Cassazione SU Civili: giurisdizione permesso di soggiorno per motivi umanitari

La giurisdizione sui diritti fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui "In senso contrario non appare decisivo il disposto dell’articolo 6 decimo comma del Decreto Legislativo 286/1998 che attribuisce al giudice amministrativo la cognizione dei ricorsi contro i provvedimenti di cui all’art. 5".


"In primo luogo, infatti, l’art. 5 disciplina una pluralità di fattispecie rispetto alle quali non sono ravvisabili ostacoli di ordine costituzionale all’attribuzione I della giurisdizione al giudice amministrativo. Inoltre la fattispecie di cui all’art. 5, 6° comma è assolutamente generica e si riempie di contenuti solo mediante rinvio a norme, interne o di diritto internazionale generale o convenzionale, aventi un oggetto più preciso. Tra le norme alle quali la generica formulazione dell’art. 5 fa rinvio viene in considerazione certamente l’art. 19 che, descrivendo in modo puntuale i presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno nelle situazioni corrispondenti ai divieti di espulsione e respingimento, esclude un potere discrezionale della pubblica amministrazione che deve solo accertare l’esistenza dei circostanze di fatto indicate dalla norma, con la conseguenza che i ricorsi avverso i provvedimenti che negano i permessi di soggiorno nelle fattispecie di cui all’art. 19 dovranno essere proposti davanti al giudice ordinario, anche per ragioni letterali, in quanto l’art. 6 si riferisce ai provvedimenti adottati sulla base della diversa norma di cui all’art. 5. Del pari di permesso di soggiorno per motivi umanitari (probabilmente per tutelare la riservatezza degli stranieri in favore dei quali è concesso) parla altresì l’art. 27, 20 comma del d.p.r. n. 394 del 1999 con riferimento ai permessi che l’art. 18 del d. 19s. n. 286 del 1998 indica come rilasciati, per motivi di protezione sociale.

In secondo luogo evidenti ragioni di rispetto del principio di ragionevole durata dei giudizi, di cui all’art. 111 cost. impedisce di attribuire a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi la cognizione di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse, come quelle sulle quali si basa la domanda di asilo o di riconoscimento dello status di rifugiato e quella diretta a ottenere la protezione per ragioni umanitarie. Infatti la giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (cons. Stato, sez. VI, n. 3835/2005, n. 6765/2005, 6761/2005, t.a.r. Lazio 11 luglio 2006, I. n. 5379; in senso contrario, implicitamente cons. Stato sez. VI, , n. 2868/2006), nella vigenza della disciplina anteriore al 20 aprile 2005, ha affermato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l’impugnazione dell’intimazione a lasciare il territorio, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pronunciata dal Questore nei confronti dello straniero la cui domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia stata respinta, trattandosi di provvedimento consequenziale alla valutazione negativa della commissione nazionale, fondata sulla mera discrezionalità tecnica, e impugnabile davanti allo stesso giudice ordinario per espressa previsione legislativa. Infatti, l’atto del Questore si inserisce in un unico procedimento, che inizia con la richiesta rivolta alla commissione e termina con l’ordine di allontanamento, con la conseguenza che sarebbe priva di giustificazione razionale un sistema che, affermando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario sull’atto della commissione, la negasse rispetto all’atto meramente consequenziale, costringendo inoltre lo straniero a promuovere due giudizi davanti a giudici diversi aventi se non lo stesso oggetto, oggetti strettamente connessi.

Vero è che in altre occasioni queste sezioni unite (cass. n. 7933 e 8270/2008) hanno invece ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa, ma a tale conclusione sono pervenute in fatti specie diverse da quella oggetto del presente ricorso relative alla sola impugnazione dei provvedimenti del questore e sostanzialmente, sulla base dell’orientamento che presupponeva una lettura dell’art. 19, lo comma in connessione con il successivo art. 20, che prevede un’ipotesi di valutazione certamente di natura politico-amministrativa, ma tale orientamento, come si è rilevato, non è pacifico, essendo contraddetto da una decisione della prima sezione civile di segno contrario e dalle critiche convincenti della dottrina".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Ordinanza 9 settembre 2009, n. 19393).

La giurisdizione sui diritti fondamentali, in mancanza di una norma espressa che disponga diversamente, spetta al giudice ordinario.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione, secondo cui "In senso contrario non appare decisivo il disposto dell’articolo 6 decimo comma del Decreto Legislativo 286/1998 che attribuisce al giudice amministrativo la cognizione dei ricorsi contro i provvedimenti di cui all’art. 5".


