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Il trattamento penitenziario

articolo 3, CEDU
detenuti
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Il concetto di “normale“ sofferenza carceraria

In Corte EDU Tyrer vs. Regno Unito, 25/04/1978, viene precisato, alla luce dell'Art. 3 CEDU, che “bisogna discernere quella che è l'umiliazione del condannato, fisiologicamente insita nella sanzione penale, da una punizione che, in concreto, sminuisca la dignità del recluso e ne acuisca quella percezione di umiliazione“. Altrettanto garantistica è pure Corte EDU Poltoratskiy vs. Ucraina, 29/04/2003, secondo la quale “le condizioni di detenzione dei detenuti o delle persone sottoposte a custodia da parte della polizia sono rimesse alla tutela dello Stato, il quale è obbligato a garantire uno standard minimo delle condizioni delle carceri, in virtù dell'Art. 3 CEDU. Questo livello minimo di protezione deve tener conto del rispetto della dignità dell'uomo e, in particolare, dei detenuti, i quali versano in una condizione particolarmente delicata e vulnerabile, così come la Giurisprudenza europea ha più volte affermato rispetto all'interpretazione della CEDU“.

Come ovvio, l'Art. 3 CEDU, nell'Ordinamento giuridico italiano, rinviene la propria norma speculare e concretizzante nel comma 3 Art. 27 Cost., ovverosia “le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato“. La tematica dell'esecuzione penitenziaria è stata discussa dai Magistrati di Strasburgo, per la prima volta, in Corte EDU Kudla vs. Polonia, 26/10/2000. Tale Sentenza, seppur, in via definitiva, sfavorevole nei confronti del ricorrente, ha, incidenter tantum, sottolineato che “vi è l'obbligo generale di garantire che la detenzione si svolga in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana [… e] esiste anche un obbligo di assicurare che l'esecuzione della pena non causi sofferenze ed angosce superiori a quelle fisiologicamente intrinseche alla punizione detentiva“. Come si può notare, anche Corte EDU Kudla vs. Polonia, 26/10/2000 aderisce alla ratio rieducativa e, viceversa, rigetta il neo-retribuzionismo finalizzato alla sola neutralizzazione psicofisica dell'infrattore. La priorità della rieducazione, nell'esecuzione penitenziaria, è fatta propria pure da Corte EDU Dougoz vs. Grecia, 06/03/2001, in tanto in quanto, ex Art. 3 CEDU, “le condizioni di detenzione non devono arrivare a rappresentare un serio danno alla salute del detenuto“.

Più dettagliatamente, sempre nei primi Anni Duemila, Corte EDU Keenan vs. Regno Unito, 03/04/2001, Corte EDU Kaprykowsky vs. Polonia, 03/02/2009, nonché Corte EDU Dobrev vs. Bulgaria, 10/08/2006 hanno inteso precisare che la dignità del trattamento penitenziario è legata a doppio filo a variabili materiali quali, per esempio, le condizioni igieniche della cella, l'accesso alla luce naturale, la ventilazione del luogo di reclusione, la possibiltià di uscire fuori dalla cella per attività ricreative, lavorative o per svolgere esercizi fisici, l'assenza o meno di privacy dentro la cella e, anzitutto e soprattutto, uno spazio calpestabile, nella cella, di non meno di 3 mq per ciascun ristretto. Altrettanto basilare, specialmente con afferenza ai disastrosi Ordinamenti penitenziari dell'ex Blocco Sovietico, è stata pure Corte EDU Kalashnikov vs. Russia, 15/07/2002, ai sensi della quale “le condizioni del Kalashnikov sono sintomatiche di una grave insufficienza degli standards penitenziari della Russia;e ciò tocca le condizioni di detenzione di molti altri detenuti […]. La causa del deficit strutturale è da imputare a ragioni economiche […]. Vi è [nell' ex Blocco Sovietico] una mancanza di risorse finanziarie per modificare le infrastrutture, anche se sono da apprezzare gli sforzi per migliorare le condizioni di detenzione […]. La sofferenza psichica e fisica patita dal ricorrente a causa del sovraffollamento e delle scarse condizioni igieniche unita al periodo particolarmente lungo di detenzione in simili condizioni, hanno provocato una violazione dell'Art. 3 CEDU, indipendentemente dalla presenza di intenzionalità o meno di ledere o di umiliare il detenuto da parte dell'amministrazione penitenziaria“.

