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Il “tracollo” del Ddl Zan: uno “scontro” con la libertà di manifestazione del pensiero?

A pochi mesi dal “naufragio” in Senato del Ddl Zan, appare opportuno compiere talune considerazioni in ordine ad uno dei punti più discussi, nonché l’eventuale “scontro” dello stesso con la libertà di manifestazione del pensiero
Ddl Zan
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Il “tracollo” del Ddl Zan: uno “scontro” con la libertà di manifestazione del pensiero?


A pochi mesi dal “naufragio” in Senato del Ddl Zan, appare opportuno compiere talune considerazioni in ordine ad uno dei punti più discussi, nonché l’eventuale “scontro” dello stesso con la libertà di manifestazione del pensiero.

L’art. 4 del Ddl n. 2005/2020, rubricato “Pluralismo delle idee e libertà delle scelte”, statuiva che “sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Il disegno di legge si collocava all’interno di un panorama giuridico europeo che punisce, tramite norme penali ad hoc, i crimini d’odio commessi nei confronti dei soggetti Lgbti. È opportuno segnalare che diversi Paesi dell’UE hanno legiferato in materia di crimini d’odio incentrati sull’orientamento sessuale; al contempo, taluni di essi hanno adottato il medesimo approccio in relazione ai reati fondati sull’identità di genere [1].

Tale prospettiva, dunque, è compatibile con la posizione dell’UE (“il Parlamento europeo ribadisce il suo invito a tutti gli Stati membri a proporre leggi che superino le discriminazioni subite da coppie dello stesso sesso e chiede alla Commissione di presentare proposte per garantire che il principio del riconoscimento reciproco sia applicato anche in questo settore al fine di garantire la libertà di circolazione per tutte le persone nell’Unione europea senza discriminazioni”) [2].

In particolare, la Raccomandazione CM/Rec (2010)5 del Consiglio d’Europa sulle misure per combattere la discriminazione sull’orientamento sessuale e l’identità di genere incita gli Stati membri a “vigilare affinché siano adottate e applicate in modo efficace misure legislative e di altro tipo miranti a combattere ogni discriminazione fondata sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere”.

Analogamente, la Commissione europea, con la General Policy Recommendation N° 7 revised, raccomanda i governi degli Stati membri di “adottare una legislazione contro il razzismo e la discriminazione razziale, qualora tale legislazione non esistesse ancora o fosse incompleta”. Una menzione merita anche la Direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, la quale riporta l’identità di genere e l’orientamento sessuale tra i fattori da tenere presente nel garantire tutela alla persona vittima di reato.

Su spinta europeo, il disegno di legge in commento si proponeva di intervenire sui delitti contro l’uguaglianza sanciti dagli artt. 604-bis e 604-ter c.p., con l’intento di accostare alle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi le condotte discriminatorie connesse al sesso, al genere, all’orientamento sessuale, all’identità di genere o alla disabilità. È opportuno sottolineare che tali modifiche non coinvolgevano la fattispecie di propaganda di idee, che rimaneva pertanto legata all’odio razziale o etnico. Da tale scelta emerge la volontà del legislatore di evitare la definizione di nuovi reati di opinione [3].

Una parte della dottrina [4] sostiene che la predetta circostanza escluda un conflitto tra il diritto alla libera manifestazione del pensiero ed una legge formulata in tali termini; le fattispecie sopraindicate sono state oggetto di ampia interpretazione giurisprudenziale, la quale non riscontrava alcun contrasto [5] con l’art. 21 Cost. Tali timori non sono nuovi al dibattito giuridico e politico, in quanto manifestati in occasione della discussione del c.d., Ddl Scalfarotto [6]. In tale sede, si introdusse nel testo una disposizione aggiuntiva, predisposta nei termini di una causa di esclusione della punibilità, che peraltro racchiudeva una clausola di salvaguardia per determinate tipologie di opinioni, relativamente al contesto di espressione [7]. Al contrario, la recente proposta della Camera dei Deputati risulta più calibrata, e specialmente, compatibile agli equilibri stabiliti non solo dalla giurisprudenza costituzionale in tema di limiti alla libera manifestazione del pensiero, ma anche dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’applicazione delle fattispecie punite dalla c.d. legge Reale-Mancino.

