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Il rapporto di causalità nell’attività medica

1. Premessa

Elemento centrale del reato è il nesso di causalità materiale e giuridica tra la condotta (o azione) volontaria e l’evento di danno (art. 40 c.p.). Il fatto-reato è costituito, pertanto, oltre che dall’elemento psicologico (dolo o colpa), anche dalla condotta e dall’evento dannoso, quale conseguenza della prima.

Determinante è verificare l’ambito e la portata degli artt. 40 e 41 cp.

Il 2° co dell’articolo 40 cp, prevede l’ipotesi generale del delitto omissivo improprio: "Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".

L’art. 41 c.p. prevede che le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute alla condotta umana, anche se da essa indipendenti, non fanno venir meno la responsabilità penale del soggetto considerato. Infatti, il concorso delle cause non esclude il rapporto di causalità. Solamente le cause sopravvenute possono escludere il nesso causale, qualora siano sufficienti a produrre l’evento dannoso (art. 41 co. 2 c.p.).

L’analisi del rapporto eziologico è dominato dalla tradizionale “teoria condizionalistica” o “dell’equivalenza causale”( temperata e mediata dalle teorie della causalità adeguata e della causalità umana): è causa penalmente rilevante la condotta umana che si pone condizione necessaria – conditio sine qua non – nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato (Corte di Cassazione, SS. UU, n. 30328/2002).

La verifica del nesso causale si basa sul procedimento di eliminazione mentale o giudizio controfattuale secondo cui la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento non si sarebbe verificato.

È tuttavia possibile utilizzare tale ricostruzione eziologica solo se si conosce ex ante il rapporto esistente tra una determinata condotta ed un determinato evento.

Si parla di “causalità scientifica” quando la teoria condizionalistica è integrata dal modello generale di sussunzione della fattispecie tipica, verificatasi hic et nunc, sotto leggi di copertura universale, ovvero statistiche o scientifiche.

Pertanto un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica conducano ad un evento del tipo di quello verificatosi in concreto.

2. Il nesso di causalità nell’ambito della responsabilità medica

Secondo un orientamento tradizionale della giurisprudenza (Cass. pen. sez. IV, 23 gennaio 1990) il nesso di causalità, nell’ambito della responsabilità medica, deve essere accertato secondo il criterio della probabilità, e non della necessaria certezza. Buona parte della giurisprudenza ritiene che l’accertamento del nesso causale deve basarsi sulle leggi statistiche esistenti: infatti, una conoscenza basata sulle leggi universali sarebbe impossibile.

Secondo l’orientamento in oggetto, si avrebbe responsabilità penale medica, qualora si accertasse che l’intervento avrebbe salvato la vita o comunque evitato l’evento dannoso, secondo una valutazione d’alta probabilità. Il criterio della probabilità deve essere accompagnato dal principio dell’aumento del rischio.

La storica sentenza della Corte costituzionale n° 364 del 1988 affianca il concetto della probabilità a quello della prevedibilità e prevenibilità delle conseguenze dannose. Il medico risponde penalmente nell’ipotesi in cui poteva prevedere e prevenire il fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in base alle regole di generalizzata esperienza (leggi scientifiche o statistiche di copertura o criterio dell’id quod plerumque accidit). L’orientamento summenzionato è conforme al principio di colpevolezza inteso sotto l’aspetto obiettivo ed in coordinazione con la lettura combinata dei commi 1 e 3 dell’art. 27 Cost.( Cass. pen. sez. IV n. 7151, 11 gennaio 1999).

Nell’ambito dei reati omissivi, la "condotta comandata" (o esigibile concretamente) deve inserirsi nel decorso causale già attivo e deve essere "capace nel concreto ad impedire l’evento vietato" (es. lesioni, morte ecc...). L’accertamento del rapporto di causalità è basato sul criterio dell’idoneità concreta della condotta ad impedire l’evento dannoso o pericoloso, sulla base delle leggi scientifiche acquisite alla medicina. Una diversa impostazione (teoria dell’aumento del rischio) alla soluzione della problematica de qua aprirebbe le porte alla responsabilità oggettiva, prescindendo dall’elemento psicologico (dolo o colpa)( FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, 2000, 214. ma anche DONINI, La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del rischio, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1999, 48).

In assenza di regole scientifiche certe, o in caso di fatti anomali o nuovi per la scienza, come per i casi storici del Talidomide e delle macchie blue, la responsabilità penale è stata accertata secondo un metodo individualizzante del giudice. In altri termini il nesso causale è stato oggetto di un giudizio svincolato dal criterio probabilistico, e da qualsiasi legge scientifica, ma individuato dal giudice sulla base di esperienze empiriche e personalizzate (FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, 2000, 206 ss; MANTOVANI, Diritto penale, 2001, 154, nota 19).

