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La condotta nella violenza sessuale: molteplicità di comportamenti che integrano il reato

La normativa che disciplina il reato di violenza sessuale è oggi prevista dal codice penale agli articoli 609 bis e seguenti. Quindi, il reato che prima si trovava ad essere inserito nel capo dei delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume, a seguito della riforma prevista dalla Legge del 15 febbraio 1996, n. 66 si trova ad essere previsto tra i delitti contro la persona.

Il punto centrale della nuova disciplina è rappresentato proprio dal mutamento dell’oggettività giuridica dei delitti in materia di libertà sessuale che, rispetto al codice Rocco, assumono, giustamente, la dignità di reati contro la persona e non più di reati (più blandi dal punto di vista ontologico e punitivo) contro la moralità pubblica ed il buon costume.

Ad avviso di chi scrive, uno degli elementi giuridici più interessante del reato di violenza sessuale è la “condotta”, su cui pertanto ci si soffermerà in questo brevissimo elaborato, perché il reato di violenza sessuale può ugualmente realizzarsi nonostante la diversità dei molteplici comportamenti che possono essere posti in essere dal soggetto attivo. Ciò è ancora più evidente proprio a seguito della suddetta riforma, perché un altro aspetto innovativo della legge riguarda la scelta del legislatore di eliminare la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine, unificando quindi tutte le varie condotte delittuose della violenza sessuale.

In altre parole, per violenza sessuale si intende un qualunque atto sessuale, non ulteriormente determinato, che sia violento e dunque imposto con la forza, con la minaccia, con l’inganno ai danni di un soggetto non consenziente o comunque incapace di fornire un consenso valido per ragioni di sottomissione fisica, emotiva o per ritardo mentale. Essendo questa la definizione di violenza sessuale è chiaro che si va da una forma di reato molto grave (atto sessuale imposto: il c.d. stupro) a forme di reato molto meno gravi che possono consistere in manipolazioni del corpo della vittima, al fine di ricavare gratificazione sessuale.

Il legislatore, pur considerando tutte queste azioni violente comunque meritevoli di condanna, ha dovuto prevedere una differenza di pena applicabile. Non sarebbe coerente e, anzi parrebbe assai contraddittorio, che una penetrazione violenta da parte dell’aggressore fosse punita alla stessa stregua di una palpata fugace su un mezzo di trasporto!

La valutazione relativa alla maggiore o minore gravità della violenza deve essere posta in essere sulla base dei seguenti elementi: 

- Il disvalore della condotta criminale, desunto dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 

- La gravità del danno criminale o del pericolo cagionato alla persona offesa; 

- l’intensità del dolo o il grado della colpa; senza alcun obbligo, invece, di prendere in considerazione specificamente anche gli indici della capacità a delinquere, i quali potranno essere valutati solo ai fini della commisurazione finale della pena.

(Al riguardo, si veda Cassazione penale, sez. IV, sentenza 08.06.2007 n. 22520).

Quindi, sulla base di quanto detto, una molteplicità indefinita di comportamenti possono ugualmente configurare il reato di violenza sessuale.

D’altro canto, nel nostro ordinamento, per “condotta” deve intendersi un qualunque atto in grado di realizzare l’evento previsto e punito dalla norma, perché l’unico elemento che richiede il nostro legislatore è che la condotta sia “idonea” a provocare l’evento. Per quanto riguarda il delitto di violenza sessuale, sono idonei tutti quegli atti in grado realizzare una violenza sulla vittima del reato. Rilevante a questo proposito è il sottolineare che l’evento del delitto non è il raggiungimento dell’orgasmo da parte dell’aggressore. Ciò che deve essere realizzato è unicamente l’atto violento.

Sotto il profilo oggettivo, assumono rilievo la violenza, la minaccia o l’abuso di autorità poste in essere per costringere la vittima al compimento di un atto sessuale non voluto.

La violenza consiste nell’esercizio di una qualsiasi forza fisica, anche se, come detto sopra, non necessariamente debba essere spinta al massimo della brutalità ed irresistibilità diretta a vincere la resistenza opposta della vittima.

La “violenza” richiesta per la integrazione del reato non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (Cass. 23 maggio 2003, n. 22909).

La “minaccia”, a sua volta, consiste nel manifesto proposito di arrecare un danno alla vittima, ad altre persone o alle cose, al fine di coartare la volontà della vittima e farle accettare l’atto voluto di mira dall’agente.

L’“abuso di autorità” presuppone che il soggetto agente si avvalga di una posizione formale di superiorità o preminenza nei confronti di un altro soggetto. Nell’ambito dell’abuso di autorità rientrano tanto l’abuso di pubblica autorità (ad es. nei confronti di un soggetto detenuto o arrestato), tanto l’abuso di autorità privata (ad es. tra datore di lavoro e lavoratore oppure tra docente e allievo). Va sottolineato che l’attuale riferimento a qualsiasi abuso di autorità amplia la previsione prima limitata ai casi specificatamente previsti e disciplinati dall’abrogato art. 520 c.p. (congiunzione carnale commessa con abuso della qualifica di pubblico ufficiale).

Si pone anche il problema di stabilire se la relazione di dipendenza tra il soggetto agente e la vittima debba essere attuale (sussistente, cioè al momento dell’atto sessuale) o possa essere anche cessata, purché si protragga il timore riverenziale provocato dalla stessa relazione: se tuttavia si ha riguardo agli elementi che costituiscono la fattispecie oggetto di incriminazione, ed alla ratio della stessa che va individuata nel possibile timore riverenziale che può ingenerasi nella vittima, risulta chiaro che la relazione di dipendenza non attuale non assumerà alcun rilevo, soltanto se essa sia venuta meno anche di fatto, se cioè il soggetto agente non conserva alcun potere concreto sulla vittima. Inoltre, rileva non soltanto la relazione diretta (quella intercorrente tra il soggetto agente e la persona offesa) ma anche quella indiretta (sussistendo in tal caso, una ipotesi di concorso di persone nel reato, tra il soggetto che abusa della propria autorità ed il terzo che compie l’atto sessuale non voluto dalla vittima).

Sia la violenza, sia la minaccia, sia l’abuso di autorità devono essere tali da poter concretamente coartare la volontà della persona offesa.

La violenza o la minaccia devono essere poste in essere con connotati che ne esteriorizzano la serietà e la gravità per cui soltanto l’esame delle circostanze di tempo e di luogo del caso concreto, in relazione anche alla personalità del soggetto attivo e della vittima, potrà consentire di accertare se le minacce o violenze poste in essere dal soggetto agente risultino, o meno, idonee a coartare la volontà della vittima.

Dunque, la condotta tipica di violenza sessuale si realizza, ai sensi dell’art. 609 bis, qualora un soggetto con violenza o minaccia o attraverso l’abuso di autorità ne costringa un altro a compiere o a subire atti sessuali.

L’uso della locuzione “atti sessuali” è stata oggetto di molte disapprovazioni da parte degli operatori del diritto, dalle quali sono scaturiti diversi orientamenti interpretativi.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato una nozione ampia di atto sessuale, che non riguardi esclusivamente la sfera genitale, ma altresì, le c.d. “zone erogene”. La Corte ha statuito che “nel concetto di atti sessuali di cui all’art. 609 bis c.p., bisogna far rientrare non solo gli atti che involgono la sfera genitale, bensì tutti quelli che riguardano le zone erogene su persona non consenziente; pertanto, tra gli atti suscettibili di integrare il delitto in oggetto, va ricompresso anche il mero sfioramento con le labbra sul viso altrui per dare un bacio, allorché l’atto, per la sua rapidità ed insidiosità, sia tale da sovrastare e superare la contraria volontà del soggetto passivo” (Cassazione penale, sez. III, sentenza 26.03.2007 n. 12425).