Come espresso in dottrina [8], la norma non è stata redatta nei termini di una causa di esclusione della punibilità, bensì nei termini di una norma di principio, volta a orientare l’autorità giudiziaria in sede di applicazione della disposizione di cui all’art. 604-bis c.p., senza escludere la punibilità di talune condotte e rinviando, preferibilmente, a una valutazione in concreto della loro idoneità a determinare il pericolo dell’attuazione degli atti conseguenti. Al contempo, è emblematico che la disposizione si apra con l’espressione “ai fini della presente legge”, come se si volesse integrare la finalità antidiscriminatoria del disegno di legge nella ratio di tale previsione. Sotto tale ultimo profilo, la dottrina [9] è si interrogata in ordine al fatto se la clausola di salvaguardia della libera manifestazione del pensiero debba valere solo per il movente omofobico previsto dalla proposta di legge, o debba invece estendersi anche ai motivi nazionali, etnici, razziali e religiosi.

L’art. 4 del Ddl Zan “pecca” nel mancato richiamo all’esclusione dell’illiceità del fatto, relativamente alla “tutela di espressioni artistiche, accademiche, scientifiche o di ricerca, nonché dell’esposizione di questioni di interesse pubblico e di commenti personali su questioni d’interesse pubblico”, ravvisabile invece in altri ordinamenti europei [10].

Come affermato in dottrina [11], il rilievo sopracitato innesca talune riflessioni circa le “impronte” eventualmente lasciate da tale disegno di legge

È lecito interrogarsi sugli effetti derivanti da tale tipo di normazione a riguardo dell’esercizio della libera manifestazione del pensiero nel tipico caso della satira [12] (inteso come strumento di degradazione simbolica) che potrebbe sovrapporsi ai discorsi d’odio e al profilo dell’istigazione a commettere atti di discriminazione, o con particolare riferimento a espressioni di carattere artistico o scientifico.

Il primo merita qualche riflessione. Occorre marcare come il vigore del diritto di satira non risieda solo nel riconoscimento del suo rango costituzionale, ma anche nei suoi limiti [13]. Tra di essi spicca l’esclusione di un conflitto tra diritti dello stesso rango costituzionale; pertanto, non è possibile un conflitto tra il diritto di satira e i diritti fondamentali della persona umana. Il genere satirico è soggetto a vincoli formali, nonchè il limite della continenza e della funzionalità delle espressioni o delle immagini rispetto allo scopo di denuncia (sociale o politico) perseguito.

A quest’ultimi si accostano i limiti della dimensione pubblica del soggetto colpito e della pertinenza. Infine, vi sono i limiti giuridici definiti dai testi costituzionali (ad es. il buon costume e la tutela dell’ordine pubblico).

Analizzando da vicino il primo “nodo” esaltato dalla dottrina, ossia la legittimità della compressione della libertà di manifestazione del pensiero, si giunge ad un risultato inconfutabile: i dubbi di costituzionalità atterrebbero anche le analoghe disposizioni attualmente in vigore, che reprimono i discorsi d’odio fondati sulla razza, sull’origine etnica, sulla nazionalità e sulla religione. In realtà, negli ultimi anni, la giurisprudenza di legittimità [14] ha precisato che il diritto di manifestare il proprio pensiero non incontra limiti ove quest’ultimo contrasti con il principio di pari dignità di tutti i cittadini (art. 3 Cost.).

Su tale lunghezza d’onda, la giurisprudenza costituzionale [15] ha sostenuto, in sede di interpretazione della c.d., Legge Scelba [16], con riferimento al reato di apologia di fascismo [17], che la libera manifestazione del pensiero non può superare i confini tracciati dall’esercizio di altri diritti costituzionali fondamentali.

