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Incertezza

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Ph. Maria Raffaella Primerano / vista

Ai primi degli anni 2000, l’US Army College ha coniato un acronimo per definire i nuovi scenari in cui si muovono gli eserciti, il VUCA: volatili, incerti, complessi, ambigui.

La definizione è stata successivamente presa in prestito dal mondo produttivo e dei servizi, in quanto capace di descrivere, in modo chiaro e appropriato, anche gli scenari più attuali in cui le organizzazioni si trovano ad agire le proprie funzioni. È evidente come, nel particolare momento che stiamo attraversando, questa definizione si sia dimostrata vera e attuale, mettendoci in breve tempo a confronto con tutte le dimensioni degli scenari VUCA:

  • la Volatilità, dettata dall’incombente necessità di agire in modo rapido, profondi cambiamenti nel nostro modo di vivere la quotidianità e il nostro tempo al lavoro;
  • l’Incertezza, che ancora permea le nostre vite e ci rende di difficile interpretazione la situazione attuale e ancora più difficile pianificare obiettivi futuri con la necessaria lungimiranza.
  • la Complessità nella presa di decisioni e nell’attuazione delle stesse in tempi relativamente contenuti;
  • l’Ambiguità dettata dalla mancanza di chiarezza e dall’assenza di univocità nell’interpretazione degli eventi;

Mai come in questa congiuntura tutte queste dimensioni ci sono apparse reali e vicine, togliendoci molte delle nostre sicurezze. Un tempo in cui a prevalere è il senso di disorientamento. Un tempo in cui l’enfasi viene posta sulla perdita, sull’insicurezza, sull’urgenza e al tempo stesso sulla difficoltà di recupero.

Fra tutte, l’incertezza diviene la variabile dominante e le nostre rassicuranti routine si rivelano per tutta la loro fragile inconsistenza. In questo scenario, in cui il mondo è diventato improvvisamente volatile, complesso, ambiguo e incerto, diviene ancora più evidente come gli standard ai quali eravamo abituati chiedano di essere ridefiniti, perché se gestiti con le vecchie regole perderebbero di efficacia.

Ed è nelle maglie a legami deboli delle organizzazioni che si insinua il contributo di tutti noi, di ciascuno nel proprio ruolo e per la propria dimensione, non solo professionale, ma anche personale. Nelle organizzazioni complesse, nelle organizzazioni accademiche, definite nei propri funzionamenti da legami organizzativi che si distinguono chiaramente per la loro forza e debolezza, per quell’insieme di connessioni che determinano le relazioni fra le molte unità organizzative responsabili (UOR) e fra i tanti attori che le animano, si generano quelle interdipendenze che sono funzionali all’esecuzione del lavoro e al raggiungimento degli obiettivi che l’organizzazione stessa si dà.

Il predominio di processi di lavoro e di procedure governate da norme e standard, apparentemente immodificabili ha dovuto cedere presto il passo al mondo della relazione che si insinua proprio in quel “legame debole” del coordinamento e che fa sì che i diversi attorni mantengano una forte connessione fra i ruoli, ma al contempo ne sia assicurata una relativa indipendenza e autonoma capacità di azione e reazione, finanche di improvvisazione.

In questo contesto, è chiaro che la complessità di gestione diverge in funzione dei ruoli che ciascuno di noi è chiamato a ricoprire, ma tutti noi siamo chiamati a vivere il medesimo scenario, mettendo in atto proprie strategie per il corretto funzionamento dell’organizzazione e assicurare i servizi da cui ha origine il senso stesso dell’organizzazione.

Si fa quindi strada una nuova richiesta organizzativa, di guida nell’incertezza, il cui compito è attribuito a chi ricopre ruoli direzionali (o di beyond management, come direbbe Biffi (https://www.umanesimomanageriale.it/266-beyondmanagement-presidio.html), e di gestione dell’incertezza, il cui compito spetta a ciascuno di noi.

