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Art. 449 - Delitti colposi di danno

1. Chiunque, al di fuori delle ipotesi previste nel secondo comma dell’articolo 423-bis, cagiona per colpa un incendio o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni (1).

2. La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone.

(1) Comma così modificato dall’art. 1, DL 220/2000, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, L. 275/2000. La medesima modifica è stata successivamente disposta dall’art. 11, L. 353/2000.

Rassegna di giurisprudenza

Nozione di disastro

I reati di disastro colposo richiamati dall'art. 449 richiedono un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l'incolumità delle persone indeterminatamente considerate; di talché è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all'attitudine di un certo fatto a ledere o mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; e l'effettività della capacità diffusiva del nocumento - cosiddetto pericolo comune - deve essere accertata in concreto (Sez. 4, 35840/2021).

La giurisprudenza di legittimità (Sez. 4, 18977/2009) ha già avuto modo di pronunziarsi in modo diffuso ed univoco sulla nozione di disastro colposo; e ne ha delineata la struttura dì illecito di pericolo astratto. Non si può tralasciare la verifica dell’offensività del fatto mediante un procedimento logico di contestualizzazione dell’evento, giudicando ex ante se il fatto fosse in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, richiedendo il pericolo astratto la verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di persone nella sfera di esplicazione del fatto (Sez. 4, 36639/2012).

Dal quadro normativo al cui interno si colloca il reato in questione (Titolo VI del codice penale, relativo ai reati contro l’incolumità pubblica, al cui interno trovano collocazione, per quello che qui interessa, il Capo I dedicato ai delitti dolosi di comune pericolo mediante violenza ed il Capo III dedicato ai delitti colposi di comune pericolo) emerge che si tratta di figure nelle quali non è affidata al giudice la concreta valutazione ex post della pericolosità della condotta, ma è la norma che descrive alcune situazioni tipicamente caratterizzate, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sé una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità personale.

Si è, infatti, in presenza di eventi dotati di forza dirompente e quindi in grado di coinvolgere numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile.

Rispetto a tali eventi, non è richiesta l’analisi a posteriori di specifici decorsi causali, che è invece propria degli illeciti che coinvolgono una o più persone determinate. Al contrario, ciò che caratterizza il pericolo per la pubblica incolumità è semplicemente la tipica, qualificata possibilità che le persone si trovino coinvolte nella sfera d’azione dell’evento disastroso descritto dalla fattispecie, esposte alla sua forza distruttiva (Sez. 4, 15444/2012).

È necessaria, quindi, una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità, nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone, anche se appartenenti a categorie determinate di soggetti; ed, inoltre, l’effettività della capacita diffusiva del nocumento (cosiddetto pericolo comune) deve essere accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, casualmente, l’evento dannoso non si sia verificato (Sez. 4, 32543/2016).

 

Crollo colposo

L’articolo 449, non a caso rubricato “delitti colposi di danno va chiarito ove mai residuassero dubbi  punisce anche a titolo di colpa la sola ipotesi dolosa aggravata di cui al secondo comma dell’articolo 434, e non anche quella di pericolo di cui al primo comma.

Occorre, in altri termini, che si realizzi un evento di danno. Per la configurabilità del delitto di disastro colposo, in altri termini, è necessario che l’evento sì verifichi, diversamente dall’ipotesi dolosa, nella quale la soglia di punibilità è anticipata al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità e, qualora il disastro si verifichi, risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal citato art. 434, comma 2 (Sez. 4,  4675/2007): le condotte meramente prodromiche rispetto al già più volte indicato evento di pericolo non rilevano. Una tale lettura della norma trova ulteriore conforto nel successivo art. 450, che in contrapposizione al precedente, relativo ai delitti colposi di danno, riguarda i delitti colposi di mero pericolo.

Tale fattispecie anticipa la tutela rispetto a quella delineata dal precedente art. 449, incriminando anche le condotte che fanno solo sorgere o persistere il pericolo di un evento disastroso. La norma, tuttavia, non si riferisce indiscriminatamente a tutte le fattispecie di disastro, bensì solo ad alcune analiticamente indicate: disastro ferroviario, inondazione, naufragio sommersione.