"In primo luogo, infatti, l’art. 5 disciplina una pluralità di fattispecie rispetto alle quali non sono ravvisabili ostacoli di ordine costituzionale all’attribuzione I della giurisdizione al giudice amministrativo. Inoltre la fattispecie di cui all’art. 5, 6° comma è assolutamente generica e si riempie di contenuti solo mediante rinvio a norme, interne o di diritto internazionale generale o convenzionale, aventi un oggetto più preciso. Tra le norme alle quali la generica formulazione dell’art. 5 fa rinvio viene in considerazione certamente l’art. 19 che, descrivendo in modo puntuale i presupposti per la concessione dei permessi di soggiorno nelle situazioni corrispondenti ai divieti di espulsione e respingimento, esclude un potere discrezionale della pubblica amministrazione che deve solo accertare l’esistenza dei circostanze di fatto indicate dalla norma, con la conseguenza che i ricorsi avverso i provvedimenti che negano i permessi di soggiorno nelle fattispecie di cui all’art. 19 dovranno essere proposti davanti al giudice ordinario, anche per ragioni letterali, in quanto l’art. 6 si riferisce ai provvedimenti adottati sulla base della diversa norma di cui all’art. 5. Del pari di permesso di soggiorno per motivi umanitari (probabilmente per tutelare la riservatezza degli stranieri in favore dei quali è concesso) parla altresì l’art. 27, 20 comma del d.p.r. n. 394 del 1999 con riferimento ai permessi che l’art. 18 del d. 19s. n. 286 del 1998 indica come rilasciati, per motivi di protezione sociale.

In secondo luogo evidenti ragioni di rispetto del principio di ragionevole durata dei giudizi, di cui all’art. 111 cost. impedisce di attribuire a giudici appartenenti a plessi giurisdizionali diversi la cognizione di situazioni giuridiche tra loro strettamente connesse, come quelle sulle quali si basa la domanda di asilo o di riconoscimento dello status di rifugiato e quella diretta a ottenere la protezione per ragioni umanitarie. Infatti la giurisprudenza amministrativa largamente prevalente (cons. Stato, sez. VI, n. 3835/2005, n. 6765/2005, 6761/2005, t.a.r. Lazio 11 luglio 2006, I. n. 5379; in senso contrario, implicitamente cons. Stato sez. VI, , n. 2868/2006), nella vigenza della disciplina anteriore al 20 aprile 2005, ha affermato che appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario l’impugnazione dell’intimazione a lasciare il territorio, con implicito rigetto del permesso di soggiorno per motivi umanitari, pronunciata dal Questore nei confronti dello straniero la cui domanda di riconoscimento dello status di rifugiato sia stata respinta, trattandosi di provvedimento consequenziale alla valutazione negativa della commissione nazionale, fondata sulla mera discrezionalità tecnica, e impugnabile davanti allo stesso giudice ordinario per espressa previsione legislativa. Infatti, l’atto del Questore si inserisce in un unico procedimento, che inizia con la richiesta rivolta alla commissione e termina con l’ordine di allontanamento, con la conseguenza che sarebbe priva di giustificazione razionale un sistema che, affermando esplicitamente la giurisdizione del giudice ordinario sull’atto della commissione, la negasse rispetto all’atto meramente consequenziale, costringendo inoltre lo straniero a promuovere due giudizi davanti a giudici diversi aventi se non lo stesso oggetto, oggetti strettamente connessi.

Vero è che in altre occasioni queste sezioni unite (cass. n. 7933 e 8270/2008) hanno invece ritenuto sussistere la giurisdizione amministrativa, ma a tale conclusione sono pervenute in fatti specie diverse da quella oggetto del presente ricorso relative alla sola impugnazione dei provvedimenti del questore e sostanzialmente, sulla base dell’orientamento che presupponeva una lettura dell’art. 19, lo comma in connessione con il successivo art. 20, che prevede un’ipotesi di valutazione certamente di natura politico-amministrativa, ma tale orientamento, come si è rilevato, non è pacifico, essendo contraddetto da una decisione della prima sezione civile di segno contrario e dalle critiche convincenti della dottrina".

La sentenza è integralmente consultabile sul sito della Cassazione.

(Corte di Cassazione - Sezioni Unite Civili, Ordinanza 9 settembre 2009, n. 19393).