Gli effetti della sentenza di patteggiamento nei procedimenti amministrativi previsti per il rilascio di licenza di guardia giurata
Ed invero, fra i riti alternativi previsti dal vigente codice di procedura penale, quello sicuramente più “delicato” è rappresentato dal cd. “patteggiamento” previsto dagli artt. 444-448 c.p.p..
In particolare, fra i profili di maggiore interesse legati al predetto rito, uno dei più importanti è simboleggiato dal valore da accordarsi alla sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. nei procedimenti amministrativi relativi al rilascio di licenze per guardia giurata particolare.
E ciò in riferimento al dettato dell’art. 138 T.U.P.S. (Testo Unico di Pubblica Sicurezza) che espressamente preclude il rilascio della licenza in esame al soggetto che abbia riportato una “sentenza di condanna”.
In altri termini, è essenziale valutare se la sentenza di patteggiamento possa dirsi o meno una sentenza di condanna “piena” da ricomprendersi nel novero di quelle di cui all’art. 138 T.U.P.S. .
Il quesito appena posto risulta essere arricchito di ulteriore complessità anche in virtù della formula “criptica” utilizzata dal Legislatore all’art. 445 c.p.p., laddove, da un lato si equipara la sentenza ex art. 444 c.p.p. ad una sentenza di condanna, e dall’altro, si specifica - allo stesso tempo - che la sentenza di patteggiamento non possa avere alcuna efficacia nei giudizi amministrativi e/o civili.
Sul punto, dopo alcuni anni di incertezza, la giurisprudenza amministrativa è forse riuscita a rispondere all’interrogativo postoci, stabilendo - a ragione secondo chi scrive - che la sentenza di patteggiamento non possa dirsi in alcun modo equivalente alla sentenza di condanna. Da ciò deriverebbe pertanto la sua assoluta sua irrilevanza in relazione al procedimento amministrativo di rilascio della licenza di guardia giurata (Cons. Stato, sent. n 2437/06).
Ed invero, secondo tale attenta giurisprudenza, la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna si desumerebbe dalla funzione stessa dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, che non sarebbe quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l’esistenza del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento con l’irrogazione della sanzione derivante dall’accordo fra le parti in giudizio, approvato dall’autorità giudicante (Cons. Stato, sent. n 2437/06; Cass. pen. Sent. n. 188/99; Cass. pen. sent. n. 5347/00).
Il patteggiamento sarebbe quindi un procedimento attraverso il quale si applica una pena "senza giudizio", in quanto il giudice, mediante, tale sentenza non deve dichiarare la colpevolezza dell’imputato, ma deve solo fare riferimento all’accordo tra pubblico ministero ed imputato sul merito dell’imputazione, pur esercitando autonomi poteri di controllo sull’accordo stesso.
Dello stesso avviso appare essere anche la Consulta, secondo la quale deve escludersi che la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. abbia le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che la caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituiscono, nel giudizio ordinario, la premessa necessaria per l’applicazione della pena (Corte cost. sentt. n. 251/91 e n. 449/95).
Ad ulteriore conferma di tale consolidato orientamento, si è pronunciata anche la “Commissione speciale per il pubblico impiego” nominata dal Consiglio di Stato, a detta della quale la sentenza di patteggiamento deve essere valutata come una sentenza di proscioglimento, anche se caratterizzata da alcuni aspetti peculiari (parere n. 487/98).
Da questa impostazione - volta a distinguere la sentenza di patteggiamento da quella di condanna - deriverebbe pertanto l’impossibilità di trasferire in altra sede processuale un accertamento giudiziale che appare obiettivamente assente nella sentenza di applicazione della pena su richiesta. Conseguentemente, un siffatto “mutilato” accertamento di colpevolezza non può essere fatto valere in via esclusiva ed automatica in sede amministrativa come un accertamento di colpevolezza “pieno”, tipico – invece – delle sentenze di condanna “classiche” (cfr. Cons. St. n. 5811./05).
E’ pertanto agevole concludere sostenendo che, ad eccezione di alcune sporadiche pronunce di segno contrario (T.A.R. Toscana, n. 330/99; Cons. St. n. 2744/07), la giurisprudenza maggioritaria ritiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non provando nè la sussistenza nè l’addebitabilità dei fatti cui essa inerisce (dato che nel sistema del nuovo codice di procedura penale la sede di valutazione dei fatti è di norma quella dibattimentale), debba ritenersi distinta dalla sentenza di condanna e, quindi, irrilevante ai fini del rilascio della licenza a guardia particolare giurata (T.A.R. Friuli, n. 563/01, Cons. St., sent. n. 2437/06; Cons. St., sent. 5811/05).
In estrema sintesi, è quindi da ritenersi come illegittimo il decreto con il quale il Prefetto revochi la nomina a guardia giurata, con relativa licenza di porto d’armi, al soggetto istante, nei confronti del quale sia stata pronunciata una sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento).
Ed invero, fra i riti alternativi previsti dal vigente codice di procedura penale, quello sicuramente più “delicato” è rappresentato dal cd. “patteggiamento” previsto dagli artt. 444-448 c.p.p..
