Che la resilienza sia con noi

Particolari, Bassano del Grappa, giugno 2021
Ph. Francesca Russo / Particolari, Bassano del Grappa, giugno 2021

Mediante una comparazione dei dati relativi ai fallimenti dichiarati sino al terzo trimestre del 2021 e il numero di istanze di fallimento in Italia, in un’interessante nota di approfondimento del Servizio Studi della Banca d’Italia ([i]) viene rappresentato l’andamento dei fallimenti e delle uscite dal mercato delle aziende italiane dall’inizio della pandemia determinata dal Covid-19.

Da tale disamina, quivi riassuntivamente, si perviene a constatare che negli anni 2020 e 2021 (sino al terzo trimestre) il numero di fallimenti e di uscite dal mercato ([ii]) sia calato in media di circa il 30%. A motivo di tale flessione vi sarebbero sia l’introdotta moratoria sulle istanze di fallimento introdotta dil “Decreto Liquidità” (Decreto 8 aprile 2020, n. 2020, conv. In L. 40/2020) che ha operato sino al 30 giugno 2020, sia le misure economiche a sostegno delle imprese profferte ad esse mediante i numerosi interventi a contrasto degli effetti della pandemia (moratoria sul rimborso dei prestiti, garanzie pubbliche su nuovi prestiti, contributi a fondo perduto). In sostanza le misure assunte a contenimento delle crisi di impresa parrebbero aver consentito di limitare i danni, ferma la necessità di approfondimenti futuri per un esame di più ampio respiro in termini temporali.

Traspare che il 2020 abbia registrato procedure concorsuali liquidatorie in misura di poco inferiore a 7.400 imprese rispetto a quasi 11.000 verificatesi nel 2019. Per quanto attiene alle istanze di fallimento, si registra che nel 2020 vi sia stata una diminuzione di circa un quarto rispetto al 2019 (circa 23.000 nel 2020 rispetto a circa 30.000 nel 2019). Complessivamente, inoltre, il numero di imprese uscite dal mercato nel 2020 è inferiore di circa 20.000 unità rispetto all’anno precedente (50.000 a fronte di 70.000). Il secondo trimestre del 2020, in concomitanza con la c.d. “prima ondata Covid”, ha registrato il maggior calo di tali eventi, più che presumibilmente in virtù della citata moratoria sulle istanze rimasta in vigore sino al 30 giugno 2020, per quanto, si specifica, che il calo è registrato anche nella più generale ipotesi di uscite dal mercato, casistica non coinvolta dunque dalla moratoria. Nel terzo trimestre del 2021 si è registrato un numero di circa l’85% di dichiarazioni di fallimento e di circa l’80% di istanze di fallimento, come del 75% di uscite dal mercato, rispetto al terzo trimestre 2019.

Inoltre viene rilevato che in assenza di alcun intervento a sostegno delle imprese, in base al ciclo economico, il numero di fallimenti a breve termine sarebbe stato superiore a 12.000 nel 2020, dunque superiore di circa 4.800 rispetto a quelli dichiarati di fatto.

Interessante poi incrociare tali dati con quelli forniti dall’Istat ([iii]) secondo i quali nel secondo trimestre del 2021 vi sia stato un aumento del numero di registrazioni di nuove imprese (+3,2%) rispetto al medesimo periodo del 2020. Sempre secondo il Rapporto Annuale 2021 dell’Istat, si evidenzia come la crisi economica abbia assunto una rilevante caratterizzazione dimensionale e settoriale, registrando come sottoposte a rischio strutturale siano il 51,7% delle micro imprese (da 3 a 9 addetti) e come siano fragili in termini di rischio il 26,3% di esse. Rischiosità strutturale e fragilità che vedrebbero coinvolte il 20% circa delle piccole imprese (da 10 a 49 addetti). Nel settore terziario si registra un tessuto di imprese meno “resiliente”, laddove sarebbero a rischio strutturale il 60% delle imprese di servizi alla persona e oltre il 48% delle imprese impegnate nel commercio, nei trasporti, nei servizi ricettivi, finanziari, nelle attività immobiliari, nei servizi all’informazione e comunicazione, le attività professionali, scientifiche e tecniche e le altre attività professionali. In sostanza, le imprese che risulterebbero aver retto il contraccolpo con maggior capacità sarebbero le medie e grandi unità produttive: il 20,2% delle medie imprese e l’8,2% di quelle grandi avrebbero una capacità economica resistente e il 65,4% delle medie e l’84,7% delle grandi sarebbero addirittura solide. Sostanzialmente sarebbe stata, come comprensibile, la componente dimensionale nell’industria a restituire maggiore capacità. Ed esse avrebbero beneficiato dall’aver negli anni trascorsi pre-pandemia degli investimenti effettuati in ricerca, sviluppo e digitalizzazione finalizzati al raggiungimento di livelli di produttività superiori alla media settoriale e al miglioramento qualitativo del c.d. “capitale umano. L’auspicio dovrebbe essere nella loro capacità di traino delle piccole e micro imprese, soprattutto nel terziario, che altrimenti persisterebbero a mantenere percentuali drammatiche.

Un elemento di stretta connessione con le precedenti valutazioni non può che essere fornito anche dalla maggior capacità del ricorso al lavoro a distanza (smart working) cui forzatamente le imprese sono dovute ricorrere, con maggior capacità anche in termini di tempismo, ovviamente, da parte delle imprese che già avevano implementato la propria attività mediante il ricorso alla digitalizzazione e al miglioramento del c.d. “capitale umano”. Nell’immediatezza dell’emergenza, nel 2020, le grandi imprese hanno raggiunto il 37% di addetti in telelavoro, il 22% nell’ambito di quelle che operano nel settore dei servizi.

Se da un lato i dati riassunti tratteggiano un impatto positivo degli interventi legislativi a sostegno dell’economia durante il periodo di crisi pandemica, non restituiscono appieno lo stato dell’economia delle imprese italiane più in generale, laddove a complemento dei dati relativi al numero di fallimenti dichiarati o di istanze presentate forse si dovrebbe aggiungere il “mero” fattore “crisi”, ossia il numero di ricorsi per l’accesso al concordato preventivo, agli accordi di ristrutturazione, ai piani attestati di risanamento, alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento e all’ultimissima procedura di composizione negoziale della crisi. Come forse si potrebbe ipotizzare che vi sia stata una sorta di maggior resilienza – visto che il termine è inflazionato - da parte anche delle stesse imprese in attesa di comprendere o meno l’effettiva entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi, la proroga del quale – viste le maggiori rigidità profferte – così come la proroga ulteriore, difatti attuata ancor più elasticamente, delle procedure d’allerta era auspicata fortemente proprio nel timore che si producesse una ondata di procedure liquidatorie.

 

 

[i] L’impatto del Covid-19 sui fallimenti e le uscite dal mercato delle imprese italiane, in www.bancadialia.it.

[ii] Il Servizio Studi della Banca d’Italia si riporta ai dati estrapolati dai Registri delle Imprese per quanto attiene le dichiarazioni di fallimento e le uscite dal mercato e dal Ministero della Giustizia per quanto attiene il numero di istanze di fallimento presentate che, come noto, e giustamente, non vengono trascritte nel predetto Registro.

[iii] Rapporto annuale 2021 – La situazione del Paese, sub cap. 4, Il sistema delle imprese: tra crisi e ripresa, in www.istat.it, pubblicazioni generali.