dell’incidente, ma anche il danno alle persone, che non costituisce una condizione di punibilità, sostanzialmente imputabile a titolo di responsabilità oggettiva, atteso che la sostituzione di una fattispecie dolosa ad una colposa sarebbe poco razionale laddove si ritenesse che la seconda è punita indipendentemente dalla consapevolezza da parte dell’agente di tutti gli elementi della stessa, e quindi anche delle conseguenze derivate dall’incidente stesso” (Cass. pen. Sez. IV, 16 febbraio 2000, n. 5164).

La sostituzione effettuata dal legislatore della fattispecie contravvenzionale con quella delittuosa fa cadere la possibilità di considerare l’evento dannoso come condizione di punibilità.

La punibilità in questo caso si fonda, infatti, sulla consapevolezza dell’agente di tutti gli elementi della fattispecie e, pertanto, anche del danno alle persone.

Sulla base di tale ragionamento si è condannato l’imputato, che dopo aver tamponato un’altra autovettura si era dileguato per sottrarsi ad un proprio dovere.

Irrilevante dovrà considerarsi la circostanza della gravità o meno delle lesioni riportate dai danneggiati, non potendosi escludere per una valutazione ex post di lievità dei relativi danni, la condotta dolosa dell’autore del delitto.

Viene confermata pertanto la condanna sancita dalla Corte di Appello di Napoli, riaffermando un principio che oltre che giuridico, appare come un dovere di civiltà, il quale deve essere rispettato e non ammette giustificazioni che si fondano sulla gravità o meno delle lesioni provocate dal comportamento dell’agente.