E mentre per il leader di un futuro che già è oggi, è richiesto di agire il ruolo esercitando la propria Antifragilità - intesa come capacità di prestare il fianco al caos, all’assenza di routine, all’assenza di punti di riferimento e abitudini, con l’obiettivo di apprendere e prosperare - a tutti noi è richiesto di agire al meglio la nostra “capacità negativa”.

Il termine “capacità negativa” è stato coniato dal poeta inglese John Keats nei primi decenni dell’Ottocento, nel tentativo di definire quella che lui interpretava come la caratteristica principale dell’essere umano, cioè la capacità di rimanere sospesi tra incertezze e dubbi.

«[…] ho capito qual è la qualità che ci vuole per fare un uomo di successo […] intendo dire la Capacità Negativa e cioè quando un uomo è capace di stare nell’incertezza, nel mistero, nel dubbio senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione […] perché incapace di rimanere appagato da una mezza conoscenza».

John Keats definisce “negativa” la capacità contrapposta al nostro bisognopositivo”, mosso dalla conoscenza razionale e dall’istinto ad intervenire, ricercando una rassicurante soluzione nelle routine del nostro agire quotidiano. Secondo il poeta l’abilità richiesta non è tanto saper risolvere problemi, ma di saperli esplorare, accettando che possa non esserci una soluzione immediata o definitiva.

Ciascuno di noi è così chiamato ad agire la propria capacità di tollerare e di convivere con ambiguità e paradossi, sapendo restare nel cambiamento e nell’incertezza che questi portano con sé; tutto ciò senza cedere il passo al nostro naturale istinto alla reazione e al controllo.

La capacità negativa è un invito a restare connessi e permeabili al mondo che ci circonda e in questo senso, l’incognita del futuro apre le porte all’immaginazione e alla nostra capacità di intuizione e di generazione positiva che offre la possibilità di aprirsi a dimensioni nuove e fino ad oggi sconosciute.

In situazioni di crisi, come questa che stiamo vivendo, la fragilità di un contesto organizzativo – oltre che sociale – strutturato su rigide identità di ruolo e su procedure formalizzate, diventa chiaramente visibile.

Questi nuovi scenari, per quanto difficili e complessi, richiedono che ci apriamo ad una nuova prospettiva, rinvenendo l’opportunità di apprendimento organizzativo, di cambiamento, di innovazione sociale e dei contesti di lavoro.

Dunque, mai come in questo periodo in cui viene meno il valore del “precedente” che tanta rassicurazione ci ha dato fino a ieri nella definizione delle nostre scelte e che oggi si rivela di scarso supporto per delineare ogni nostra azione presente e futura, diviene importante saper esercitare ed esprimere al meglio la propria "capacità negativa" la nostra capacità di "essere" nell'incertezza, affrontando il contingente ma restando distaccati di fronte all'assenza o all’apparente perdita di senso e senza volere, a tutti i costi e rapidamente, pervenire a fatti o a certezze.

A ben vedere, non si tratta di inventare attività totalmente nuove o di esercitare abilità che non ci appartengono, ma piuttosto ci è richiesto di re-interpretare scenari diversi e mai sperimentati prima, all’interno dei quali dare nuove definizioni a fatti e accadimenti. Si tratta di ricollocare, in una nuova veste, le competenze, il dominio di conoscenze e abilità, che ci appartengono e che hanno guidato la nostra azione fino ad oggi.

Tutti noi siamo chiamati a sperimentare questa, per molti nuova ed ulteriore capacità, quella “capacità negativa” che quando esercitata ci consente di accettare i momenti di indeterminatezza, la difficoltà a comprendere la nuova direzione e che ci permette, per contro, di cogliere le potenzialità di azione e rinnovamento che queste situazioni, per quanto difficili e complesse, portano con sé.

Saper stare nell’incertezza, senza l’impazienza di correre dietro ai fatti e alla ragione, è l’esercizio utile e necessario per ridare una nuova veste alle nostre risorse ed esperienze e per definire così un nuovo percorso che sappia andare oltre l’indeterminatezza del presente e sia, invece, generativo, di rinnovamento e crescita, organizzativa, professionale e personale.