La mediazione familiare - che può essere sommariamente definita percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in crisi - trova il suo fondamento anche in fonti normative internazionali, a cominciare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, ratificata dall’Italia nel 1955, all’art. 8 disciplina il diritto al rispetto della vita privata e familiare che può essere considerato nel contempo principio ispiratore e limite dell’intervento mediativo. Principio perché la mediazione familiare, appianando la conflittualità tra le parti, nasce dalla necessità di ristabilire la reciprocità del rispetto della vita privata e familiare (giacché è bene rimarcare che una famiglia anche se in crisi o divisa rimane pur sempre famiglia). Limite perché l’operatore familiare (espressione da preferirsi a quella di mediatore familiare) non può violare la riservatezza delle informazioni che abbia acquisito.
Vi sono referenti normativi anche nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York nel 1979 e ratificata nel 1985. In essa si ripete la locuzione "interesse dei figli" negli articoli 5 lett. b e 16, e la mediazione familiare è uno strumento che mira a responsabilizzare i genitori su quale sia l’interesse dei figli e a coadiuvare il giudice nelle scelte in tal senso. Vi è un esplicito richiamo alla bigenitorialità nell’art. 5 lett. b e la mediazione familiare mira a recuperare proprio tale aspetto. Infine nell’art. 11 par. 2 lett. c si parla di servizi sociali per consentire la genitorialità e la mediazione familiare certamente assume questa dimensione, anzi l’essere accompagnamento della genitorialità verso la bigenitorialità nelle situazioni conflittuali tra coniugi (o partners) o tra genitori e figli è proprio il novum ed il proprium della mediazione rispetto ad altri tipi di intervento nella e per la famiglia.
L’art. 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1984 e ratificato nel 1990 recita «I coniugi godranno dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civilistico tra loro e nelle loro relazioni con i loro figli, in caso di matrimonio, durante il matrimonio e dopo la fine del matrimonio stesso. Questo articolo non impedirà allo Stato di adottare le misure necessarie per la tutela degli interessi dei figli». L’attività mediativa incarna sicuramente la ratio legis di questa disposizione tanto nella prima che nella seconda parte. Quanto stabilito, a livello europeo, nel suindicato art. 5 era stato già convenuto in due articoli (art. 23 par. 4 ed art. 24 par.1) del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York nel 1966 e ratificato nel 1977.
Anche se può sembrare una forzatura, si può individuare un altro indice normativo nella Carta di Ottawa per la promozione della salute (novembre 1986) nel cui paragrafo intitolato “Mediare” si legge : “Compito imprescindibile dei gruppi professionali e sociali e del personale sanitario è la mediazione dei diversi interessi presenti nella società ai fini della promozione della salute”. Parafrasando quanto suddetto, gli operatori familiari interagiscono per la promozione del benessere della e nella “società familiare”, che è la fucina della vita e della salute di ogni singola persona.
In realtà la mediazione familiare ha avuto pieno riconoscimento in una fonte che, però, non ha natura vincolante: si tratta della Raccomandazione R (98) 1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, adottata dal Comitato dei Ministri il 21 gennaio 1998 al 616° incontro dei Delegati dei Ministri “visto il numero crescente di dispute familiari, specialmente quelle derivanti da separazioni o divorzi, e rimarcando le conseguenze pregiudizievoli del conflitto per le famiglie e l’elevato costo per gli Stati in termini sociali ed economici”.
Preso atto che la mediazione familiare è un intervento a tutela dei diritti dei minori e nell’interesse dei minori, ancora più stretto appare il collegamento tra essa e le fonti normative dei diritti dei minori a cominciare dalla Dichiarazione dei diritti del bambino adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959, in cui si stabilisce la superiorità dell’interesse del bambino in ogni attività degli adulti che lo riguardi. Il contenuto della Dichiarazione è stato meglio esplicitato trent’anni dopo nella Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York nel 1989 e ratificata nel 1991. Il principio-guida che emerge con forza dalla Convenzione si identifica nell’ esigenza che l’interesse del minore prevalga su ogni altro interesse in eventuale conflitto, e nel preservare la personalità del soggetto in età evolutiva da ogni forma di manipolazione che provenga non solo dalla famiglia, ma anche da chiunque, per una qualsiasi ragione, entri in contatto con il minore. La funzione mediativa si conforma a questa mens legis ed in particolare all’art. 8 in cui si stabilisce il diritto del fanciullo alle relazioni familiari e all’art. 9 in cui si sancisce il diritto del fanciullo alla continuità genitoriale. La Convenzione riconosce, inoltre, il diritto del minore ad essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari o amministrativi che lo coinvolgono, direttamente o per mezzo di un rappresentante o di un’apposita istituzione, in accordo con le procedure della legislazione nazionale (art. 12); precisa altresì, nell’art. 18, le comuni responsabilità dei genitori e la necessità di instaurare servizi sociali efficienti e tempestivi a tal uopo. Non ultimo, la mediazione familiare si allinea agli enunciati del Preambolo della Convenzione in cui si legge “[…]Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’ assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità. Riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione[…]”. Sostenere (e non sostituire, come potrebbero essere, invece, altri interventi ex auctoritate) i genitori verso la consapevolezza o la riappropriazione delle responsabilità è uno dei compiti nevralgici degli operatori familiari (nel gergo psicologico questo processo di autoresponsabilizzazione e di autogestione va sotto il nome di self-empowerment).