In particolare, fra i profili di maggiore interesse legati al predetto rito, uno dei più importanti è simboleggiato dal valore da accordarsi alla sentenza pronunciata ex art. 444 c.p.p. nei procedimenti amministrativi relativi al rilascio di licenze per guardia giurata particolare.
E ciò in riferimento al dettato dell’art. 138 T.U.P.S. (Testo Unico di Pubblica Sicurezza) che espressamente preclude il rilascio della licenza in esame al soggetto che abbia riportato una “sentenza di condanna”.
In altri termini, è essenziale valutare se la sentenza di patteggiamento possa dirsi o meno una sentenza di condanna “piena” da ricomprendersi nel novero di quelle di cui all’art. 138 T.U.P.S. .
Il quesito appena posto risulta essere arricchito di ulteriore complessità anche in virtù della formula “criptica” utilizzata dal Legislatore all’art. 445 c.p.p., laddove, da un lato si equipara la sentenza ex art. 444 c.p.p. ad una sentenza di condanna, e dall’altro, si specifica - allo stesso tempo - che la sentenza di patteggiamento non possa avere alcuna efficacia nei giudizi amministrativi e/o civili.
Sul punto, dopo alcuni anni di incertezza, la giurisprudenza amministrativa è forse riuscita a rispondere all’interrogativo postoci, stabilendo - a ragione secondo chi scrive - che la sentenza di patteggiamento non possa dirsi in alcun modo equivalente alla sentenza di condanna. Da ciò deriverebbe pertanto la sua assoluta sua irrilevanza in relazione al procedimento amministrativo di rilascio della licenza di guardia giurata (Cons. Stato, sent. n 2437/06).
Ed invero, secondo tale attenta giurisprudenza, la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna si desumerebbe dalla funzione stessa dell’istituto dell’applicazione della pena su richiesta delle parti, che non sarebbe quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l’esistenza del reato, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento con l’irrogazione della sanzione derivante dall’accordo fra le parti in giudizio, approvato dall’autorità giudicante (Cons. Stato, sent. n 2437/06; Cass. pen. Sent. n. 188/99; Cass. pen. sent. n. 5347/00).
Il patteggiamento sarebbe quindi un procedimento attraverso il quale si applica una pena "senza giudizio", in quanto il giudice, mediante, tale sentenza non deve dichiarare la colpevolezza dell’imputato, ma deve solo fare riferimento all’accordo tra pubblico ministero ed imputato sul merito dell’imputazione, pur esercitando autonomi poteri di controllo sull’accordo stesso.
Dello stesso avviso appare essere anche la Consulta, secondo la quale deve escludersi che la sentenza ex art. 444 cod. proc. pen. abbia le caratteristiche proprie di una sentenza di condanna, stante il profilo negoziale che la caratterizza e la conseguente carenza di quella piena valutazione dei fatti e delle prove che costituiscono, nel giudizio ordinario, la premessa necessaria per l’applicazione della pena (Corte cost. sentt. n. 251/91 e n. 449/95).
Ad ulteriore conferma di tale consolidato orientamento, si è pronunciata anche la “Commissione speciale per il pubblico impiego” nominata dal Consiglio di Stato, a detta della quale la sentenza di patteggiamento deve essere valutata come una sentenza di proscioglimento, anche se caratterizzata da alcuni aspetti peculiari (parere n. 487/98).
Da questa impostazione - volta a distinguere la sentenza di patteggiamento da quella di condanna - deriverebbe pertanto l’impossibilità di trasferire in altra sede processuale un accertamento giudiziale che appare obiettivamente assente nella sentenza di applicazione della pena su richiesta. Conseguentemente, un siffatto “mutilato” accertamento di colpevolezza non può essere fatto valere in via esclusiva ed automatica in sede amministrativa come un accertamento di colpevolezza “pieno”, tipico – invece – delle sentenze di condanna “classiche” (cfr. Cons. St. n. 5811./05).
E’ pertanto agevole concludere sostenendo che, ad eccezione di alcune sporadiche pronunce di segno contrario (T.A.R. Toscana, n. 330/99; Cons. St. n. 2744/07), la giurisprudenza maggioritaria ritiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, non provando nè la sussistenza nè l’addebitabilità dei fatti cui essa inerisce (dato che nel sistema del nuovo codice di procedura penale la sede di valutazione dei fatti è di norma quella dibattimentale), debba ritenersi distinta dalla sentenza di condanna e, quindi, irrilevante ai fini del rilascio della licenza a guardia particolare giurata (T.A.R. Friuli, n. 563/01, Cons. St., sent. n. 2437/06; Cons. St., sent. 5811/05).
In estrema sintesi, è quindi da ritenersi come illegittimo il decreto con il quale il Prefetto revochi la nomina a guardia giurata, con relativa licenza di porto d’armi, al soggetto istante, nei confronti del quale sia stata pronunciata una sentenza di applicazione della pena su richiesta ex art. 444 c.p.p. (cd. patteggiamento).