Partendo da tale assunto, è stato ritenuto che costituisca violenza sessuale: 

- la toccatina repentina ed insidiosa (Cassazione penale, sez. III, sentenza 12.06.2007 n. 22840); 

- una toccata fugace al seno di una donna in topless è violenza sessuale (Cassazione penale, sez. III, sentenza 22.05.2007 n. 19718); 

- infilare la mano nella maglietta ed iniziare ad “accarezzare la schiena spingendo la mano sotto l’ascella verso il seno, in contrasto con la volontà del soggetto passivo” (Cassazione penale, sez. III, sentenza 29.01.2008 n. 4538).

Invero, presupposto della sussistenza dei reati sessuali è il contrasto tra la volontà del carnefice è quello della vittima, la quale è lesa nel diritto ad autodeterminarsi liberamente nella sua sfera sessuale.

Proprio per tale ragione la giurisprudenza ha ritenuto che:

1) affinché sia configurabile il reato di violenza sessuale è necessario che:

- vi sia il fine di concupiscenza (sussistente anche se l’agente non ottiene il soddisfacimento sessuale);

- la condotta posta in essere dall’agente sia concretamente idonea a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, nella sua sfera sessuale (Cassazione penale, sez. III, sentenza 22.05.2007 n. 19718);

2) per la sussistenza del reato di violenza sessuale, basta qualsiasi atto finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo al fine dell’eccitazione e/o del soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. L’illiceità della condotta deve essere, pertanto, valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona e nella stessa deve essere ravvisabile la costrizione minacciosa o autoritaria o, comunque, l’intimidazione psicologica nei confronti del soggetto passivo e della sua possibilità di scelta (Corte d’Appello Milano, sez. II, sentenza 24.04.2007).

Invero, anche il bacio è stato oggetto di attenzione, in quanto considerato penalmente rilevante ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale. Al riguardo, è stato ritenuto che non si può distinguere, ai fini penali, in base alla “profondità” del bacio, “sino ad escludere la natura sessuale per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra, e riservare la nozione di atto sessuale soltanto ai baci che arrivano al contatto delle lingue. Entrambe le tipologie di baci, infatti, sono idonei a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo (a meno che si tratti di baci leggeri scambiati in quei particolari contesti non erotici che ne escludono la connotazione sessuale)”. In ogni caso, “il bacio sulla bocca assume valenza di violenza sessuale, se dato senza il consenso o con abuso della posizione di inferiorità del soggetto passivo, o il reato di atti sessuali con minorenne, se dato a soggetti infraquattordicenni oppure a soggetti infrasedicenni legati da un rapporto di subordinazione con il soggetto agente”.

Sotto il profilo della prova, il reato di violenza sessuale è più facilmente individuabile quando c’è stata violenza, perché l’atto sessuale violento è verificabile sia a seguito di controllo vaginale che grazie alla presenza di eventuali lividi sul corpo o residui di pelle sotto le unghie che stanno ad indicare reazione da parte della vittima dell’abuso. La medicina conferma che i fattori determinanti per l’identificazione di abusi sessuali si esauriscono nelle 24-36 ore a condizione che non siano intervenuti comportamenti che ne hanno eliminato le prove (es. pulizia igienica). Vi sono altre patologie (es. infezioni) che rimangono oltre l’arco di tempo menzionato, ma non è possibile determinare che lesioni riscontrate in tempi successivi siano riconducibili ad abusi.

Più complesso è individuare la violenza sessuale, qualora non ci siano prove di violenza conclamata (stupro), per cui è necessario rivolgersi a psicologi forensi che, in base al loro convincimento personale e professionale, dichiareranno la veridicità delle rispettive dichiarazioni. La prova principale scaturisce dalla testimonianza della vittima. Tuttavia, bisogna sottolineare che ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, come una fonte per la ricostruzione storica dei fatti, ma non come unico elemento sul quale basare le indagini e in seguito l’esito del processo.

La normativa che disciplina il reato di violenza sessuale è oggi prevista dal codice penale agli articoli 609 bis e seguenti. Quindi, il reato che prima si trovava ad essere inserito nel capo dei delitti contro la moralità pubblica ed il buon costume, a seguito della riforma prevista dalla Legge del 15 febbraio 1996, n. 66 si trova ad essere previsto tra i delitti contro la persona.