Un’altra fonte di riferimento è la Convenzione sull’esercizio dei diritti da parte dei minori del 1995, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 ed entrata in vigore il 1° luglio 2000 (ratificata con legge 20 marzo 2003 n.77), la quale si fonda sul principio che il fanciullo, in quanto titolare di diritti, deve avere anche la possibilità di esercitarli effettivamente, in particolare nelle procedure giudiziarie, amministrative e familiari, in cui, suo malgrado, viene coinvolto. A tale scopo, quest’ultima Convenzione riconosce nuovamente al minore il diritto all’ascolto nei procedimenti che lo riguardano e pone espressamente le basi per la mediazione nel Preambolo e nell’art. 13.
I diritti e i principi sinora esposti, richiamati a livello comunitario nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 e specificatamente per quanto concerne i diritti del bambino nell’art. 24, sono stati poi riconfermati nell’art.84 rubricato “Diritti del minore” della Costituzione Europea del 29 ottobre 2004 .
Alla luce di quanto suesposto si rileva che la mediazione familiare, prima di trovare riconoscimento nei singoli diritti interni, affonda le sue remote radici nel diritto internazionale proprio perché questo nasce dalla e per la mediazione dei popoli tanto che nel diritto romano era denominato ius gentium (e guarda caso uno dei significati di gens era quello di stirpe e cioè la famiglia più ampia).
La mediazione tout court, seppure in maniera larvata risale agli antichi popoli, basti pensare all’apoftegma aristotelico “in medio est virtus”, per cui qualcuno parla di mediazione mediterranea (anche per le caratteristiche del Mediterraneo, crocevia e ricettacolo di popoli e culture diversi). Facendo tesoro di ciò, in un clima di crescente conflittualità nelle famiglie e nella più grande famiglia umana è auspicabile che si recuperi questa atavica cultura della mediazione (e che l’Italia legiferi in materia di mediazione familiare recuperando il ritardo rispetto ad altri Stati d’Europa).
La mediazione familiare - che può essere sommariamente definita percorso per la riorganizzazione delle relazioni familiari in crisi - trova il suo fondamento anche in fonti normative internazionali, a cominciare dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
La Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950, ratificata dall’Italia nel 1955, all’art. 8 disciplina il diritto al rispetto della vita privata e familiare che può essere considerato nel contempo principio ispiratore e limite dell’intervento mediativo. Principio perché la mediazione familiare, appianando la conflittualità tra le parti, nasce dalla necessità di ristabilire la reciprocità del rispetto della vita privata e familiare (giacché è bene rimarcare che una famiglia anche se in crisi o divisa rimane pur sempre famiglia). Limite perché l’operatore familiare (espressione da preferirsi a quella di mediatore familiare) non può violare la riservatezza delle informazioni che abbia acquisito.
Vi sono referenti normativi anche nella Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, adottata a New York nel 1979 e ratificata nel 1985. In essa si ripete la locuzione "interesse dei figli" negli articoli 5 lett. b e 16, e la mediazione familiare è uno strumento che mira a responsabilizzare i genitori su quale sia l’interesse dei figli e a coadiuvare il giudice nelle scelte in tal senso. Vi è un esplicito richiamo alla bigenitorialità nell’art. 5 lett. b e la mediazione familiare mira a recuperare proprio tale aspetto. Infine nell’art. 11 par. 2 lett. c si parla di servizi sociali per consentire la genitorialità e la mediazione familiare certamente assume questa dimensione, anzi l’essere accompagnamento della genitorialità verso la bigenitorialità nelle situazioni conflittuali tra coniugi (o partners) o tra genitori e figli è proprio il novum ed il proprium della mediazione rispetto ad altri tipi di intervento nella e per la famiglia.
L’art. 5 del Protocollo n. 7 alla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1984 e ratificato nel 1990 recita «I coniugi godranno dell’uguaglianza di diritti e di responsabilità di carattere civilistico tra loro e nelle loro relazioni con i loro figli, in caso di matrimonio, durante il matrimonio e dopo la fine del matrimonio stesso. Questo articolo non impedirà allo Stato di adottare le misure necessarie per la tutela degli interessi dei figli». L’attività mediativa incarna sicuramente la ratio legis di questa disposizione tanto nella prima che nella seconda parte. Quanto stabilito, a livello europeo, nel suindicato art. 5 era stato già convenuto in due articoli (art. 23 par. 4 ed art. 24 par.1) del Patto internazionale sui diritti civili e politici adottato a New York nel 1966 e ratificato nel 1977.