Si tratta di un’opzione normativa che non è casuale e trova esplicita spiegazione anche nella relazione ministeriale al progetto di codice, ove si spiega che l’esclusione della fattispecie colposa di pericolo di crollo trova giustificazione nella preoccupazione che lo sviluppo edilizio possa essere frenato da frequenti accertamenti tecnici connessi a tale fattispecie.

La stessa differenziazione nell’anticipazione del punto di rilevanza penale delle ipotesi di disastro nominato rispetto a quelle di natura innominata se da un lato si aggancia alla voluntas legis di tutelare maggiormente le situazioni di pericolo relative ai cd. disastri catalogati (che per loro natura hanno una notevole carica di dannosità), dall’altro può giustificare la indicazione per la punibilità di fattispecie apparentemente anche meno distruttive come possono essere appunto i crolli delle civili abitazioni: per queste infatti deve necessariamente lasciarsi un ambito discrezionale al giudice per consentire di discernere (per escluderne la rilevanza penale) le ipotesi limite come potrebbe essere quella che del crollo di un modesto appartamento (in zona isolata) abitato da una sola persona.

In proposito, dunque, si ritiene che vada qui ribadito l’indirizzo secondo il quale, in tema di delitti contro l’incolumità pubblica, le condotte colpose integranti pericolo di crollo di una costruzione non configurano il delitto di cui all’art. 449, che richiede il verificarsi di un disastro inteso come disfacimento dell’opera (Sez. 4, 1897/2009 che ha escluso che il grave, genetico disastro statico di un edificio, tanto rilevante da determinare pericolo di collasso, configurasse la fattispecie di disastro innominato colposo) (Sez. 4, 39128/2018).

Per configurare il delitto di crollo colposo è necessario che il crollo assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità da porre in concreto pericolo la vita delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante (Sez. 4, 6499/2018).

Ai fini della configurabilità del delitto di crollo colposo è necessario che il crollo della costruzione  inteso quale caduta violenta e improvvisa della stessa, senza che sia necessariamente richiesta la disintegrazione delle strutture essenziali  assuma la fisionomia del disastro, cioè di un avvenimento di tale gravità e complessità da porre in concreto pericolo la vita e l’incolumità delle persone, indeterminatamente considerate, in conseguenza della diffusività degli effetti dannosi nello spazio circostante; mentre, per la sussistenza della contravvenzione di rovina di edifici di cui all’art. 676, secondo comma, non è necessaria una tale diffusività e non si richiede che dal crollo derivi un pericolo per un numero indeterminato di persone (Sez. 4, 51734/2017).

Attraverso le fattispecie collocate nel titolo sesto del codice penale, relativo ai reati contro l’incolumità pubblica, al cui interno trovano collocazione, per quello che qui interessa, il capo primo dedicato ai delitti dolosi di comune pericolo mediante violenza ed il capo terzo dedicato ai delitti colposi di comune pericolo, il codificatore ha inteso proteggere la sfera superindividuale di beni primari quali la vita, l’integrità fisica, la salute. La tecnica di conformazione delle incriminazioni è assai variegata e frutto di precise e tecnicamente dosate scelte di politica criminale.

Per quel che qui interessa, è possibile partire dalla considerazione che il nucleo centrale di tale categoria di illeciti è costituita, nell’ambito dei reati dolosi di cui al primo capo, dalle fattispecie di disastro, ordinariamente configurate come reati di pericolo astratto. Vi compare un definito evento, contrassegnato da tipica pericolosità in relazione ai beni primari cautelati: un evento di pericolo, appunto. Si tratta di figure nelle quali non è affidata al giudice la concreta valutazione ex post della pericolosità della condotta, ma è la norma che descrive alcune situazioni tipicamente caratterizzate, nella comune esperienza, per il fatto di recare con sè una rilevante possibilità di danno alla vita o all’incolumità personale.

