Art. 704 - Armi
1. Agli effetti delle disposizioni precedenti, per armi si intendono:
1) quelle indicate nel numero 1 del capoverso dell’articolo 585;
2) le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti, e i gas asfissianti o accecanti.
Rassegna di giurisprudenza
A norma dell’art. 704, “agli effetti delle disposizioni precedenti, per ‘armi’ si intendono: 1) quelle indicate al n. 1 del capoverso dell’art. 585; 2) le bombe, qualsiasi macchina o involucro contenente materie esplodenti e i gas asfissianti o accecanti”.
Il contenuto di tale norma, integrato dal riferimento al richiamato n. 1 del capoverso dell’art. 585, alla cui stregua per armi si intendono “quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona”, corrisponde alla nozione di arma di cui all’art. 30 TULPS, il cui regolamento precisa all’art. 45, che, per gli effetti dell’art. 30 della legge, sono considerati armi gli strumenti da punta e da taglio, la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, come pugnali, stiletti e simili (comma 1), e che, agli stessi effetti, non sono invece considerati armi gli strumenti da punta e da taglio che, pur potendo, occasionalmente servire all’offesa, hanno una specifica e diversa destinazione, come gli strumenti da lavoro, quelli destinati a uso domestico, agricolo, scientifico, ‘sportivo, industriale e simili (comma 2) (Sez. 1, 37208/2014).
In tema di armi, per giurisprudenza di legittimità consolidata, le cartucce calibro 9 x 19 “parabellum” devono essere considerate munizioni di arma comune da sparo, la cui detenzione integra la contravvenzione prevista dall’art. 697 (Sez. 5, 18509/2017).
In tema di reati concernenti le armi, per arma in senso proprio deve intendersi quella la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona, e che rientrano in tale categoria, secondo l’art. 30 TULPS e l’art. 45 comma primo, del relativo regolamento, sia le armi da sparo sia quelle cosiddette bianche, mentre non sono da ritenersi armi, e non è quindi loro applicabile, in caso di detenzione o porto, la relativa disciplina, quegli strumenti, che, pur avendo una specifica diversa destinazione (domestica, agricola, scientifica, sportiva, industriale e simili), possono tuttavia servire occasionalmente all’offesa personale, ed essere ritenuti strumenti atti a offendere, secondo le indicazioni date dall’art. 4 L.110/1975.
Delle armi proprie in genere è vietata la detenzione non previamente denunciata all’autorità di pubblica sicurezza); delle armi improprie è vietato solo il porto, non anche la detenzione, e non è, quindi, ipotizzabile la detenzione abusiva di cui all’art. 697.
Nella giurisprudenza di legittimità, si è anche affermato che il baricentro della distinzione tra la categoria delle armi proprie e quella delle armi improprie risiede non tanto nelle caratteristiche costruttive e strutturali dei singoli strumenti e nella idoneità all’offesa alla persona, comune sia all’una sia all’altra categoria, quanto nella individuazione, tra tutte le possibili destinazioni, di quella principale corrispondente all’uso normale da accertare con specifico riferimento a quello che rappresenta l’impiego naturale dei singoli strumenti in un determinato ambiente sociale alla stregua dei costumi, delle usanze, delle esperienze affermatisi in un dato momento e, con riferimento alle fattispecie concrete analizzate e tra l’altro, si è ritenuto non rientrare nel novero delle armi proprie e il loro porto ingiustificato integrare il reato di cui all’art. 4, comma 2, L. 110/1975 e non quello previsto dall’art. 699, il cosiddetto machete, che, in quanto strumento elettivamente concepito per impieghi agricoli o boschivi, non può essere considerato come naturalmente ed esclusivamente destinato all’offesa della persona e il coltello da lancio, normalmente destinato a uso sportivo per il tiro al bersaglio; si sono considerate armi proprie non da sparo o bianche, il cui porto senza licenza al di fuori della propria abitazione integra il reato di cui all’art. 699, la sciabola da samurai, il pugnale, il coltello a scatto, detto “molletta”, la “katana”, tipica spada utilizzata dai samurai giapponesi, il coltello a serramanico dotato di un sistema di blocco della lama; si sono ritenuti rientrare nel novero delle armi bianche proprie, la cui importazione senza licenza integra il reato di cui all’art. 695 le “katane” giapponesi, le spade, i pugnali, le scimitarre e le tesserine rettangolari taglienti e appuntite, che nascono come armi e sono destinate all’offesa; si è ricondotto alla categoria delle armi improprie l’attrezzo sportivo denominato “long chang”, utilizzato nelle arti marziali, il cui uso integra la circostanza aggravante prevista dall’art. 585, comma 2, n. 2 (lesione personale procurata con l’uso di strumenti atti a offendere) (riassunzione dovuta a Sez. 1, 37208/2014).