Senza dubbio, Corte EDU Kalashnikov vs. Russia, 15/07/2002 ha finalmente rivelato all'intera comunità internazionale la fetida situazione delle carceri nell'ex Unione Sovietica. D'altra parte, anche sotto il profilo giudiziario, l'ex impero dell' URSS non brilla certo per trasparenza, nell'ottica dell'Art. 3 CEDU. La Russia, unitamente ai propri Paesi-satellite, è nota pure per la violazione sistematica dell'Art. 7 CEDU, il quale, nei cpvv. 1 e 2 comma 1, statuisce che “nessuno può essere condannato per un'azione o un'omissione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il Diritto interno o internazionale. Parimenti, non può essere inflitta una pena più grave di quella applicabile al momento in cui il reato è stato commesso“.

 

Il senso di umanità nella pena detentiva

Con afferenza alla ratio dell'umanità della sanzione carceraria, Corte EDU Alver vs. Estonia, 08/11/2005 ribadisce che “costringere il detenuto a sottostare per lungo tempo a condizioni di detenzione incompatibili con l'Art. 3 CEDU costituisce un ulteriore fattore valido a corroborare il giudizio di colpevolezza dello Stato […] [poiché] anche la durata ha rilevanza nella determinazione della violazione della CEDU“. Di nuovo, quindi, Corte EDU, Alver vs. Estonia, 08/11/2005 rimarca quella ratio di proporzionalità e di ragionevolezza insita non soltanto nell'Art. 3 CEDU, ma anche nel comma 3 Art. 27 Cost.. Infatti, sotto il profilo fattuale, in Corte EDU Alver vs. Estonia, 08/11/2005, la fattispecie giudicata attineva ad un recluso ammalatosi di tubercolosi a causa dell'eccessiva esposizione ad un ambiente carcerario malsano nonché privo di igiene.

D'altra parte, sempre con riguardo all'ex Blocco Sovietico, anche Corte EDU Kalashnikov vs. Russia, 15/07/2002 aveva sottolineato la gravità inaccettabile di una “inadeguata illuminazione e ventilazione […] unita a pessime condizioni igieniche […] protratte per un lungo periodo di tempo“. Come si può notare, gli ex Paesi filo-sovietici si rendono sovente protagonisti di una totale mancanza di migliorie sotto il profilo dell'edilizia penitenziaria. Sempre in tema di ex Stati-satellite dell' URSS, Corte EDU Poltoratskiy vs. Ucraina, 29/04/2003 ha rilevato che l'Art. 3 CEDU era stato violato “per insufficienza di illuminazione e di riscaldamento nella cella del ricorrente […] non erano previste passeggiate quotidiane all'aria aperta […] Fino al Maggio 1998, il ricorrente era stato rinchiuso h. 24 in una cella di dimensioni esigue, in cui alla finestra erano state messe le imposte, con la conseguenza che non vi era accesso alla luce naturale, [...] Inoltre, non era stato previsto alcun programma per l'esercizio all'aperto o per garantire il contatto tra il detenuto e la rete parentale all'esterno del carcere […] . La prigionia è stata aggravata dal fatto che, tra il 24 febbraio ed il 24 marzo 1998, la cella in cui era stato detenuto il ricorrente non disponeva di un rubinetto dell'acqua o di un lavabo, ma solo di un piccolo tubo sulla parete vicino al WC, dove l'approvvigionamento dell'acqua veniva azionato da un pulsante posto nel corridoio […]. le pareti erano ricoperte di feci ed il secchio per lo scarico del WC era stato portato via“.

In Corte EDU Yankov vs. Bulgaria, 11/12/2003, i Magistrati di Strasburgo si soffermano pure su sottili violenze simboliche, ovverosia “un detenuto non dovrebbe essere soggetto ad angoscia e disagio in misura superiore all'intensità minima connessa con la detenzione in sé considerata […] [quindi] costuituisce un trattamento degradante [ex Art. 3 CEDU] anche la rasatura dei capelli del detenuto, poiché essa simboleggia uno stigma del proprio stato detentivo, il quale, oltre ad alterare l'aspetto della persona, lo qualifica immediatamente come detenuto o ex detenuto, in caso di rilascio“. Oppure ancora, Corte EDU Kashavelov vs. Russia, 20/01/2011 affronta, sempre alla luce dell'Art. 3 CEDU, la spinosa tematica dell'uso delle manette in carcere e/o durante la traduzione all'esterno per la celebrazione di Procedimenti Penali.

Secondo Corte EDU Kashavelov vs. Russia, 20/01/2011, “l' uso di manette o altri strumenti di contenzione normalmente non dà luogo ad una questione ai sensi dell'Art. 3 CEDU, quando la misura è stata irrogata regolarmente e non comporti l'uso della forza o di un'esposizione pubblica superiore a quello che è ragionevolmente ritenuto necessario. A questo proposito, è importante considerare, per esempio, il pericolo di fuga della persona o la possibilità che questi causi lesioni o danni. In considerazione della gravità della condanna del ricorrente, della sua fedina penale e dei suoi comportamenti violenti, l'uso delle manette poteva essere giustificato in occasioni particolari, come, ad esempio, il trasferimento al di fuori del carcere. Tuttavia, [in Corte EDU Kashavelov vs. Russia, 20/01/2011] […] il ricorrente era stato ammanettato ogni volta che veniva portato fuori dalla cella, anche quando doveva compiere la sua passeggiata quotidiana […] per tredici anni, il ricorrente è stato regolarmente sottoposto [come p. e p. ex Art. 3 CEDU] a questo trattamento, pur non essendovi mai state circostanze tumultuose o di comportamento pericoloso da parte sua“.

Pure Corte EDU Kaverzin vs. Ucraina, 15/05/2012 precisa che “l'uso delle manette in [specifiche] circostanze che non lo richiedono può costituire un trattamento detentivo contrario all'Art. 3 CEDU. [Vanno valutate, nell'insieme] la pericolosità del ricorrente, in ragione del reato commesso, ma anche le circostanze personali e le condizioni del detenuto“. Sempre in tema di ammanettamento, Corte EDU, Istratii vs. Moldova, 27/03/2007 ha precisato che legare le manette ad un calorifero in attesa di un'udienza pubblica avanti all'AG era stato sproporzionato, dunque contrario alla dignità del ristretto, come p.ep. ex Art. 3 CEDU. A sua volta, Corte EDU, Gorodnitchev vs. Russia, 24/05/2007 ha fermamente asserito che “ l'uso delle manette durante l'udienza pubblica dev'essere strettamente giustificato da motivi di sicurezza“.

Non meno interessante, sotto il profilo della dignità del recluso, è pure Corte EDU, Idalov vs. Russia, 22/05/2012, in cui il ricorrente lamentava un trattamento inumano e degradante durante le traduzioni in vinculis presso il palazzo di giustizia. Idalov era caricato sul cellulare della polizia penitenziaria alle 5 di mattina, senza poter mangiare fino a sera. Il suo scompartimento misurava 1,6 metri e molti suoi compagni dovevano rimanere in piedi o seduti sulle ginocchia degli altri. Non si facevano fermate per poter accedere ad un WC ed il viaggio di ritorno durava ben 5 ore, con gelo d'inverno ed afa d'estate all'interno del mezzo di trasporto.

Oppure ancora, si ponga mente all'isolamento. In Corte EDU, Khudoyorov vs. Russia, 08/11/2005 viene precisato che “questo istituto [dell' isolamento], in linea di principio, non è incompatibile con la previsione di cui all'Art. 3 CEDU, anche se la Commissione, in numerose decisioni o pareri, lo ha definito come uno strumento capace, potenzialmente, di distruggere la personalità del detenuto, e, pertanto, esso costituisce una pena disumana, che non trova giustificazione nelle esigenze di sicurezza“. Similmente, Corte EDU, Lorsé vs. Olanda, 04/02/2003 asserisce che “l'isolamento provoca un distacco sociale totale, distrugge la personalità e costituisce una forma di trattamento inumano, non giustificabile nel nome di presunte esigenze di sicurezza“. Tuttavia, Corte EDU Lorsé vs. Olanda, 04/02/2003 ammette l'isolamento in casi gravi di pericolo etero-lesivo, ovverosia, più dettagliatamente, “per valutare se un provvedimento del genere può rientrare nell'ambito di applicazione dell'Art. 3 CEDU, si deve tener conto, nel [singolo] caso di specie, delle condizioni particolari, come il rigore della misura, la sua durata, il fine perseguito ed i suoi effetti sulla persona interessata“.