Si tratta di reati come l’incendio, l’inondazione, la frana, la valanga, il disastro ferroviario, il naufragio. L’evocazione di tali drammatiche contingenze tipiche, storicamente ben note alla legislazione penale, chiama in causa l’idea di indeterminatezza del danno che caratterizza i reati di comune pericolo. Si è infatti in presenza di eventi dotati di forza dirompente e quindi in grado di coinvolgere numerose persone, in un modo che non è precisamente definibile o calcolabile. Rispetto a tali eventi, non è richiesta l’analisi a posteriori di specifici decorsi causali che è invece propria degli illeciti che coinvolgono una o più persone determinate.

Al contrario, ciò che caratterizza il pericolo per la pubblica incolumità è semplicemente la tipica, qualificata possibilità che le persone si trovino coinvolte nella sfera d’azione dell’evento disastroso descritto dalla fattispecie, esposte alla sua forza distruttiva. Di qui l’idea di indeterminatezza. La struttura delle fattispecie è normalmente astratta; sicché al giudice è solo richiesto di verificare l’esistenza di un fatto conforme al modello tipico. Per tale ragione, i reati in questione mostrano un rapporto di tensione con il principio costituzionale di offensività: non può infatti escludersi l’eventualità che l’evento di pericolo conforme al tipo non rechi con sé una concreta misura di possibile pregiudizio per i beni cautelati.

Tale pericolo può essere arginato da un lato in via interpretativa, conferendo alle sintetiche espressioni utilizzate dal codificatore per descrivere gli eventi in questione un significato che esprima, appunto, l’idea di accadimenti macroscopici, dirompenti e quindi potenzialmente lesivi nella dimensione indeterminata e superindividuale cui si è già sopra fatto cenno; dall’altro, nella fase giudiziale, accertando che il caso concreto presenti le caratteristiche di tipica offensività insite nella fattispecie astratta. Tale itinerario interpretativo è segnato anche dalla nota sentenza 286/1974.

La Corte costituzionale, investita della questione di costituzionalità degli artt. 423 e 428, l’ha ritenuta infondata “tenendo anche conto che per la sussistenza dei reati di naufragio e di incendio di cosa aliena è necessario che si verifichi un evento che possa qualificarsi, appunto, naufragio od incendio, cioè un evento tale che sia potenzialmente idoneo - se pur non concretamente a creare la situazione di pencolo per la pubblica incolumità (per l’incendio sono richieste la vastità, la violenza, la capacità distruttiva, la diffusibilità del fuoco)”. Tale pronunzia, sebbene riferita a due specifiche categorie di disastri, propone con tutta evidenza enunciazioni di carattere generale che definiscono indubitabilmente il disastro come un evento macroscopico- tipicamente pericoloso. Il codificatore, come si è accennato, ha tuttavia variegato la disciplina con diversi schemi. In qualche caso, nell’ambito degli illeciti dolosi, ha anticipato ulteriormente la tutela rispetto all’evento di pericolo. Ad esempio nel danneggiamento seguito da incendio di cui all’art. 424 si punisce la condotta di chi appicca il fuoco se dal fatto sorge pericolo di un incendio. Una tecnica analoga si riscontra nella fattispecie di danneggiamento seguito da naufragio di cui all’art. 429 ed in quella di pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento di cui all’art. 431. In altri casi, invece, il tipo comprende la verificazione di un pericolo concreto.

Ad esempio, nell’ambito della fattispecie di naufragio o sommersione di natante ovvero di caduta di un aeromobile di proprietà dell’agente (art. 428 comma 3), è richiesto non solo che l’evento disastroso sia potenzialmente, astrattamente idoneo a creare la situazione di pericolo ma altresì che dal fatto derivi concreto pericolo per la pubblica incolumità. E basterebbe questa constatazione a dimostrare che nelle fattispecie (come quella in esame) nelle quali manca l’evocazione di un pericolo concretamente cagionato, si è in presenza di fattispecie di pericolo astratto. In tale complessivo quadro, presenta particolare interesse sotto diversi aspetti la fattispecie di cui all’art. 434, richiamata dall’art. 449, relativa al collo di costruzioni o altri disastri dolosi.

Essa da un lato anticipa la tutela sanzionando la condotta di attentato contrassegnata dal mero pericolo di crollo della costruzione, dall’altro chiede il concreto pericolo per la pubblica incolumità. La norma, inoltre, con l’espressione “un altro disastro” delinea la fattispecie di disastro innominato. Tale previsione, come emerge anche dalla relazione al progetto del codice, è ispirata all’esigenza di colmare eventuali lacune che si possono verificare nella previsione degli eventi disastrosi illeciti per effetto della evoluzione della tecnica.

Di tale fattispecie si è occupata la Corte costituzionale (sentenza 327/2008) chiamata a valutare il dubbio di illegittimità costituzionale alla luce del principio di determinatezza. La Corte, nel dichiarare non fondata la questione, ha proposto alcune riflessioni che risultano interessanti anche ai fini del presente giudizio. Si rammenta che il principio di indeterminatezza è volto da un lato ad evitare che il giudice assuma un ruolo creativo individuando in luogo del legislatore i confini tra il lecito e l’illecito; e dall’altro è finalizzato a garantire la libera autodeterminazione individuale, consentendo al destinatario della norma penale di apprezzare le conseguenze giuridiche della propria condotta.

Quanto alla specifica espressione “disastro” utilizzata nell’articolo richiamate” la Corte osserva che senza dubbio si tratta di formula sommaria capace di assumere nel linguaggio comune una gamma di significati ampiamente diversificati. Tuttavia la valenza del termine è illuminata dalla finalità dell’incriminazione e dalla sua collocazione nel sistema dei delitti contro la pubblica incolumità. Si tratta di evento diverso ma comunque omogeneo, sul piano delle caratteristiche strutturali, rispetto ai disastri contemplati negli articoli compresi nel capo relativo ai delitti di comune pericolo mediante violenza.

Esso pertanto è caratterizzato dai tratti distintivi delle fattispecie di disastro tipiche, costituite da un evento distruttivo di proporzioni straordinarie anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi con conseguente pericolo per la vita e per l’integralità fisica di un numero indeterminato di persone. Tale interpretazione, conclude la Corte, è del resto conforme alla elaborazione giurisprudenziale di legittimità.

Da quanto precede emerge una prima significativa conclusione, conformata sulle fattispecie dolose cui si è sin qui fatto cenno: il disastro, nominato o innominato che sia, costituisce un evento fortemente connotato sul piano naturalistico e contrassegnato da forza distruttiva di dimensioni assai rilevanti. Come si è accennato, l’ordinamento penale contempla altresì, in qualche caso, la ulteriore anticipazione della tutela, prevedendo (è il caso dell’art. 434) la fattispecie di attentato, contrassegnata dal pericolo di crollo o di disastro innominato, aggravata dalla verificazione dell’evento Resta da rapportare le indicate conclusioni all’ambito colposo definito dagli artt. 449 e 450.

Quanto all’art. 449 è in primo luogo di rilevante interesse l’intitolazione “delitti colposi di danno”, che trova specificazione nella descrizione della fattispecie costituita dalla produzione, per colpa, di un incendio o di un altro disastro preveduto dal capo primo. La dizione non lascia adito a dubbi: nell’ambito colposo rileva solo la situazione in cui si sia realizzato l’evento di pericolo tipico costituito da disastro nominato o innominato, inteso come accadimento poderoso, nei termini cui si è già sopra fatto cenno.

Tale conclusione è stata del resto già raggiunta in sede di legittimità quando ha affermato che per la configurabilità del delitto di disastro colposo (artt. 434 e 449) è necessario che l’evento si verifichi, diversamente dall’ipotesi dolosa (art. 434 comma 1), nella quale la soglia per integrare il reato è anticipata al momento in cui sorge il pericolo per la pubblica incolumità e, qualora il disastro si verifichi, risulterà integrata la fattispecie aggravata prevista dal secondo comma dello stesso art. 434. Dunque, già la connotazione testuale dell’incriminazione esclude che nell’ambito colposo definito dall’art. 449 possano indistintamente rilevare condotte meramente prodromiche rispetto al già più volte indicato evento di pericolo.