3. L’intervento delle sezioni unite penali (sentenza 11 settembre 2002, n° 30328)

Di recente il problema dell’individuazione del nesso eziologico ha creato un contrasto ermeneutico nell’ambito della IV sezione della Cassazione, dando luogo a due indirizzi contrapposti.

Secondo la tradizionale impostazione (tra le altre Cass., 7/1/1983; Cass., 2/4/1987; Cass., 23/1/1990; Cass., 18/10/1990; Cass., 12/7/1991; Cass., 23/3/1993; Cass., 30/4/1993; Cass., 11/11/1994) sono sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo per l’azione impeditiva dell’evento, anche se limitate e con ridotti coefficienti di probabilità (Si veda a proposito il cd. caso Silvesti con 30% di probabilità, Cass. Sez. IV, 12 luglio 1991, in Foro it., 1992, II, 363).

Il più recente orientamento (Si vedano le cd sentenze Battisti -dal nome dell’estensore- Cass, 28 sett. 2000; Cass, 29 sett. 2000; Cass, 28 nov. 2000, tutte in Riv. It. Dir. proc. pen., 2001, 277) richiede, invece, la prova che il comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento lesivo con un elevato grado di probabilità in una percentuale di casi prossima a cento.

Di recente le Sezioni Penali Unite della Cassazione (SS UU, sentenza dell’11 sett. 2002, n° 30328, pubblicata in Giuda al diritto, 2002, 38, 62; in Foro It., 2002, II, 602), hanno risolto il contrasto giurisprudenziale creatosi, stabilendo che in tema di causalità nel reato omissivo improprio, riguardo allo specifico settore dell’attività medico-chirurgica, devono essere enunciati i seguenti principi:

a) il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di un generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifico-universale o statistica, si accerti che, ipotizzando come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;

b) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge di statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve valutarne la validità nel concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile.

La Suprema Corte ha ridimensionato il valore e l’ambito applicativo dei due indirizzi ermeneutici creatisi nell’ambito della IV sezione, non optando per nessuno dei due, ma rimeritando e rivalutando entrambi alla luce delle regole sulla casualità e dell’accertamento del fatto di reato in ambito processuale.

La tradizionale impostazione basata sulle “sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo” era giustificata dal valore primario del bene giuridico protetto in materia di trattamenti terapeutici e chirurgici e sull’assunto che “quando è in gioco la vita umana anche poche probabilità di sopravvivenza rendono necessario l’intervento del medico”.

Le Sezioni Unite sostengono che tale formula (“sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo”) esprime coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard esigui.

Tale orientamento premia una nozione debole di causalità e “collocandosi sul terreno della teoria dell’aumento del rischio finirebbe per comportare un’abnorme espansione della responsabilità per omesso impedimento dell’evento, in violazione del principio di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio”.

Tuttavia neppure si ritiene possibile accettare in toto il nuovo orientamento che propende per una probabilità vicina alla certezza.

Il giudice nomofilattico sostiene che “non è sostenibile che si elevino a schermi di spiegazione del condizionamento necessario solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico vicino ad 1”.

In definiva le sezioni unite affermano che con il termine alta o elevata credibilità razionale dell’accertamento giudiziale s’intende fare riferimento “ai profili interferenziali della verifica probatoria di quel nesso rispetto all’evidenza disponibile e alle circostanze del caso concreto: non essendo consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell’ipotesi sull’esistenza del rapporto di causalità”.

Da questa importante sentenza delle sezioni unite si evince come il giudice di legittimità abbia voluto allontanarsi da qualsiasi valutazione aprioristica e di carattere meramente presuntivo circa l’esistenza del nesso causalistico. Ritiene necessario che il procedimento logico-deduttivo debba condurre il giudice alla certezza processuale, con esclusione, quindi, dell’interferenza di decorsi alternativi.

Il giudizio prognostico deve pertanto essere rigoroso, basato sia su sulle scientifiche o statistiche, sia su conoscenze di carattere generale, recuperando il valore personalistico della fattispecie: le leggi di copertura dovranno essere calate nella situazione concreta verificatasi.

1. Premessa

Elemento centrale del reato è il nesso di causalità materiale e giuridica tra la condotta (o azione) volontaria e l’evento di danno (art. 40 c.p.). Il fatto-reato è costituito, pertanto, oltre che dall’elemento psicologico (dolo o colpa), anche dalla condotta e dall’evento dannoso, quale conseguenza della prima.

Determinante è verificare l’ambito e la portata degli artt. 40 e 41 cp.

Il 2° co dell’articolo 40 cp, prevede l’ipotesi generale del delitto omissivo improprio: "Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo".