Il punto centrale della nuova disciplina è rappresentato proprio dal mutamento dell’oggettività giuridica dei delitti in materia di libertà sessuale che, rispetto al codice Rocco, assumono, giustamente, la dignità di reati contro la persona e non più di reati (più blandi dal punto di vista ontologico e punitivo) contro la moralità pubblica ed il buon costume.

Ad avviso di chi scrive, uno degli elementi giuridici più interessante del reato di violenza sessuale è la “condotta”, su cui pertanto ci si soffermerà in questo brevissimo elaborato, perché il reato di violenza sessuale può ugualmente realizzarsi nonostante la diversità dei molteplici comportamenti che possono essere posti in essere dal soggetto attivo. Ciò è ancora più evidente proprio a seguito della suddetta riforma, perché un altro aspetto innovativo della legge riguarda la scelta del legislatore di eliminare la distinzione tra congiunzione carnale e atti di libidine, unificando quindi tutte le varie condotte delittuose della violenza sessuale.

In altre parole, per violenza sessuale si intende un qualunque atto sessuale, non ulteriormente determinato, che sia violento e dunque imposto con la forza, con la minaccia, con l’inganno ai danni di un soggetto non consenziente o comunque incapace di fornire un consenso valido per ragioni di sottomissione fisica, emotiva o per ritardo mentale. Essendo questa la definizione di violenza sessuale è chiaro che si va da una forma di reato molto grave (atto sessuale imposto: il c.d. stupro) a forme di reato molto meno gravi che possono consistere in manipolazioni del corpo della vittima, al fine di ricavare gratificazione sessuale.

Il legislatore, pur considerando tutte queste azioni violente comunque meritevoli di condanna, ha dovuto prevedere una differenza di pena applicabile. Non sarebbe coerente e, anzi parrebbe assai contraddittorio, che una penetrazione violenta da parte dell’aggressore fosse punita alla stessa stregua di una palpata fugace su un mezzo di trasporto!

La valutazione relativa alla maggiore o minore gravità della violenza deve essere posta in essere sulla base dei seguenti elementi: 

- Il disvalore della condotta criminale, desunto dalla natura, dalla specie, dai mezzi, dall’oggetto, dal tempo, dal luogo e da ogni altra modalità dell’azione; 

- La gravità del danno criminale o del pericolo cagionato alla persona offesa; 

- l’intensità del dolo o il grado della colpa; senza alcun obbligo, invece, di prendere in considerazione specificamente anche gli indici della capacità a delinquere, i quali potranno essere valutati solo ai fini della commisurazione finale della pena.

(Al riguardo, si veda Cassazione penale, sez. IV, sentenza 08.06.2007 n. 22520).

Quindi, sulla base di quanto detto, una molteplicità indefinita di comportamenti possono ugualmente configurare il reato di violenza sessuale.

D’altro canto, nel nostro ordinamento, per “condotta” deve intendersi un qualunque atto in grado di realizzare l’evento previsto e punito dalla norma, perché l’unico elemento che richiede il nostro legislatore è che la condotta sia “idonea” a provocare l’evento. Per quanto riguarda il delitto di violenza sessuale, sono idonei tutti quegli atti in grado realizzare una violenza sulla vittima del reato. Rilevante a questo proposito è il sottolineare che l’evento del delitto non è il raggiungimento dell’orgasmo da parte dell’aggressore. Ciò che deve essere realizzato è unicamente l’atto violento.

Sotto il profilo oggettivo, assumono rilievo la violenza, la minaccia o l’abuso di autorità poste in essere per costringere la vittima al compimento di un atto sessuale non voluto.

La violenza consiste nell’esercizio di una qualsiasi forza fisica, anche se, come detto sopra, non necessariamente debba essere spinta al massimo della brutalità ed irresistibilità diretta a vincere la resistenza opposta della vittima.