Tale lettura della norma trova ulteriore conforto nel successivo art. 450 che, in contrapposizione al precedente, relativo ai delitti colposi di danno, riguarda i delitti colposi di mero pericolo. Tale fattispecie anticipa la tutela rispetto a quella delineata dal precedente art. 449, incriminando anche le condotte che fanno solo sorgere o persistere il pericolo di un evento disastroso. La norma, tuttavia, non si riferisce indiscriminatamente a tutte le fattispecie di disastro, bensì solo ad alcune analiticamente indicate: disastro ferroviario, inondazione, naufragio, sommersione.

Si tratta di un’opzione normativa che, con tutta evidenza, non è casuale e trova esplicita spiegazione anche nella relazione ministeriale al progetto di codice, ove si spiega che l’esclusione della fattispecie colposa di pericolo di crollo trova giustificazione nella preoccupazione che lo sviluppo edilizio possa essere frenato da frequenti accertamenti tecnici connessi a tale fattispecie.

Anche la complessa articolazione della disciplina da ultimo esaminata conferma la frammentarietà che caratterizza la conformazione del tipo, nell’ambito degli illeciti di cui al titolo sesto. Il legislatore ha espresso nel codice scelte selettive, anche attraverso variegate tecniche d’incriminazione: una frammentarietà che è il frutto di ben meditate scelte di politica criminale, di cui occorre evidentemente tenere rispettosamente conto.

Da quanto precede occorre inferire che il codificatore ha ritenuto, in ambito colposo, di anticipare la tutela, sanzionando alcune determinate situazioni fattuali nelle quali l’evento di pericolo, cioè il disastro quale accadimento macroscopico, non si è verificato; ma si è determinata una situazione concreta che ha implicato il pericolo di verificazione di disastro (Sez. 4, 22671/2014).

 

Naufragio colposo

Ai fini della sussistenza del delitto di cui agli artt. 428 e 449, comma secondo, perché si abbia naufragio non è necessario che il natante sia affondato, essendo sufficiente che lo stesso non sia più in grado di galleggiare regolarmente, risultando così inutilizzabile per la navigazione (fattispecie riferita all’inabissamento parziale di un’imbarcazione a motore dovuto alla falla apertasi nello scafo a seguito dell’urto della porzione poppiera dell’unità contro alcuni scogli) (Sez. 4, 19137/2015).

 

Frana colposa

Per la tradizione giurisprudenziale il delitto di “frana colposa” richiede un evento di danno alle cose, quale è una frana, di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, non essendo sufficiente il verificarsi di un mero smottamento; in presenza di tali condizioni, non rientra né nella fattispecie dolosa né in quella colposa la sussistenza di un concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, che è presunto dalla legge e non va, pertanto, specificamente provato (Sez. 4, 13947/2008).

L’orientamento del reato di frana al principio di offensività si realizza attribuendo alla nozione di frana contenuti che rendono l’evento idoneo a porre concretamente in pericolo l’incolumità pubblica, ancorché non sia richiesto l’accertamento di tale pericolo come elemento autonomo essenziale alla integrazione del reato (Sez. 4, 58349/2018).

Le due ipotesi di reato, rispettivamente delittuosa e contravvenzionale, previste dall’art. 449, con riferimento all’art. 434, e dall’art. 676, differiscono tra loro non soltanto perché soggetto attivo del delitto può essere chiunque, mentre soggetti attivi della contravvenzione possono essere esclusivamente il progettista ed il costruttore, ma si distinguono anche e soprattutto per la differenza inerente all’elemento materiale e, particolarmente, per la maggiore gravità dell’avvenimento che caratterizza il delitto rispetto alla contravvenzione.

Per la sussistenza del delitto, invero, si richiede che il crollo della costruzione abbia assunto la fisionomia di un disastro, cioè di un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita e la incolumità delle persone, indeterminatamente considerate (quali gli operai impiegati nei lavori), mentre per la contravvenzione deve trattarsi di semplice rovina di un edificio o di altra costruzione e la circostanza che sia derivato pericolo alle persone è prevista come aggravante (Sez. 4, 18432/2014).

L’evento di frana, rilevante agli effetti della legge penale nella fattispecie dolosa prevista dall’art. 426 ed in quella colposa prevista dall’art. 449, consiste in un fenomeno di proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento, senza che sia necessario verificare il concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, essendo tale pericolo presunto dalla legge (Sez. 1, 4040/2004).

