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Distacco

Bologna, Santo Stefano con la neve
Ph. Francesca Russo / Bologna, Santo Stefano con la neve

È una parola maltrattata di sovente da gran parte della cultura occidentale, perché considerata nella sua accezione di assenza di partecipazione affettiva e come sinonimo di fredda obiettività.

Il distacco, in realtà, da sempre accende un grade dibattito e stimola le più grandi menti: esso viene vissuto in modo diverso dalla tradizione filosofica rispetto all’approccio religioso.

Tuttavia, la radice di ogni disquisizione sul distacco è rinvenibile in Platone, il quale concepiva il mondo su due piani sovrapposti: quello dell’apparenza e quello della realtà vera. Nel pensiero platonico, il distacco costituisce il presupposto per passare da una all’altra dimensione ed è così che è stato trasfuso, nelle tradizioni religiose, quale conditio sine qua non per arrivare all’atto della conversione. Pertanto, la distinzione operata da Platone tra il mutevole contingente e la dimensione stabile delle idee è rinvenibile non solo in molte tradizioni religiose orientali (dall’induismo al buddismo e al taoismo) ma anche in quelle occidentali (dall’ebraismo al cattolicesimo).

Orientandoci sulla tradizione filosofica, il distacco assume il significato di un tipo di approccio al mondo, che consiste nell’assenza di attaccamento alle persone e alle cose, così come alle azioni e ai loro risultati, perché esse, in quanto impermanenti, sono soggette a mutamento e, come tali, destinate alla distruzione.

Liberandoci dall’adesione a tutto ciò che si presenta nel mondo reale e che ci incatena agli affari quotidiani, riusciamo a prenderne le distanze e a valutare meglio la realtà che ci circonda.

Ecco che il distacco nulla ha a che vedere con l’indifferenza, né con il disinteresse: anzi, la sua pratica muove da esigenze completamente opposte, cioè la ricerca dell’effettiva comprensione della realtà, l’esigenza di considerarla in quanto tale[1].

Il filosofo si distacca dalla sua esperienza quotidiana, la contempla da un punto di vista terzo rispetto a se stesso e, in questo modo, riesce visualizzarne meglio i contorni, percepirne meglio l’essenza e capire, successivamente, come intervenire nella realtà nel modo più corretto possibile.

Il vero distacco, dunque, implica al contrario un profondo coinvolgimento nella vita perché muove dall’esigenza di comprenderla fino in fondo, osservandola da lontano e non rimanendo ancorati ai risultati.

Facendo nostra questa pratica filosofica non potrebbero che scaturire dei vantaggi per noi e per la nostra vita: non si tratta infatti di diventare disconnessi da noi stessi, dalle nostre emozioni e dai nostri sentimenti, ma di raggiungere uno stato di libertà mentale tale da permetterci di esplorare la vita per quello che effettivamente è, nel presente.

Osservare la realtà per quello che effettivamente potrebbe essere e non per quello che noi percepiamo che sia, condizionati dai nostri schemi mentali, i nostri pregiudizi, i nostri desideri, i nostri rimpianti, ci può aiutare a fare la scelta giusta, a non soffrire inutilmente, a non soccombere allo stress lavorativo, a gestire meglio le relazioni umane.

Il distacco è un momento tutto per noi, una pausa nel chaos delle nostre azioni, comunicazioni, pensieri, relazioni, per ritrovare anche un cosmos interiore.

Allora, come potremmo tentare di definire il distacco?

Il distacco è un rifugio in cui ci ritroviamo soli e glaciali davanti alle nostre paure e, osservandole da lontano, le relativizziamo.

Il distacco è attaccamento alla vita e voglia di approfondirla guardandola bene, in ogni sfumatura e dettaglio.

Il distacco è libertà dall’esperienza quotidiana che ci incatena a un livello bassissimo di percezione della nostra essenza.

Il distacco è libertà di vivere per quello che siamo realmente con gli strumenti di cui disponiamo effettivamente.

Il distacco è libertà di comprendere e di rispettare il flusso naturale della vita.

Il distacco ci toglie dal passato, ci emancipa dalle nostre proiezioni sul futuro e ci inchioda al presente, al “qui e ora”, hic et nunc, per evitare che un attaccamento alle cose e alle persone diventi proiezione di uno stato oltre il nostro essere, come inganno di una mente che non riusciamo a dominare mentre vaga oltre il tempo e lo spazio.

 

[1]Sul punto Adriano Fabris “L’esperienza del distacco – Elementi di filosofia mistica” in Etica & Politica / Ethics & Politics, VIII, 2006, 2, pp. 8-24