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Compagno Beethoven

Treviso, 14 febbraio 2021
Ph. Francesca Russo / Treviso, 14 febbraio 2021

A pochi mesi dalla fine dell’anno che avrebbe dovuto festeggiare con ogni tipo di concerti, pubblicazioni, conferenze, festival, i 250 anni dalla morte di Beethoven, mi trovo tra le mani un articolo su Beethoven piuttosto curioso. Qui non è ancora il Buscaroli critico musicale…ma la dedica delle tre ultime sonate per pianoforte del genio ad un tribunale di guerra, ha una eco davvero eccentrica.

 

Quando esagerano, mi fanno tornare alla mente una frase di Longanesi. Gl’interpreti, dico: i divi della bacchetta, dell’arco, della tastiera, della scena: tutti quelli che, nel riprodurre un testo musicale o teatrale, assumono pose e atteggiamenti che in linguaggio di altri tempi definivano il tipo del “gigione”. Longanesi non li amava, e all’udire le smanie d’uno di costoro assai celebre tanti anni fa, sbuffò: “Ma sono come la ditta Gondrand, che se porta un Raffaello da Roma a Milano, non diventa mica Raffaello!”

Ora, se Maurizio Pollini suona alla Scala musiche contemporanee, “calzando appositi guanti in maniche di camicia”, per “ragioni tecniche” che ignoro, è male da poco. In epoca romantica, c’era un tizio che si esibiva col violino tenuto dietro la schiena. Per me, Pollini può suonare anche in tenuta da sub o vestito con gli scarponi, e non faccio una piega. E se nella stessa serata degli “appositi guanti” ci resta impigliato anche Beethoven, a farci la figura del “precursore” di quelle esibizioni muscolari, l’operazione resterà opinabile per alcuni, e falsa per me, ma sempre di natura musicale. I Pollini passano e Beethoven resta, saprà difendersi da sé

Ma quando lo stesso Pollini si presta ad arruolare Beethoven nel gregge del Pci, dei suoi accoliti, sicofanti, e contubernali, allora provo la rabbia di chi vede un oggetto di amore e culto quotidiano, che dovrebbe essere ormai al riparo da falsificazioni e manipolazioni poco pulite, trasformato fraudolentemente in qualcosa di assai diverso.

Papa Sarto era un sant’uomo, ma quando lesse del “San Sebastiano” di D’Annunzio, interpretato da una famosa danzatrice, prese un cappello terribile: “Ma come”, sbottò con la fida Catina “el me fa diventar femena San Sebastian”. È la stessa rabbia che provo io all’idea del “compagno Beethoven”.

Perché quando apprendo che Pollini esegue “le ultime tre sonate di Beethoven” per il sedicente “Tribunale Russell”, io mi trovo davanti alla spudorata macchinazione per arruolare Beethoven nella propaganda comunista. E se mai avessi dubbi, basterebbero a togliermeli i giannizzeri del pianista che riempiono le gazzette con cenni all’impegno dell’artista, e alle sue scelte, libere, civili, democratiche e quel che vi pare. Cominciò tre anni fa quando alla Società del Quartetto si mise a leggere una dichiarazione contro l’intervento americano in Vietnam.

Suonare contro la guerra ha lo stesso senso di sparare raffiche di mitra contro una epidemia di influenza o tirare pedate a un temporale. Ma non sono ridicoli, invece, gli effetti secondari, quelli ricercati. Nel caso concreto, il metodico arruolamento di Beethoven nel gregge rosso.

Pollini suonava contro l’intervento americano in Vietnam, ma resta sordo anche quando un missionario come Padre Gheddo, che ieri era un prete della pace, dice che la dittatura di Thieu era uno zucchero in confronto con la ferocia che si è scatenata oggi laggiù.

Pollini suona contro “la repressione di destra in America Latina” ma non s’accorge che a Cuba, proprio il giorno in cui il Tribunale Russell emette le sue pompose sentenze, interi battaglioni di soldati finiscono in campo di concentramento perché rifiutano di andare a farsi ammazzare per la causa sovietica in Angola. E mai che suoni, questo Pollini, contro la repressione di Mosca, Praga e dintorni. Ruderi umani ridotti come il misero Leonid Pliusc possono varcare le frontiere senza che gli venga l’idea di aprire il coperchio della profetica tastiera.

Con ciò, non mi auguro che altri pianisti suonino Mozart contro Breznev, o Brahms contro Castro, per carità. Poesia politica, attiva poesia, diceva Goethe, che, tuttavia, se la prendeva con chi scriveva poesie proprie. Mentre Pollini non suona mica musica di Pollini, suona Beethoven. E coinvolgilo prima col Vietnam e poi con gli scioperi dei sindacati, e poi con l’America Latina e sempre in un solo senso, ed eccoti il compagno Beethoven.

La scelta delle “ultime sonate di Beethoven” mira già a creare l’atmosfera del “messaggio”, col facile brivido dell’opus ultimum.

A questo punto, è facile confondere le idee dei semplici trasformando alcuni entusiasmi del giovane Beethoven per la rivoluzione francese e Bonaparte primo console, in “impegno democratico”.

Mentre a guardare per il sottile, si scoprirebbe che i soli veri gesti di impegno politico di Beethoven furono per il Congresso di Vienna, e la Santa Alleanza: seppure di segno conservatore, sarebbe già illecito adoperarli in qualsiasi adulterato travestimento contemporaneo. Ma peggio che illecito, è turpe arruolare Beethoven fra i finti tonti che combattono la repressione brasiliana ma si fanno complici di quella di Mosca.

E poiché operazioni come questa pongono tre ordini di collaborazione: del cinismo di chi la progetta, l’ignoranza di chi la subisce, e la complicità di tutti gli altri che assistono, proprio a questa ci rifiutiamo.

Beethoven adorava la libertà e detestava i tiranni, tutti i tiranni ma odiava i mistificatori, i bugiardi e gli interpreti gigioni. Con tutte le sue forze.

 

"Il Giornale", 23 gennaio 1976