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Il diritto al silenzio dell’incolpato nei procedimenti amministrativi sanzionatori

Diritto al silenzio
Diritto al silenzio

Con l’ordinanza 10 maggio 2019, n. 117 la Corte Costituzionale investe la Corte di giustizia UE sul tema del “diritto al silenzio” nel procedimento per l’applicazione di sanzioni amministrative a carattere punitivo.

La Corte costituzionale ha sospeso un proprio giudizio incidentale di legittimità per proporre un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, relativamente al tema delle sanzioni amministrative a carattere punitivo e della rilevanza, nel procedimento per la loro applicazione, del principio nemo tenetur se detegere (o nemo tenetur se ipsum accusare).

La Consulta era stata investita della questione dalla Corte di Cassazione (Sez. II civile, 13 aprile 2017, n. 3831).

I quesiti proposti alla CGUE sono i seguenti:

a) se l’articolo 14, paragrafo 3, della direttiva 2003/6/CE (Direttiva Market Abuse), e l’articolo 30, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) n. 596/2014 (Regolamento Market Abuse) debbano essere interpretati nel senso che consentono agli Stati membri di non sanzionare chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”;

b) se, in caso di risposta negativa a tale prima questione, le medesime disposizioni siano compatibili con gli artt. 47 e 48 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, anche alla luce della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo in materia di articolo 6 CEDU e delle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri, nella misura in cui impongono di sanzionare anche chi si rifiuti di rispondere a domande dell’autorità competente dalle quali possa emergere la propria responsabilità per un illecito punito con sanzioni amministrative di natura “punitiva”.

In buona sostanza la Corte di giustizia dell’Unione europea dovrà chiarire se il “diritto al silenzio” che spetta a chi potrebbe essere incolpato di un reato valga anche davanti alla CONSOB per gli illeciti di sua competenza.

La questione nasce dalla vicenda dell’amministratore di una società sottoposto a una pesante sanzione pecuniaria per non avere risposto alle domande della CONSOB su operazioni finanziarie sospette da lui compiute. L’interessato aveva impugnato la sanzione, sostenendo di aver esercitato il diritto costituzionale di non rispondere a domande da cui sarebbe potuta emergere la propria responsabilità.

La Corte di Cassazione, investita del caso, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale della norma del Testo unico sulla finanza che prevede una sanzione da 50.000 a un milione di euro a carico di chi “non ottempera nei termini alle richieste della CONSOB”, senza prevedere alcuna eccezione in favore di chi sia già sospettato di aver commesso un illecito.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale ritiene che il “diritto al silenzio” dell’imputato – pur non godendo di espresso riconoscimento costituzionale – costituisca un «corollario essenziale dell’inviolabilità del diritto di difesa», riconosciuto dall’articolo 24 Cost. (ordinanze n. 202 del 2004, n. 485 e n. 291 del 2002).

Tale diritto garantisce all’imputato la possibilità di rifiutare di sottoporsi all’esame testimoniale e, più in generale, di avvalersi della facoltà di non rispondere alle domande del giudice o dell’autorità competente per le indagini.

Inoltre, per quanto nell’ordinamento italiano non sia consentito utilizzare nel processo penale le dichiarazioni rese all’autorità amministrativa senza le garanzie del diritto di difesa, tra cui segnatamente l’avvertimento circa la facoltà di non rispondere, è possibile che tali dichiarazioni – ottenute dall’autorità amministrativa mediante la minaccia di sanzione per il caso di mancata cooperazione – possano in concreto fornire all’autorità stessa informazioni essenziali in vista dell’acquisizione di ulteriori elementi di prova della condotta illecita, destinati a essere utilizzati anche nel successivo processo penale contro l’autore della condotta.

La Corte costituzionale ha rilevato che il diritto comunitario stabilisce a carico degli Stati l’obbligo di sanzionare la mancata collaborazione con le autorità di vigilanza sui mercati finanziari.

Pertanto, prima di decidere la questione di legittimità costituzionale, ha ritenuto di chiedere alla CGUE se quest’obbligo valga anche nei confronti di chi è sospettato di aver commesso un illecito, e se comunque sia compatibile con il “diritto al silenzio”, cioè con il diritto di non essere costretto a rendere dichiarazioni autoaccusatorie, riconosciuto tanto dalla Costituzione italiana quanto dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea.