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Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato

Tribunale speciale
Tribunale speciale

Il Tribunale speciale per la difesa dello Stato fu a tutti gli effetti un tribunale politico, o per meglio dire, un tribunale al servizio della politica.

Costituito nel 1926 dal combinato normativo della Legge 2008/26 e del Regio Decreto 2062/26, e rimasto in carica fino al 1943 (poi ricostituito dalla Repubblica Sociale Italiana), aveva giurisdizione per i reati posti alla salvaguardia del Regime. Tra questi vi erano ogni forma di cospirazione, quali l’organizzazione di associazioni, partiti, e la diffusione, anche a mezzo stampa, di idee considerate “sovversive” (vi furono processi anche contro chi era stato sentito proferire frasi contro il Duce in momenti di vita quotidiana). Ovviamente vi ricadevano anche i reati di attentato contro le personalità dello Stato.

Inoltre, la Legge 2008 prevedeva che i reati puniti dall’allora vigente codice penale Zanardelli agli articoli 104, 107, 108, 120, 252 (rivelazione segreti politici o militari, istigazione a far insorgere i cittadini contro lo Stato, ed altro) fossero sanzionati con la pena di morte, e non più con quella reclusiva.

Il Tribunale speciale era unico per tutto il Regno (il Regio Decreto prevedeva che potessero essere create sezioni territoriali con decreto del Ministero della Guerra), con sede a Roma nel Palazzo di Giustizia e specificamente celebrava le udienze nell’Aula IV.

Venendo alla composizione del Tribunale, ai sensi dell’articolo 7 della Legge 2008/26 era costituito “da un presidente scelto tra gli ufficiali generali del Regio esercito, della Regia marina, della Regia aeronautica e della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, di cinque giudici scelti tra gli ufficiali della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale, aventi grado di console, l’uno e gli altri, tanto in servizio attivo permanente, che in congedo o fuori quadro, e di un relatore senza voto scelto tra il personale della giustizia militare”.

La pubblica accusa era rappresentata da un Pubblico Ministero scelto tra gli ufficiali dell’esercito, della marina, dell’aeronautica o della Milizia, e veniva nominato con decreto del Ministro per la guerra.

Per quanto riguarda la procedura utilizzata, va subito detto che ai sensi dell’articolo 10 del Regio Decreto, era sempre spedito il mandato di cattura, e non ammessa la libertà provvisoria. Le notizie di reato arrivavano prevalentemente dall’OVRA, ossia la polizia politica che il Regime utilizzava per tener monitorati coloro che andavano considerati “pericolosi” e “sovversivi”.

Il procedimento, estremamente semplificato, era costituito dalla fase istruttoria, ed eventualmente, dal dibattimento.

Ma la difesa?

L’articolo 7 del Regio Decreto prevedeva, utilizzando parole che non hanno bisogno di spiegazioni, che “la difesa è ammessa, dopo il rinvio a giudizio”.

Ciò significa che l’imputato poteva tentare di difendersi solo dopo la fine dell’istruttoria. Ma con quale difesa?

Se la difesa era “ammessa” (lessico che non ha bisogno di precisazioni), questa era solo sulla carta uno strumento utilizzabile dall’accusato.

Innanzitutto, il difensore doveva essere scelto tra gli ufficiali in servizio attivo presenti nella sede del Tribunale speciale, oppure tra gli avvocati regolarmente ammessi alla professione.

Sempre nello stesso articolo, vediamo che “Il presidente, su richiesta del pubblico ministero, può escludere l’assistenza del difensore non militare nei casi, nei quali, con giudizio insindacabile, lo ritenga necessario nel pubblico interesse”.

Quindi se il difensore era “solamente” abilitato all’esercizio dell’attività forense, poteva essere escluso, senza margine di discussione.

Ma c’è di più; l’articolo 7 prevedeva anche che il Presidente potesse vietare di prender visione dei documenti o delle cose sequestrate.

Quindi vi era la concreta (e frequente) eventualità che l’imputato ed il suo difensore non potessero prendere mai visione dell’intero incartamento.

Va poi detto che in sede dibattimentale (che di fatto era estremamente sommaria) valeva il principio che la distanza tra banco della difesa e gabbia con gli imputati fosse assai breve. Pertanto i difensori erano tenuti a non mettere mai e poi mai in discussione l’operato del Regime e la correttezza del Tribunale. In concreto ci si doveva limitare a chiedere clemenza per il proprio assistito.

Come si è già anticipato, la fase dibattimentale era estremamente sommaria nonché celere, e suonava da pura formalità. Era costituita dalla lettura dell’imputazione seguita dall’esame dei testimoni (dell’accusa) e dall’interrogatorio dell’imputato.

Si è sempre detto che il Duce in persona stabilisse le sentenze dei processi più importanti prima dell’udienza, comunicando la decisione al presidente.

Infine, le sentenze pronunciate dal Tribunale speciale non erano impugnabili con alcun mezzo, sia ordinario che straordinario.

Letture consigliate:

  • Mimmo Franzinelli, IL TRIBUNALE DEL DUCE, Mondadori 2017.
  • Indro Montanelli, Mario Cervi, L’ITALIA LITTORIA, Rizzoli 1979.
  • Pablo dell’Osa, IL TRIBUNALE SPECIALE E LA PRESIDENZA DI GUIDO CRISTINI, Mursia 2017.