La “violenza” richiesta per la integrazione del reato non è soltanto quella che pone il soggetto passivo nell’impossibilità di opporre tutta la resistenza voluta, tanto da realizzare un vero e proprio costringimento fisico, ma anche quella che si manifesta nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa, così venendosi a superare la contraria volontà del soggetto passivo (Cass. 23 maggio 2003, n. 22909).

La “minaccia”, a sua volta, consiste nel manifesto proposito di arrecare un danno alla vittima, ad altre persone o alle cose, al fine di coartare la volontà della vittima e farle accettare l’atto voluto di mira dall’agente.

L’“abuso di autorità” presuppone che il soggetto agente si avvalga di una posizione formale di superiorità o preminenza nei confronti di un altro soggetto. Nell’ambito dell’abuso di autorità rientrano tanto l’abuso di pubblica autorità (ad es. nei confronti di un soggetto detenuto o arrestato), tanto l’abuso di autorità privata (ad es. tra datore di lavoro e lavoratore oppure tra docente e allievo). Va sottolineato che l’attuale riferimento a qualsiasi abuso di autorità amplia la previsione prima limitata ai casi specificatamente previsti e disciplinati dall’abrogato art. 520 c.p. (congiunzione carnale commessa con abuso della qualifica di pubblico ufficiale).

Si pone anche il problema di stabilire se la relazione di dipendenza tra il soggetto agente e la vittima debba essere attuale (sussistente, cioè al momento dell’atto sessuale) o possa essere anche cessata, purché si protragga il timore riverenziale provocato dalla stessa relazione: se tuttavia si ha riguardo agli elementi che costituiscono la fattispecie oggetto di incriminazione, ed alla ratio della stessa che va individuata nel possibile timore riverenziale che può ingenerasi nella vittima, risulta chiaro che la relazione di dipendenza non attuale non assumerà alcun rilevo, soltanto se essa sia venuta meno anche di fatto, se cioè il soggetto agente non conserva alcun potere concreto sulla vittima. Inoltre, rileva non soltanto la relazione diretta (quella intercorrente tra il soggetto agente e la persona offesa) ma anche quella indiretta (sussistendo in tal caso, una ipotesi di concorso di persone nel reato, tra il soggetto che abusa della propria autorità ed il terzo che compie l’atto sessuale non voluto dalla vittima).

Sia la violenza, sia la minaccia, sia l’abuso di autorità devono essere tali da poter concretamente coartare la volontà della persona offesa.

La violenza o la minaccia devono essere poste in essere con connotati che ne esteriorizzano la serietà e la gravità per cui soltanto l’esame delle circostanze di tempo e di luogo del caso concreto, in relazione anche alla personalità del soggetto attivo e della vittima, potrà consentire di accertare se le minacce o violenze poste in essere dal soggetto agente risultino, o meno, idonee a coartare la volontà della vittima.

Dunque, la condotta tipica di violenza sessuale si realizza, ai sensi dell’art. 609 bis, qualora un soggetto con violenza o minaccia o attraverso l’abuso di autorità ne costringa un altro a compiere o a subire atti sessuali.

L’uso della locuzione “atti sessuali” è stata oggetto di molte disapprovazioni da parte degli operatori del diritto, dalle quali sono scaturiti diversi orientamenti interpretativi.

In particolare, la giurisprudenza di legittimità ha elaborato una nozione ampia di atto sessuale, che non riguardi esclusivamente la sfera genitale, ma altresì, le c.d. “zone erogene”. La Corte ha statuito che “nel concetto di atti sessuali di cui all’art. 609 bis c.p., bisogna far rientrare non solo gli atti che involgono la sfera genitale, bensì tutti quelli che riguardano le zone erogene su persona non consenziente; pertanto, tra gli atti suscettibili di integrare il delitto in oggetto, va ricompresso anche il mero sfioramento con le labbra sul viso altrui per dare un bacio, allorché l’atto, per la sua rapidità ed insidiosità, sia tale da sovrastare e superare la contraria volontà del soggetto passivo” (Cassazione penale, sez. III, sentenza 26.03.2007 n. 12425).