Non s'ha da sottovalutare, sempre in Corte EDU, Lorsé vs. Olanda, 04/02/2003 che i Magistrati di Strasburgo, a titolo incidentale, hanno aspramente criticato l'istituto dell'isolamento nelle carceri italiane, le quali “applicano l'isolamento per periodi molto lunghi, e questo certamente diminuisce la dignità [del ristretto], dando luogo a sentimenti di angoscia e di inferiorità in grado di umiliare e degradare il detenuto“.

 

L'uso legittimo della forza in carcere alla luce dell'Art. 3 CEDU

Corte EDU, Ivan Vasilev vs. Bulgaria, 12/04/2007, Corte EDU, Kurnaz vs. Turchia, 24/07/2007 nonché Corte EDU, Staszewska vs. Polonia, 03/11/2009 precisano, in maniera unanime, che la PG reca la potestà di impiegare legittimamente la forza durante gli arresti o, ognimmodo, in circostanze emergenziali. Del pari, Corte EDU, Muradova vs. Azerbaijan, 02/04/2009 sottolinea che “in talune particolari circostanze, l'operazione [della polizia] va condotta con l'uso della forza. Anzi […], la Corte intende notare che l'Art. 3 CEDU non proibisce, in sé, l'uso della forza, almeno in talune fattispecie. Tuttavia, rimane fermo che l'impiego della forza dev'essere indispensabile e mai eccessivo“. Pure Corte EDU, Rachwalski e Ferenc vs. Polonia, 28/07/2009 (ripresa, tre mesi dopo, da Corte EDU, Kop vs. Turchia, 20/10/2009) denota che “il ricorso alla forza fisica che non sia strettamente necessaria, per il comportamento della persona, diminuisce la dignità umana ed è, in linea di principio, una violazione del diritto di cui all'Art. 3 CEDU“.

In Corte EDU, Ramirez Sanchez vs. Francia, 04/07/2002 (assai simile a Corte EDU, Popov vs. Russia, 13/07/2006) si rimarca che deve sempre predominare la ratio della proporzionalità, in tanto in quanto “le misure adottate devono essere necessarie per raggiungere lo scopo legittimo perseguito […] bisogna sempre seguire un principio di proporzionalità quale criterio per la valutazione di un'eventuale violazione della dignità e dell'integrità fisica del detenuto“. Anche Corte EDU, Kop vs. Turchia, 20/10/2009 esorta a valutare “il contesto specifico della prigionia […] la persona, infatti, potrebbe trovarsi, durante l'esecuzione penitenziaria, in una situazione di particolare vulnerabilità“.

Con afferenza all'uso legittimo, o meno, della forza durante la permanenza del fermato all'interno di caserme della PG, Ramirez Sanchez vs. Francia, 04/07/2006 rimarca che “quando una persona è stata ferita durante la detenzione, o, comunque,[in stato di fermo] sotto il controllo della polizia, qualsiasi lesione [fisica] darà luogo ad una forte presunzione che la persona sia stata sottoposta a maltrattamenti, a maggior ragione se una persona, al momento dell'arresto, era in buona salute, ma presentava ferite al momento del rilascio. […] in simili circostanze spetta allo Stato fornire una spiegazione plausibile di come siano state causate quelle lesioni. In caso contrario, è logico presumere che vi possa essere stata una violazione dell'Art. 3 CEDU da parte degli agenti di polizia“.

Parimenti, con notevole equilibrio, Corte EDU Zeliof vs. Grecia, 24/05/2007 osserva che “quando un fermato ha subito lesioni serie, scatta l' obbligo, in capo al Governo, di dimostrare, con argomentazioni convincenti, che l'uso della forza non sia stato eccessivo. [Ciononostante,] è importante precisare che, nella valutazione del caso, la Corte terrà in considerazione l'interezza delle circostanze, osservando […] l'imprevedibilità della condotta umana e le scelte operative che debbono essere fatte in termini di priorità e risorse. L'obbligo positivo di divieto dell'uso sproporzionato della forza dev'essere interpretato in modo che non imponga un onere impossibile per le Autorità, tale da rendere impossibile lo svolgimento delle loro funzioni di repressione e prevenzione del crimine“. Come si può notare, Corte EDU Zeliof vs. Grecia, 24/05/2007 riprende la perenne tematica della contestualizzazione. Per conseguenza, Corte EDU Zeliof vs. Grecia, 24/05/2007 rifugge accuratamente da qualsivoglia approccio lato e generico che non tenga conto delle specifiche circostanze fattuali.

Anche i Magistrati di Strasburgo non sono calcolatori elettronici decontestualizzanti. Ogni singolo leading-case va inserito nel contesto concreto e particolare, in tanto in quanto non esistono categorie giurisprudenziali predisposte in maniera generica ed assoluta. P.e.,in tema di maltrattamenti durante manifestazioni di piazza, Corte EDU Muradova vs. Azerbaijan, 02/04/2009 ha dichiarato che “La Corte, in casi di questo genere, richiede alle Autorità di provare che le operazioni di polizia e l'uso della forza che ne potrebbe conseguire si sono dimostrate necessarie nella specifica situazione, in particolare in ipotesi di ribellione in carcere da parte di detenuti o di dimostrazioni nelle vie di una citta“. Tale ratio della contestualizzazione è stata adottata anche in Corte EDU, Protopapa vs. Turchia, 24/02/2009, nella quale è stato rigettato il ricorso del presunto danneggiato “perché non sono state addotte prove sufficienti a dimostrare che le Autorità hanno fatto ricorso impropriamente alla forza ai danni della salute del ricorrente [ex Art. 3 CEDU]. Bisogna bilanciare [l'applicazione dell'Art. 3 CEDU] con l'esigenza delle forze di polizia di svolgere il proprio lavoro […]. In casi di emergenza, la polizia può fare uso della forza, specialmente quando è indispensabile arrestare legittimamente dei dimostranti“. Ecco, di nuovo, in Corte EDU Protopapa vs. Turchia, 24/02/2009, la ratio della contestualizzazione dell'Art. 3 CEDU. D'altra parte, nel Diritto Penale, non può sussistere una pericolosità delittuosa di tipo astratto.

 

L'assistenza medica in carcere e l'art. 3 CEDU

Nella CEDU, la tematica dell'assistenza medica viene trattata in maniera gravemente insufficiente, anche se la Giurisprudenza della Corte EDU ha sopperito a tale lacuna dilatando la precettività dell'Art. 3 CEDU. A tal proposito, Corte EDU, Kurnaz vs. Turchia, 24/07/2007 ha asserito, giustamente, che “la sofferenza dovuta ad una malattia, fisica o mentale, rientra nell'ambito dell'applicazione dell'Art. 3 CEDU, se rischia di essere acuita per delle situazioni riconducibili alle responsabilità dello Stato, come, ad esempio, le condizioni di detenzione o l'espulsione”. Negli Anni Duemila, la Corte EDU ha costantemente ribadito il principio secondo cui la detenzione non priva l'individuo dei propri diritti.