L’art. 41 c.p. prevede che le cause preesistenti, simultanee o sopravvenute alla condotta umana, anche se da essa indipendenti, non fanno venir meno la responsabilità penale del soggetto considerato. Infatti, il concorso delle cause non esclude il rapporto di causalità. Solamente le cause sopravvenute possono escludere il nesso causale, qualora siano sufficienti a produrre l’evento dannoso (art. 41 co. 2 c.p.).

L’analisi del rapporto eziologico è dominato dalla tradizionale “teoria condizionalistica” o “dell’equivalenza causale”( temperata e mediata dalle teorie della causalità adeguata e della causalità umana): è causa penalmente rilevante la condotta umana che si pone condizione necessaria – conditio sine qua non – nella catena degli antecedenti che hanno concorso a produrre il risultato, senza la quale l’evento da cui dipende l’esistenza del reato non si sarebbe verificato (Corte di Cassazione, SS. UU, n. 30328/2002).

La verifica del nesso causale si basa sul procedimento di eliminazione mentale o giudizio controfattuale secondo cui la condotta umana è condizione necessaria dell’evento se, eliminata mentalmente, l’evento non si sarebbe verificato.

È tuttavia possibile utilizzare tale ricostruzione eziologica solo se si conosce ex ante il rapporto esistente tra una determinata condotta ed un determinato evento.

Si parla di “causalità scientifica” quando la teoria condizionalistica è integrata dal modello generale di sussunzione della fattispecie tipica, verificatasi hic et nunc, sotto leggi di copertura universale, ovvero statistiche o scientifiche.

Pertanto un antecedente può essere configurato come condizione necessaria solo se esso rientri nel novero di quelli che, sulla base di una successione regolare conforme ad una generalizzata regola di esperienza o ad una legge dotata di validità scientifica conducano ad un evento del tipo di quello verificatosi in concreto.

2. Il nesso di causalità nell’ambito della responsabilità medica

Secondo un orientamento tradizionale della giurisprudenza (Cass. pen. sez. IV, 23 gennaio 1990) il nesso di causalità, nell’ambito della responsabilità medica, deve essere accertato secondo il criterio della probabilità, e non della necessaria certezza. Buona parte della giurisprudenza ritiene che l’accertamento del nesso causale deve basarsi sulle leggi statistiche esistenti: infatti, una conoscenza basata sulle leggi universali sarebbe impossibile.

Secondo l’orientamento in oggetto, si avrebbe responsabilità penale medica, qualora si accertasse che l’intervento avrebbe salvato la vita o comunque evitato l’evento dannoso, secondo una valutazione d’alta probabilità. Il criterio della probabilità deve essere accompagnato dal principio dell’aumento del rischio.

La storica sentenza della Corte costituzionale n° 364 del 1988 affianca il concetto della probabilità a quello della prevedibilità e prevenibilità delle conseguenze dannose. Il medico risponde penalmente nell’ipotesi in cui poteva prevedere e prevenire il fatto-reato, quale conseguenza della sua condotta, in base alle regole di generalizzata esperienza (leggi scientifiche o statistiche di copertura o criterio dell’id quod plerumque accidit). L’orientamento summenzionato è conforme al principio di colpevolezza inteso sotto l’aspetto obiettivo ed in coordinazione con la lettura combinata dei commi 1 e 3 dell’art. 27 Cost.( Cass. pen. sez. IV n. 7151, 11 gennaio 1999).

Nell’ambito dei reati omissivi, la "condotta comandata" (o esigibile concretamente) deve inserirsi nel decorso causale già attivo e deve essere "capace nel concreto ad impedire l’evento vietato" (es. lesioni, morte ecc...). L’accertamento del rapporto di causalità è basato sul criterio dell’idoneità concreta della condotta ad impedire l’evento dannoso o pericoloso, sulla base delle leggi scientifiche acquisite alla medicina. Una diversa impostazione (teoria dell’aumento del rischio) alla soluzione della problematica de qua aprirebbe le porte alla responsabilità oggettiva, prescindendo dall’elemento psicologico (dolo o colpa)( FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, 2000, 214. ma anche DONINI, La causalità omissiva e l’imputazione per l’aumento del rischio, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1999, 48).

In assenza di regole scientifiche certe, o in caso di fatti anomali o nuovi per la scienza, come per i casi storici del Talidomide e delle macchie blue, la responsabilità penale è stata accertata secondo un metodo individualizzante del giudice. In altri termini il nesso causale è stato oggetto di un giudizio svincolato dal criterio probabilistico, e da qualsiasi legge scientifica, ma individuato dal giudice sulla base di esperienze empiriche e personalizzate (FIANDACA- MUSCO, Diritto penale, 2000, 206 ss; MANTOVANI, Diritto penale, 2001, 154, nota 19).

3. L’intervento delle sezioni unite penali (sentenza 11 settembre 2002, n° 30328)

Di recente il problema dell’individuazione del nesso eziologico ha creato un contrasto ermeneutico nell’ambito della IV sezione della Cassazione, dando luogo a due indirizzi contrapposti.