Tale circostanza avalla quanto già espresso in tale sede: la libertà di espressione non è assoluta ed incondizionata, in quanto il suo esercizio deve essere bilanciato con ulteriori diritti e libertà di pari rango. Diversa si rivela la reazione della Corte EDU. In una prima vicenda [18], essa ha negato che l’adozione di leggi sanzionanti chi renda dichiarazioni di incitamento all’odio verso le persone LGBT costituisca un’illegittima limitazione dell’esercizio della libertà di espressione.

Recentemente [19], la Corte EDU ha dichiarato che una legislazione di contrasto ai discorsi di incitamento all’odio favorisce la regolare realizzazione della libertà di manifestazione del pensiero in una società democratica e plurale, conformemente ai principi di inclusione ed uguaglianza sanciti dalla Convenzione. Essa, infatti, ha condannato gli Stati implicati per non avere sviluppato adeguate misure di repressione dei fenomeni omotransfobici, invitando gli ordinamenti ad adottare strumenti sanzionatori ad hoc, dal momento che rientranti tra gli obblighi positivi imposti agli Stati medesimi dal diritto al rispetto per la vita privata e dal divieto di discriminazione [20].

Nell’ottica dei detrattori, il disegno di legge in discussione è un testo ideologico, lesivo della libertà di espressione garantita dall’art. 21 Cost., poichè non indica, con la determinatezza propria della legge penale, le condotte discriminatorie, e di conseguenza, le opinioni sfocianti nell’ambito penale. In tale senso, una parte della dottrina [21] sottolinea come ad essere punita per i nuovi motivi (sesso, genere ecc.) non sia la propaganda di idee, ma l’istigazione ad attuare atti discriminatori. I predetti concetti si pongono su piani totalmente diversi. In particolare, ad essere sanzionata non è la semplice opinione, bensì le parole che, per portata istigativa, rischiano di tradursi o si sono già tradotte in condotte discriminatorie, in ragione di uno stretto, diretto, conseguenziale nesso di casualità.

È opportuno rammentare che il concetto di atto discriminatorio è ben delineato nell’ordinamento italiano come “comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica” [22].

Lo stesso ordinamento italiano punisce le discriminazioni (dirette ed indirette). Nelle discriminazioni dirette “una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata un’altra in situazione analoga” per razza, origine etnica (art. 2. 1. a) d.lgs. n. 215/2003) [23] religione, convinzioni personali, handicap, età, orientamento sessuale (art. 2. 1. a) d.lgs. n. 216/2003) [24] o sesso (art. 25. 1 d.lgs. n.  198/2006) [25]. In quelle indirette, “una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri possono mettere le persone di una determinata razza od origine etnica in una posizione di particolare svantaggio rispetto ad altre persone”.

Alla luce di tale quadro, si ritiene di non poter aderire all’orientamento di quella corrente di pensiero [26] che, prendendo le mosse dalla recente equiparazione della discriminazione omofobica a quella razziale per opera della Corte EDU [27], sembra escludere una criminalizzazione dei “discorsi d’odio” dal contenuto omofobico in Italia, in una prospettiva di bilanciamento tra libertà di espressione e tutela di identità collettive.

Quel che si intende sanzionare è l’offesa alla dignità umana delle persone LGBT. Tuttavia, se un’ingiuria o una diffamazione rappresentano forme di aggressione alla dignità individuale, l’aggravamento del trattamento sanzionatorio finisce per punire la lesione di una dignità collettiva, nonchè “un’insieme indeterminato di sensibilità individuali” [28].

***

[1] Si tratta di Belgio, Francia, Svezia, Spagna, Portogallo, Grecia, Finlandia, Croazia, Malta, Irlanda e Ungheria.

[2] Art. 8 Risoluzione del Parlamento europeo del 26 aprile 2007 sull'omofobia in Europa.

[3] Per un approfondimento sui reati di opinione, si veda A. SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, n. 2-3, 2007, 689-738; A. PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 1-18; L. ALESIANI, I reati di opinione. Una lettura costituzionale, Milano, 206.