Sicché, l'Art. 3 CEDU impone agli Stati l'obbligo di tutelare adeguatamente, anche tramite l'assistenza medica, la salute ed il benessere dei detenuti, il tutto sempre e comunque nell'ottica dell'Art. 3 CEDU. Dunque, il recluso ha diritto alla cura di tutte le proprie patologie psicofisiche. In Corte EDU, Papon vs. Francia, 07/06/2001, la Corte ha rimarcato che taluni fattori psicofisici richiedono un'attenzione assai particolare, in tanto in quanto “la detenzione di una persona malata ed anziana per un lungo periodo può rientrare nel campo di applicazione [dell' Art. 3 CEDU]. […] Salute, età e grave disabilità fisica sono fattori da prendere in considerazione ai sensi dell'Art. 3 CEDU, per valutare l'idoneità di una persona alla detenzione“. Altrettanto garantistico è pure il Precedente contenuto in Corte EDU, Mouisel vs. Francia, 14/11/2002, in cui è stato affermato che “le condizioni del Sig.Mouisel erano andate via via peggiorando con il perdurare dello stato di reclusione […] l'amministrazione penitenziaria non si è mai attivata per trovare una soluzione adeguata alle condizioni del detenuto […] Va ribadito il diritto di tutti i detenuti a godere di condizioni di detenzione compatibili con la dignità umana [ex Art. 3 CEDU], così da garantire che il modo ed il metodo di esecuzione delle misure imposte non sottopongano il condannato ad un disagio o ad una difficoltà di un'intensità superiore all'inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione“.

Da menzionare è pure Corte EDU, Keenan vs. Regno Unito, 03/04/2001, concernente il suicidio in carcere di un giovane recluso, ovverosia, “il fatto di infliggere una [troppo] pesante sanzione disciplinare, quale l'isolamento, a pochi giorni dalla fine pena, non poteva ritenersi compatibile con lo stato di salute mentale del giovane, per cui tale punizione e, in generale, l'esecuzione della pena avevano costituito un trattamento disumano e degradante [come p.ep. ex Art. 3 CEDU]“. Sempre in Corte EDU, Keenan vs. Regno Unito, 03/04/2001, i Magistrati di Strasburgo concludono notando che “il diritto delle condizioni di detenzione rispettose della dignità umana impone un obbligo negativo di astensione dal porre in essere dei trattamenti contrari al senso di umanità;e un obbligo positivo di tutelare la salute ed il benessere dei detenuti, attraverso la predisposizione di cure mediche adeguate“. Chi redige, per amor di Patria, segnala volentieri Corte EDU, Hurtado vs. Svizzera, 28/01/1994. Ivi, la Corte EDU ha asserito che “ sussiste [ex Art. 3 CEDU] il diritto dei detenuti a beneficiare di adeguate cure mediche, ragionando in un'ottica di tutela sia dell'intergrità fisica sia di quella psichica delle persone detenute“.

Anzi, in modo schematico e catalogico, Corte EDU, Xiros vs. Grecia, 09/09/2010 ha sottolineato che “esistono tre distinte obbligazioni per gli Stati membri:l'obbligo di verificare che lo stato di salute del detenuto sia compatibile con la detenzione, l'obbligo di provvedere a somministrare le cure mediche necessarie e, infine, l'obbligo di adattare, in caso di bisogno, le condizioni di detenzione alle esigenze specifiche legate allo stato di salute dell' interessato“. Similmente, la massima tutela sanitaria psico-fisica è imposta pure da Corte EDU, Paladi vs. Moldavia, 10/03/2009, Corte EDU Oshurko vs. Ucraina, 08/09/2011 nonché da Corte EDU, Vladimir vs. Russia, 10/01/2012. E', dunque, pleonastico evidenziare la totale sintonia tra, da un lato, la Giurisprudenza della Corte EDU e, dall'altro lato, il comma 1 Art. 32 Cost., il quale recita che “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure agli indigenti“.

Pertanto, è più che evidente che l'Art. 3 CEDU si colloca nella medesima prospettiva precettiva di stampo democratico-sociale a cui appartiene pure la Costituzione italiana del 1948. Oppure ancora, in tema di welfare in carcere, si ponga mente alle Regole penitenziarie europee, in cui è statuito, all'Art. 26, che “ogni stabilimento penitenziario deve disporre almeno delle prestazioni di un medico generico. L'assistenza medica dovrebbe essere organizzata in stretta relazione con l'amministrazione generale del servizio sanitario della comunità o della nazione. Deve comprendere un servizio psichiatrico per la diagnostica e, ove sia il caso, il trattamento delle anomalie psichiche. Per i detenuti che necessitano di cure mediche specialistiche, si deve provvedere il trasferimento in stabilimenti penitenziari specializzati o in ospedali civili. Quando il trattamento ospedaliero è organizzato nello stabilimento, deve essere fornito di attrezzature, materiali e prodotti farmaceutici che consentano di approntare le cure ed il trattamento adeguati ai detenuti malati;il personale deve avere una preparazione professionale sufficiente“. Sganciare l'Art. 3 CEDU dalle Costituzioni post-belliche europee significa non comprendere trecento anni di Garantismo occidentale filo-illuminista.