Secondo la tradizionale impostazione (tra le altre Cass., 7/1/1983; Cass., 2/4/1987; Cass., 23/1/1990; Cass., 18/10/1990; Cass., 12/7/1991; Cass., 23/3/1993; Cass., 30/4/1993; Cass., 11/11/1994) sono sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo per l’azione impeditiva dell’evento, anche se limitate e con ridotti coefficienti di probabilità (Si veda a proposito il cd. caso Silvesti con 30% di probabilità, Cass. Sez. IV, 12 luglio 1991, in Foro it., 1992, II, 363).

Il più recente orientamento (Si vedano le cd sentenze Battisti -dal nome dell’estensore- Cass, 28 sett. 2000; Cass, 29 sett. 2000; Cass, 28 nov. 2000, tutte in Riv. It. Dir. proc. pen., 2001, 277) richiede, invece, la prova che il comportamento alternativo dell’agente avrebbe impedito l’evento lesivo con un elevato grado di probabilità in una percentuale di casi prossima a cento.

Di recente le Sezioni Penali Unite della Cassazione (SS UU, sentenza dell’11 sett. 2002, n° 30328, pubblicata in Giuda al diritto, 2002, 38, 62; in Foro It., 2002, II, 602), hanno risolto il contrasto giurisprudenziale creatosi, stabilendo che in tema di causalità nel reato omissivo improprio, riguardo allo specifico settore dell’attività medico-chirurgica, devono essere enunciati i seguenti principi:

a) il nesso causale può essere ravvisato solo quando, alla stregua del giudizio controfattuale condotto sulla base di un generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifico-universale o statistica, si accerti che, ipotizzando come realizzata dal medico la condotta doverosa impeditiva dell’evento hic et nunc, questo non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva;

b) non è consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità espresso dalla legge di statistica la conferma, o meno, dell’ipotesi accusatoria sull’esistenza del nesso causale, poiché il giudice deve valutarne la validità nel concreto, sulla base delle circostanze del fatto e dell’evidenza disponibile.

La Suprema Corte ha ridimensionato il valore e l’ambito applicativo dei due indirizzi ermeneutici creatisi nell’ambito della IV sezione, non optando per nessuno dei due, ma rimeritando e rivalutando entrambi alla luce delle regole sulla casualità e dell’accertamento del fatto di reato in ambito processuale.

La tradizionale impostazione basata sulle “sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo” era giustificata dal valore primario del bene giuridico protetto in materia di trattamenti terapeutici e chirurgici e sull’assunto che “quando è in gioco la vita umana anche poche probabilità di sopravvivenza rendono necessario l’intervento del medico”.

Le Sezioni Unite sostengono che tale formula (“sufficienti serie ed apprezzabili probabilità di successo”) esprime coefficienti di probabilità indeterminati, mutevoli, manipolabili dall’interprete, talora attestati su standard esigui.

Tale orientamento premia una nozione debole di causalità e “collocandosi sul terreno della teoria dell’aumento del rischio finirebbe per comportare un’abnorme espansione della responsabilità per omesso impedimento dell’evento, in violazione del principio di legalità e tassatività della fattispecie e della garanzia di responsabilità per fatto proprio”.

Tuttavia neppure si ritiene possibile accettare in toto il nuovo orientamento che propende per una probabilità vicina alla certezza.

Il giudice nomofilattico sostiene che “non è sostenibile che si elevino a schermi di spiegazione del condizionamento necessario solo le leggi scientifiche universali e quelle statistiche che esprimano un coefficiente probabilistico vicino ad 1”.

In definiva le sezioni unite affermano che con il termine alta o elevata credibilità razionale dell’accertamento giudiziale s’intende fare riferimento “ai profili interferenziali della verifica probatoria di quel nesso rispetto all’evidenza disponibile e alle circostanze del caso concreto: non essendo consentito dedurre automaticamente dal coefficiente di probabilità statistica espresso dalla legge la conferma dell’ipotesi sull’esistenza del rapporto di causalità”.

Da questa importante sentenza delle sezioni unite si evince come il giudice di legittimità abbia voluto allontanarsi da qualsiasi valutazione aprioristica e di carattere meramente presuntivo circa l’esistenza del nesso causalistico. Ritiene necessario che il procedimento logico-deduttivo debba condurre il giudice alla certezza processuale, con esclusione, quindi, dell’interferenza di decorsi alternativi.

Il giudizio prognostico deve pertanto essere rigoroso, basato sia su sulle scientifiche o statistiche, sia su conoscenze di carattere generale, recuperando il valore personalistico della fattispecie: le leggi di copertura dovranno essere calate nella situazione concreta verificatasi.