Partendo da tale assunto, è stato ritenuto che costituisca violenza sessuale: 

- la toccatina repentina ed insidiosa (Cassazione penale, sez. III, sentenza 12.06.2007 n. 22840); 

- una toccata fugace al seno di una donna in topless è violenza sessuale (Cassazione penale, sez. III, sentenza 22.05.2007 n. 19718); 

- infilare la mano nella maglietta ed iniziare ad “accarezzare la schiena spingendo la mano sotto l’ascella verso il seno, in contrasto con la volontà del soggetto passivo” (Cassazione penale, sez. III, sentenza 29.01.2008 n. 4538).

Invero, presupposto della sussistenza dei reati sessuali è il contrasto tra la volontà del carnefice è quello della vittima, la quale è lesa nel diritto ad autodeterminarsi liberamente nella sua sfera sessuale.

Proprio per tale ragione la giurisprudenza ha ritenuto che:

1) affinché sia configurabile il reato di violenza sessuale è necessario che:

- vi sia il fine di concupiscenza (sussistente anche se l’agente non ottiene il soddisfacimento sessuale);

- la condotta posta in essere dall’agente sia concretamente idonea a compromettere la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, nella sua sfera sessuale (Cassazione penale, sez. III, sentenza 22.05.2007 n. 19718);

2) per la sussistenza del reato di violenza sessuale, basta qualsiasi atto finalizzato ed idoneo a porre in pericolo il bene primario della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo al fine dell’eccitazione e/o del soddisfacimento dell’istinto sessuale dell’agente. L’illiceità della condotta deve essere, pertanto, valutata alla stregua del rispetto dovuto alla persona e nella stessa deve essere ravvisabile la costrizione minacciosa o autoritaria o, comunque, l’intimidazione psicologica nei confronti del soggetto passivo e della sua possibilità di scelta (Corte d’Appello Milano, sez. II, sentenza 24.04.2007).

Invero, anche il bacio è stato oggetto di attenzione, in quanto considerato penalmente rilevante ai fini dell’integrazione del reato di violenza sessuale. Al riguardo, è stato ritenuto che non si può distinguere, ai fini penali, in base alla “profondità” del bacio, “sino ad escludere la natura sessuale per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra, e riservare la nozione di atto sessuale soltanto ai baci che arrivano al contatto delle lingue. Entrambe le tipologie di baci, infatti, sono idonei a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo (a meno che si tratti di baci leggeri scambiati in quei particolari contesti non erotici che ne escludono la connotazione sessuale)”. In ogni caso, “il bacio sulla bocca assume valenza di violenza sessuale, se dato senza il consenso o con abuso della posizione di inferiorità del soggetto passivo, o il reato di atti sessuali con minorenne, se dato a soggetti infraquattordicenni oppure a soggetti infrasedicenni legati da un rapporto di subordinazione con il soggetto agente”.

Sotto il profilo della prova, il reato di violenza sessuale è più facilmente individuabile quando c’è stata violenza, perché l’atto sessuale violento è verificabile sia a seguito di controllo vaginale che grazie alla presenza di eventuali lividi sul corpo o residui di pelle sotto le unghie che stanno ad indicare reazione da parte della vittima dell’abuso. La medicina conferma che i fattori determinanti per l’identificazione di abusi sessuali si esauriscono nelle 24-36 ore a condizione che non siano intervenuti comportamenti che ne hanno eliminato le prove (es. pulizia igienica). Vi sono altre patologie (es. infezioni) che rimangono oltre l’arco di tempo menzionato, ma non è possibile determinare che lesioni riscontrate in tempi successivi siano riconducibili ad abusi.

Più complesso è individuare la violenza sessuale, qualora non ci siano prove di violenza conclamata (stupro), per cui è necessario rivolgersi a psicologi forensi che, in base al loro convincimento personale e professionale, dichiareranno la veridicità delle rispettive dichiarazioni. La prova principale scaturisce dalla testimonianza della vittima. Tuttavia, bisogna sottolineare che ogni testimonianza deve essere letta in un quadro più ampio, come una fonte per la ricostruzione storica dei fatti, ma non come unico elemento sul quale basare le indagini e in seguito l’esito del processo.