Non rientra nella fattispecie (inondazione o frana) prevista dall’art. 426, come pure nell’ipotesi colposa di cui al successivo art. 449, il concreto ed effettivo pericolo per la pubblica incolumità, essendo tale pericolo presunto dalla legge; tuttavia non può costituire inondazione o frana qualsiasi allagamento o smottamento, dovendo il fenomeno assumere, in ogni caso, proporzioni ragguardevoli per vastità e difficoltà di contenimento (Sez. 1, 750/1994).

 

Disastro aviatorio colposo

Con specifico riferimento al disastro aviatorio, occorre rilevare che l’art. 428, che richiama la caduta di aeromobili ed al quale fa anche espresso rinvio l’art. 449, distingue il caso che la caduta riguardi un velivolo di proprietà altrui, cioè di soggetto diverso dall’autore del fatto (comma 1) dal caso in cui costui ne è proprietario (comma 3).

Mentre nel primo caso la norma non fa riferimento alcuno al requisito del pericolo per l’incolumità pubblica, nel secondo caso la sussistenza di tale requisito è espressamente prevista, di guisa che è stato sostenuto che, allorché a cadere sia un velivolo di proprietà del reo, occorre, per la sussistenza del reato, che dal fatto derivi un concreto pericolo per la pubblica incolumità; requisito ritenuto, viceversa, non necessario nel caso di caduta di un velivolo di proprietà altrui, in relazione al quale il pericolo sarebbe presunto dalla legge.

La fattispecie descritta sub comma 1 dell’art. 428 integrerebbe, quindi, un’ipotesi di reato di pericolo presunto, sul rilievo che la caduta di un aeromobile provoca comunque allarme e determina situazioni di generale pericolo, di guisa che, ai fini della sussistenza del delitto in questione, non occorre che il giudice accerti che la caduta dell’aeromobile abbia posto in pericolo la pubblica incolumità.

Tale interpretazione, tuttavia, è stata, da alcun tempo, riconsiderata, nel senso che è stato ritenuto necessario che la situazione di pericolo che comunque rappresenta il presupposto al quale si ricollega la fattispecie in esame, debba comunque presentare una pur apprezzabile concretezza, in qualche modo idonea a generare una condizione di pericolo per la pubblica incolumità. Si è quindi inteso sostituire a concetto di pericolo presunto quello di pericolo astratto, di un pericolo, cioè, che presenti la concreta potenziale idoneità a determinare una situazione di pericolo per la vita, l’integrità fisica, la salute delle persone.

È stato, quindi, in proposito recentemente affermato (Cass. 36639/12) che “non integra il reato qualsiasi precipitare a terra (di un aeromobile) governato dalla sola forza di gravità ma va accertato, alla luce degli elementi concretamente determinatisi, quali le dimensioni del mezzo, il numero dei passeggeri che può essere trasportato, il luogo effettivo di caduta, l’espansività e la potenza del danno materiale, se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone”.

Tale verifica, è stato precisato, deve essere eseguita dal giudice con giudizio ex ante, ovvero accertando, alla luce dei fattori conosciuti e conoscibili da parte dell’agente, “se il fatto era in grado di esporre a pericolo l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, richiedendo il pericolo astratto, nella specie, la verosimiglianza della presenza di un numero indeterminato di persone nella sfera di esplicazione del fatto”. Con riguardo al delitto oggetto d’esame, la verifica che deve essere eseguita concerne, quindi, il possibile coinvolgimento nell’evento “di un numero indeterminato di persone” che si trovino presenti nella sfera di esplicazione del fatto (Sez. 4, 5397/2015).

 

Disastro ferroviario colposo

In tema di disastro ferroviario colposo, sussiste il delitto di cui all’art. 449 solo quando effettivamente si verifichi un evento di gravità, complessità ed estensione straordinarie, dal quale la legge penale presume il pericolo per la pubblica incolumità (fattispecie relativa alla collisione tra due convogli ferroviari, avvenuta a velocità non elevata, cui sono conseguiti danni non rilevantissimi alle cose e alle persone, in riferimento alla quale la Corte ha escluso la consumazione del disastro, riconoscendo la sussistenza esclusivamente del pericolo dello stesso ai fini della configurabilità del diverso delitto di cui all’art. 450) (Sez. 4, 40799/2008).