[4] C. M. REALE, Ddl Zan: alcune note su un dibattito aperto, in Orizzonti del diritto pubblico, 2021.

[5] Si veda, Cass. pen., Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655.

[6] Ddl. n. 1052/2013

[7] In particolare, si aggiungeva un comma 3-bis all’art. 3 della l. n. 654/1975, formulato nei seguenti termini: “Ai sensi della presente legge, non costituiscono discriminazione, né istigazione alla discriminazione, la libera espressione e manifestazione di convincimenti od opinioni riconducibili al pluralismo delle idee, purché non istighino all'odio o alla violenza, né le condotte conformi al diritto vigente ovvero anche se assunte all'interno di organizzazioni che svolgono attività di natura politica, sindacale, culturale, sanitaria, di istruzione ovvero di religione o di culto, relative all'attuazione dei princìpi e dei valori di rilevanza costituzionale che connotano tali organizzazioni”.

[8] A. SCHILLACI, Riconoscere pari dignità promuovendo coesione: per una difesa del d.d.l. Zan, in Giustizia insieme, 2021.

[9] Così, L. D’AMICO, Omofobia e legislazione antidiscriminatoria. Note a margine del d.d.l. Zan, in La legislazione penale, 2021.

[10] In tale senso, si veda L. GOISIS, Crimini d’odio. Discriminazioni e giustizia penale, Napoli, 2019, 501-507.

[11] Così, L. CONTE, Il “Ddl Zan” tra Costituzione e politica legislativa, in Diritti fondamentali, n. 2, 2021, 310.

[12] Per un approfondimento sul tema, si veda C. DEL BO’, Col sorriso sulle labbra.  La satira tra libertà di espressione e dovere di rispetto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, n. 7, 2016; G. BOGGERO, La satira come libertà ad “autonomia ridotta” nello Stato costituzionale dei doveri, in Nomos-Le attualità del diritto, n. 1, 2020.

[13] Come evidenziato da G. DAMMACCO, Riflessioni sul diritto di satira e i suoi limiti, in Studia z Prawa Wyznaniowego, n. 23, 2020, 114-115.

[14] Si veda Cass., Sez. V, 24 gennaio 2001, n. 31655; Cass., Sez. III, 3 ottobre 2008, n. 37581.

[15] Corte cost., 25 novembre 1958 n. 74.

[16] L. 20 giugno 1952, n. 645 (“Norme di attuazione della XII disposizione transitoria e finale (comma primo) della Costituzione”).

[17] Per un approfondimento sul tema, si veda A. NOCERA, Manifestazioni fasciste e apologia del fascismo tra attualità e nuove prospettive incriminatrici, in Diritto penale contemporaneo, 2018.

[18] Corte EDU, 9 febbraio 2012, Vejdeland ed altri c. Svezia.

[19] Corte EDU 12 maggio 2015, Lilliendahl c. Islanda.

[20] Corte EDU, 12 maggio 2015, Identoba ed altri c. Georgia; Corte EDU, 12 aprile 2016, Beizaras e Levickas c. Lituania.

[21] S. CURRERI, Ddl Zan: proviamo a fare chiarezza, in laCostituzione.info, 2021.

[22] Art. 43, comma 1, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286 (“Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero”)

[23] D.lgs. 9 luglio 2003, n. 215 ("Attuazione della direttiva 2000/43/CE per la parità di trattamento tra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica").

[24] D.lgs. 9 luglio 2003, n. 216 (“Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parita' di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”).

[25] D.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 (“Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell'articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246”).

[26]  Così, L. GOISIS, Liberta d'espressione e odio omofobico. La Corte europea dei diritti dell'uomo equipara la discriminazione in base all'orientamento sessuale alla discriminazione razziale, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2013, 418 ss.

[27]  Corte EDU, sez. V, 9 febbraio 2012, Vejdeland e altri vs. Svezia.

[28] G. RICCARDI, Omofobia e legge penale, in Diritto penale contemporaneo, 2013, 32.