La giurisprudenza di legittimità è prevalentemente l’orientata ad affermare che il comune coltello a serramanico (cioè l’utensile dotato di lama pieghevole nella cavità della impugnatura la quale, così, funge anche da guaina) costituisce strumento da punta e/o da taglio, ovverosia «arma bianca impropria», il cui porto ingiustificato, fuori della abitazione o delle relative appartenenze, è sanzionato dall’art. 4 L. 110/1975 (Sez. 1, 46264/2012).
Secondo la medesima giurisprudenza è, invece, arma propria (cd «arma bianca»), sicché il porto abusivo è punito ai sensi dell’art. 699, quella particolare specie di coltello, detto coltello a molla o molletta (anche: coltello a scatto o coltello a scrocco), dotato di congegni che consentono la fuoriuscita della lama dal manico (senza la manovra della estrazione manuale) e il successivo bloccaggio della lama stessa in assetto col manico (Sez. 1, 16785/2010), come pure, secondo altro orientamento, costituisce arma propria anche il coltello a serramanico privo di «congegno di scatto» che, tuttavia, assicura il blocco della lama , una volta snudata e in linea con la impugnatura-sicché la «successiva chiusura necessita di un meccanismo di disincaglio» (Sez. 1, 29483/2013).
In tutte le sopra ricordate sentenze, relative alla qualificazione del coltello a scatto o a molla come arma propria, la giurisprudenza di legittimità non ha mancato di correlare la qualificazione del coltello come arma propria alla attitudine ad «assumere le caratteristiche di un pugnale o di uno stiletto» (Sez. 1, 4938/1996). In definitiva, quali che siano le particolari caratteristiche di costruzione del coltello, il discrimine tra l’arma impropria (cioè lo strumento da punta e/o da taglio atto ad offendere) e l’arma propria è costituito dalla presenza delle caratteristiche tipiche delle armi bianche corte, quali, appunto, i pugnali o gli stiletti, e, cioè, la punta acuta e la lama a due tagli (Sez. 1, 19927/2014).
Deve, quindi, concludersi che, salvo che si tratti di una «arma bianca propria» nel senso sopra ricordato, il coltello è di regola una «arma bianca impropria», cioè si tratta di uno strumento da punta e da taglio (Sez. 1. 44430/2017).
Lo sfollagente non è un’arma in senso proprio, in quanto non ha come destinazione naturale l’offesa alla persona, ma può essere utilizzato anche per finalità diverse, per esempio come strumento per l’allontanamento o la separazione di persone, senza alcuna offesa alla loro incolumità. La sua detenzione, pertanto, non è punibile ai sensi dell’art. 697. L’art. 704 stabilisce, infatti, che, agli effetti delle disposizioni precedenti e, quindi, anche dell’art. 697, per armi si intendono quelle indicate nel n. 1 del capoverso dell’art. 585 cod. pen. nonché le bombe, le macchine e gli involucri contenenti materie esplodenti, i gas asfissianti e quelli accecanti. Il n. 1 del capoverso dell’art. 585, poi, annovera le armi da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona.
È quindi evidente che, una volta esclusa la natura di arma in senso proprio di uno sfollagente, e poiché esso non rientra in alcuna fra le altre categorie di oggetti di cui all’art. 704, deve negarsi che sia annoverato fra le armi di cui l’art. 697 punisce la detenzione non denunciata.
Per completezza, deve precisarsi che a disciplina ben diversa dalla mera detenzione è soggetto il porto dello sfollagente fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, comportamento punito, se compiuto in mancanza di autorizzazione, a norma dell’art. 4, comma 1, L.110/1975 (Sez. 1, 31933/2017).
Le bottiglie di vetro riempite di benzina e munite di stoppino da accendere al momento del lancio costituiscono armi da guerra. Ai fini dell’applicazione dell’art. 1 L. 895/1967, si ha “fabbricazione” allorché l’oggetto (arma, ordigno, congegno) manipolato ha raggiunto una sufficiente caratterizzazione che lo distingua come strumento autonomo dalle sue componenti materiali, pur senza raggiungere l’idoneità al pronto impiego.
Da un punto di vista fattuale che logico, la detenzione e il porto illegale in luogo pubblico di bottiglie incendiarie tipo “molotov”, costituenti, secondo la costante giurisprudenza di legittimità, armi da guerra per il loro potenziale offensivo, per la spiccata capacità di cagionare un incendio e di provocare una deflagrazione, a causa della vampata, della proiezione di schegge, dello sprigionarsi del gas.
Se, infatti, una semplice bottiglia contenente benzina non può essere equiparata ad un’arma da guerra, ben può esserlo, invece, allorché oltre a contenere benzina sia anche munita di uno stoppino acceso al momento del lancio, idoneo, allorché il vetro sia rotto, alla trasmissione della fiamma al liquido contenuto nella bottiglia e, quindi, a provocare, come in precedenza detto, incendio, deflagrazione e proiezione di schegge (Sez. 1, 17120/2016).