 

L'inapplicabilità fattuale dell'Art. 3 CEDU nei casi di sovraffollamento carcerario

Negli Anni Duemila, la più importante Sentenza sovrannazionale in tema di sovraffollamento carcerario è stata senza dubbio Corte EDU, Kalashnikov vs. Russia, 15/07/2002, nella quale si notava che “la realtà del carcere di Magadan, in Russia, era particolarmente grave. Il ricorrente aveva vissuto in una cella di 17 mq (20 secondo il Governo russo) progettata per sole 8 persone, a fronte delle 18/24 effettivamente stipate. Oltre al problema del sovraffollamento, vi era anche l'impossibilità materiale di dormire dignitosamente, sia per la necessità di fare i turni per la branda, sia per il contesto caotico provocato da televisioni e luci sempre accese. Anche le condizioni igieniche erano insufficienti, vi era totale assenza di privacy, dato che i WC erano a vista ed il tavolo da pranzo si trovava a meno di 1 mt dagli stessi. […]. Scarafaggi e formiche infestavano la cella, con conseguente contagio di scabbia da parte del ricorrente […]. Ogni detenuto disponeva di uno spazio compreso tra 0,9 e 1,9 mt […] la cella era continuamente e gravemente sovraffollata […] Durante la detenzione, il ricorrente è stato esposto al rischio di contagio di gravi malattie veneree, quali l'HIV e la tubercolosi, pericolo scampato per cause fortuite, dato il grave problema di sovraffollamento che costringeva l'amministrazione penitenziaria a radunare insieme più detenuti, senza alcuna attenzione alle condizioni igienico-sanitarie“.

Come prevedibile, Corte EDU, Kalashnikov vs. Russia, 15/07/2002 ha pienamente accolto le doglianze del ricorrente, in tanto in quanto “lo Stato [russo] doveva assicurare alla persona detenuta delle condizioni compatibili con il rispetto per la dignità umana [ex Art. 3 CEDU]. […] . Questo stato di cose, in sé, ha posto un problema ai sensi dell'Art. 3 CEDU […] Le condizioni di detenzione del ricorrente, in particolare l'ambiente gravemente sovraffollato ed insalubre ed il conseguente effetto negativo sulla propria salute e benessere, in combinazione con la lunga durata del periodo durante il quale egli è stato arrestato in queste condizioni, costituisce un trattamento degradante. Di conseguenza, vi è stata una violazione dell'Art. 3 CEDU “.

Di nuovo, in tema di ex Unione Sovietica, Corte EDU, Labzov vs. Russia, 16/06/2005 ha osservato che “il sovraffollamento ed il conseguente spazio vitale ridotto debbono essere presi in considerazione, ai fini di un'eventuale dichiarazione di violazione dell'Art. 3 CEDU, [ma] unitamente ad altri elementi“. Gli “altri elementi“ menzionati da Corte EDU, Labzov vs. Russia, 16/06/2005 sono costituiti, in special modo, da “mancanza di ventilazione e di luce naturale, impossibilità di effettuare quotidiane passeggiate all'aperto ed assenza totale di privacy all'interno della cella“. La novità di Corte EDU, Babushkin vs. Russia, 18/10/2007 consiste nell'unire al sovraffollamento altre ulteriori mancanze, come “la carenza di una fonte di ventilazione e di illuminazione adeguata […] Il sovraffollamento era unito anche al fatto che l'unico lavandino e l'unico WC della cella erano utilizzati da almeno il doppio dei detenuti per cui erano stati destinati. Di conseguenza, l'accesso al WC era piuttosto limitato ed il mantenimento dell'igiene nella cella era quasi impossibile“.