 

Fattispecie escluse dalla previsione dell’art. 449

Il delitto di strage previsto dall’art. 422 non è punibile a titolo di colpa, non essendo ricompresa nel richiamo operato dall’art. 449, sia per la formulazione della norma che per l’incompatibilità della fattispecie colposa con il dolo specifico (il «fine di uccidere») che caratterizza la fattispecie dolosa (Sez. 4, 4675/2007).

 

Ulteriori profili

La Corte costituzionale, con la sentenza 143/2014, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 157, sesto comma, nella parte in cui prevede che i termini di cui ai precedenti commi del medesimo articolo siano raddoppiati, rispetto al reato di incendio colposo, ai sensi dell’art. 449, in riferimento all’art. 423.

La Consulta, a fondamento dell’assunto, ha posto in evidenzia che la disciplina di cui all’art. 157, comma sesto, determina una anomalia di ordine sistematico, laddove il termine prescrizionale per i delitti realizzati in forma colposa  nella specie l’incendio  risulta addirittura superiore rispetto alla corrispondente ipotesi dolosa, se pure identica sul piano oggettivo.

Il giudice delle leggi, muovendo dalla considerazione per cui la regola generale di computo della prescrizione non può certo ritenersi inderogabile da parte del legislatore, ha evidenziato che soluzioni ampliative dei termini di prescrizione ordinari possono essere giustificate, come emergente dai lavori parlamentari relativi alla legge in esame, sia dal particolare allarme sociale generato da alcuni tipi di reato, il quale comporti una “resistenza all’oblio” nella coscienza comune più che proporzionale all’energia della risposta sanzionatoria; sia dalla speciale complessità delle indagini richieste per il loro accertamento e dalla laboriosità della verifica dell’ipotesi accusatoria in sede processuale, cui corrisponde un fisiologico allungamento dei tempi necessari per pervenire alla sentenza definitiva.

La discrezionalità legislativa in materia deve essere esercitata, tuttavia, nel rispetto del principio di ragionevolezza e in modo tale da non determinare ingiustificabili sperequazioni di trattamento tra fattispecie omogenee, come invece era avvenuto nel caso esaminato. Con la recente sentenza 265/2017 la Corte costituzionale ha, invece, dichiarato l’infondatezza di analoga questione posta in relazione al reato di disastro colposo, risultante dal combinato disposto degli artt. 449 e 434, il cui termine prescrizionale, in base alla regola del raddoppio, risulterebbe uguale a quello previsto per il disastro doloso, disciplinato dall’art. 434 comma 2.

La Corte costituzionale, ha in tal caso, escluso la possibilità di estendere in via interpretativa il portato demolitorio della precedente sentenza 143/2014, posto che tale pronuncia si basava specificamente sull’analisi comparativa dei reati di incendio colposo e doloso per i quali la regola del raddoppio rendeva il termine di prescrizione non uguale ma nettamente più lungo per il primo rispetto al secondo.

La Corte ha invero precisato che con la precedente pronuncia non si era affatto inteso affermare che vi sia una inderogabile esigenza costituzionale di stabilire, senza possibilità di eccezioni, per l’ipotesi colposa un termine di prescrizione diverso e più breve di quello valevole per la versione dolosa del medesimo reato, registrandosi nel nostro sistema un ragguardevole numero di casi di equiparazione.

Ha altresì, e in termini più generali, considerato che al legislatore non è precluso di ritenere, nella sua discrezionalità, che in rapporto a determinati delitti colposi la “resistenza all’oblio” nella coscienza sociale e la complessità dell’accertamento dei fatti siano omologabili a quelle della corrispondente ipotesi dolosa, giustificando, con ciò, la sottoposizione di entrambi ad un identico termine prescrizionale. Ciò che dunque fonda e giustifica tali situazioni derogatorie sono ad avviso della giudice delle leggi proprio gli elementi sopra richiamati del livello di allarme sociale e laboriosità delle attività accertative dell’illecito (Sez. 4, 15206/2018).