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Cassazione Lavoro: sì al falso profilo del datore di lavoro su Facebook per accertare l’illecito del dipendente

Il 27 maggio, la Corte di Cassazione ha stabilito che la creazione, da parte di preposto aziendale e per conto del datore di lavoro, di un falso profilo facebook, al fine di effettuare un controllo sull’attività del lavoratore, già in precedenza allontanatosi dalla postazione lavorativa per parlare al cellulare, esula dal divieto di cui all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, trattandosi di controllo difensivo, volto alla tutela dei beni aziendali.

Nel caso in esame, un operaio è stato licenziato dal proprio datore di lavoro in quanto durante il proprio turno veniva sorpreso a chattare e ad utilizzare facebook.

In particolare, nell’agosto del 2012, il dipendente si era allontanato dal posto di lavoro per una telefonata privata di circa 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una pressa, bloccata da una lamiera, che era rimasta incastrata nei meccanismi; nello stesso giorno era stato trovato, nel suo armadietto aziendale, un dispositivo elettronico acceso e in collegamento con la rete elettrica e, nei giorni successivi, in orari di servizio, si era intrattenuto con il suo cellulare a conversare su facebook.

L’operaio, avverso il licenziamento, ha ricorso in Tribunale affinché si annullasse il predetto provvedimento e si disponesse la reintegrazione del posto di lavoro. Il giudice di primo grado, tuttavia, ha disposto che il rapporto di lavoro fosse risolto e, non essendoci i presupposti di un eventuale reintegro, in virtù dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ha stabilito una tutela attenuata a favore del lavoratore, condannando quindi la società datrice di lavoro a corrispondere al lavoratore un risarcimento del danno pari a ventidue mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La sentenza è stata reclamata dal dipendente dinanzi alla Corte d’appello, la quale ha stabilito che l’accertamento compiuto dalla società datrice di lavoro delle conversazioni via internet intrattenute dal ricorrente con il suo cellulare nei giorni e per il tempo indicato (attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un falso profilo su facebook), non costituisse violazione dell’articolo 4 della legge n. 300/1970 e, la stessa Corte, ha rigettato l’impugnativa di licenziamento proposta dal ricorrente, condannandolo, poi, alla restituzione della somma ricevuta in esecuzione della sentenza impugnata.

La sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che la creazione del falso profilo Facebook non costituisce, di per sé, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro: esso attiene, piuttosto, ad una semplice modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore, non invasiva, né volta a istigare l’illecito, nonchè a tutelare beni del patrimonio aziendale.

Per quanto riguarda la localizzazione dell’operaio, avvenuta in conseguenza dell’accesso a facebook da cellulare e, quindi, nella presumibile colpevolezza del lavoratore di poter essere localizzato, attraverso il sistema di rilevazione satellitare del proprio cellulare, non si può accusare il datore di una violazione dello Statuto dei lavoratori.

Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, condannandolo al pagamento delle spese del giudizio.

(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 27 maggio 2015, n. 10955)

Il 27 maggio, la Corte di Cassazione ha stabilito che la creazione, da parte di preposto aziendale e per conto del datore di lavoro, di un falso profilo facebook, al fine di effettuare un controllo sull’attività del lavoratore, già in precedenza allontanatosi dalla postazione lavorativa per parlare al cellulare, esula dal divieto di cui all’articolo 4 dello Statuto dei lavoratori, trattandosi di controllo difensivo, volto alla tutela dei beni aziendali.

Nel caso in esame, un operaio è stato licenziato dal proprio datore di lavoro in quanto durante il proprio turno veniva sorpreso a chattare e ad utilizzare facebook.

In particolare, nell’agosto del 2012, il dipendente si era allontanato dal posto di lavoro per una telefonata privata di circa 15 minuti che gli aveva impedito di intervenire prontamente su di una pressa, bloccata da una lamiera, che era rimasta incastrata nei meccanismi; nello stesso giorno era stato trovato, nel suo armadietto aziendale, un dispositivo elettronico acceso e in collegamento con la rete elettrica e, nei giorni successivi, in orari di servizio, si era intrattenuto con il suo cellulare a conversare su facebook.

L’operaio, avverso il licenziamento, ha ricorso in Tribunale affinché si annullasse il predetto provvedimento e si disponesse la reintegrazione del posto di lavoro. Il giudice di primo grado, tuttavia, ha disposto che il rapporto di lavoro fosse risolto e, non essendoci i presupposti di un eventuale reintegro, in virtù dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, ha stabilito una tutela attenuata a favore del lavoratore, condannando quindi la società datrice di lavoro a corrispondere al lavoratore un risarcimento del danno pari a ventidue mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto.

La sentenza è stata reclamata dal dipendente dinanzi alla Corte d’appello, la quale ha stabilito che l’accertamento compiuto dalla società datrice di lavoro delle conversazioni via internet intrattenute dal ricorrente con il suo cellulare nei giorni e per il tempo indicato (attraverso la creazione da parte del responsabile del personale di un falso profilo su facebook), non costituisse violazione dell’articolo 4 della legge n. 300/1970 e, la stessa Corte, ha rigettato l’impugnativa di licenziamento proposta dal ricorrente, condannandolo, poi, alla restituzione della somma ricevuta in esecuzione della sentenza impugnata.

La sentenza veniva impugnata innanzi alla Corte di Cassazione, la quale ha chiarito che la creazione del falso profilo Facebook non costituisce, di per sé, violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto di lavoro: esso attiene, piuttosto, ad una semplice modalità di accertamento dell’illecito commesso dal lavoratore, non invasiva, né volta a istigare l’illecito, nonchè a tutelare beni del patrimonio aziendale.

Per quanto riguarda la localizzazione dell’operaio, avvenuta in conseguenza dell’accesso a facebook da cellulare e, quindi, nella presumibile colpevolezza del lavoratore di poter essere localizzato, attraverso il sistema di rilevazione satellitare del proprio cellulare, non si può accusare il datore di una violazione dello Statuto dei lavoratori.

Pertanto, la Cassazione ha rigettato il ricorso del dipendente, condannandolo al pagamento delle spese del giudizio.

(Corte di Cassazione - Quarta Sezione Lavoro, Sentenza 27 maggio 2015, n. 10955)