Terrificante è pure il profilo fattuale giudicato in Corte EDU, Vlassov vs. Russia, 12/06/2008, ovverosia “la cella in cui era detenuto il ricorrente non aveva nessuna finestra, nel senso proprio della parola […]. Per quasi tre anni, il ricorrente ha dovuto spendere una parte considerevole del giorno praticamente costretto a letto, in una cella con ventilazione scarsa e nessuna finestra“. Lo stato inumano e degradante delle carcere nell'ex Blocco Sovietico è confermato pure da Corte EDU, Belevitskiy vs. Russia, 01/03/2007, in tanto in quanto “il centro di custodia cautelare in cui il ricorrente era stato detenuto era gravemente sovraffollato e per questo disponeva di meno di 1 mq per se stesso […]. I detenuti avevano dovuto dormire a turno ed utilizzare il solo lavandino e gabinetto disponibile in cella […] l'accesso alla luce naturale ed all'aria fresca era stato bloccato da schermi metallici che coprivano le finestre […] in estate la temperatura interna della cella raggiungeva i 45°C“.

Sintomatica, in tema di trattamento penitenziario negli ex Paesi Sovietici, è pure Corte EDU, Istvan Gabor Kovacs vs. Ungheria, 17/01/2012, in cui è stato notato che lo spazio calpestabile era di 4 mq a testa, ma “il ricorrente aveva dovuto passare i due mesi di reclusione, per la quasi totalità del tempo, in cella, senza passeggiate all'aria aperta”.

S'ha da rimarcare che, negli ultimi Anni Duemila, la Giurisprudenza della Corte EDU ha costantemente congiunto il fattore del sovraffollamento ad altre ulteriori circostanze degradanti, come, ad esempio, la durata della detenzione contraria all'Art. 3 CEDU.

P.e., in Corte EDU Koktysh vs. Ucraina, 10/12/2009, il tempo della reclusione è stato, complessivamente, di 14 giorni, ciononostante il ricorso di Koktysh è stato accolto, in tanto in quanto “nella sua cella, che misurava 4 x 8 mq, sono state recluse circa venti persone, a dispetto dei due soli posti letto disponibili, non c'erano lenzuola, cuscini o coperte, ma solo un paio di materassi sporchi. Le condizioni igieniche della cella erano insufficienti e la stanza era senza ventilazione o illuminazione adeguata e infestata da vari insetti. Quasi tutti i detenuti erano fumatori e questo ha causato una sofferenza intensa per il ricorrente, dal momento che soffriva di asma bronchiale, per la quale non ha ricevuto le cure adeguate. Il Centro di detenzione non disponeva di una doccia e ai detenuti non era garantito di poter fare nemmeno una passeggiata […] il cibo quotidiano consisteva in un pezzo di pane, un piatto di minestra e acqua“.

Recentemente, la Corte EDU ha cominciato a reputare sanzionabili periodi anche brevi di detenzione inumana e degradante, come nelle fattispecie di cui in Corte EDU, Gavrilovici vs. Moldova, 15/12/2009, Corte EDU, Ciupercescu vs. Romania, 24/07/2012, nonché Corte EDU, Parascineti vs. Romania, 13/03/2012. Come si può notare, l'ex Blocco Sovietico è sovente destinatario di pesanti condanne per la violazione dell'Art. 3 CEDU nell'ambito dell'esecuzione penitenziaria, il che induce ciascuno alle debite riflessioni politiche. La severità intransigente della Corte EDU si manifesta pure in Corte EDU, Orchowski vs. Polonia, 22/10/2009 (ripresa da Corte EDU, Norbert Sikorski vs. Polonia, 22/10/2009). Più dettagliatamente, in Corte EDU, Orchowski vs. Polonia, 22/10/2009 si afferma che “è inammissibile che difficoltà di carattere finanziario o logistico possano in alcun modo rilevare ai fini dell'esclusione della responsabiltà dello Stato, in particolare dell'obbligo di garantire condizioni di detenzione adeguate [ex Art. 3 CEDU] […] Lo Stato è tenuto ad introdurre dispositivi elettronici di sorveglianza, ad avviare migliori politiche di edilizia carceraria e ad adottare misure alternative alla detenzione [intramuraria]”.