Anche se può sembrare una forzatura, si può individuare un altro indice normativo nella Carta di Ottawa per la promozione della salute (novembre 1986) nel cui paragrafo intitolato “Mediare” si legge : “Compito imprescindibile dei gruppi professionali e sociali e del personale sanitario è la mediazione dei diversi interessi presenti nella società ai fini della promozione della salute”. Parafrasando quanto suddetto, gli operatori familiari interagiscono per la promozione del benessere della e nella “società familiare”, che è la fucina della vita e della salute di ogni singola persona.
In realtà la mediazione familiare ha avuto pieno riconoscimento in una fonte che, però, non ha natura vincolante: si tratta della Raccomandazione R (98) 1 del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, adottata dal Comitato dei Ministri il 21 gennaio 1998 al 616° incontro dei Delegati dei Ministri “visto il numero crescente di dispute familiari, specialmente quelle derivanti da separazioni o divorzi, e rimarcando le conseguenze pregiudizievoli del conflitto per le famiglie e l’elevato costo per gli Stati in termini sociali ed economici”.
Preso atto che la mediazione familiare è un intervento a tutela dei diritti dei minori e nell’interesse dei minori, ancora più stretto appare il collegamento tra essa e le fonti normative dei diritti dei minori a cominciare dalla Dichiarazione dei diritti del bambino adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1959, in cui si stabilisce la superiorità dell’interesse del bambino in ogni attività degli adulti che lo riguardi. Il contenuto della Dichiarazione è stato meglio esplicitato trent’anni dopo nella Convenzione sui diritti del fanciullo adottata a New York nel 1989 e ratificata nel 1991. Il principio-guida che emerge con forza dalla Convenzione si identifica nell’ esigenza che l’interesse del minore prevalga su ogni altro interesse in eventuale conflitto, e nel preservare la personalità del soggetto in età evolutiva da ogni forma di manipolazione che provenga non solo dalla famiglia, ma anche da chiunque, per una qualsiasi ragione, entri in contatto con il minore. La funzione mediativa si conforma a questa mens legis ed in particolare all’art. 8 in cui si stabilisce il diritto del fanciullo alle relazioni familiari e all’art. 9 in cui si sancisce il diritto del fanciullo alla continuità genitoriale. La Convenzione riconosce, inoltre, il diritto del minore ad essere ascoltato in tutti i procedimenti giudiziari o amministrativi che lo coinvolgono, direttamente o per mezzo di un rappresentante o di un’apposita istituzione, in accordo con le procedure della legislazione nazionale (art. 12); precisa altresì, nell’art. 18, le comuni responsabilità dei genitori e la necessità di instaurare servizi sociali efficienti e tempestivi a tal uopo. Non ultimo, la mediazione familiare si allinea agli enunciati del Preambolo della Convenzione in cui si legge “[…]Convinti che la famiglia, quale nucleo fondamentale della società e quale ambiente naturale per la crescita ed il benessere di tutti i suoi membri ed in particolare dei fanciulli debba ricevere l’ assistenza e la protezione necessarie per assumere pienamente le sue responsabilità all’interno della comunità. Riconosciuto che il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione[…]”. Sostenere (e non sostituire, come potrebbero essere, invece, altri interventi ex auctoritate) i genitori verso la consapevolezza o la riappropriazione delle responsabilità è uno dei compiti nevralgici degli operatori familiari (nel gergo psicologico questo processo di autoresponsabilizzazione e di autogestione va sotto il nome di self-empowerment).
Un’altra fonte di riferimento è la Convenzione sull’esercizio dei diritti da parte dei minori del 1995, adottata a Strasburgo il 25 gennaio 1996 ed entrata in vigore il 1° luglio 2000 (ratificata con legge 20 marzo 2003 n.77), la quale si fonda sul principio che il fanciullo, in quanto titolare di diritti, deve avere anche la possibilità di esercitarli effettivamente, in particolare nelle procedure giudiziarie, amministrative e familiari, in cui, suo malgrado, viene coinvolto. A tale scopo, quest’ultima Convenzione riconosce nuovamente al minore il diritto all’ascolto nei procedimenti che lo riguardano e pone espressamente le basi per la mediazione nel Preambolo e nell’art. 13.
I diritti e i principi sinora esposti, richiamati a livello comunitario nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea del 2000 e specificatamente per quanto concerne i diritti del bambino nell’art. 24, sono stati poi riconfermati nell’art.84 rubricato “Diritti del minore” della Costituzione Europea del 29 ottobre 2004 .
Alla luce di quanto suesposto si rileva che la mediazione familiare, prima di trovare riconoscimento nei singoli diritti interni, affonda le sue remote radici nel diritto internazionale proprio perché questo nasce dalla e per la mediazione dei popoli tanto che nel diritto romano era denominato ius gentium (e guarda caso uno dei significati di gens era quello di stirpe e cioè la famiglia più ampia).
La mediazione tout court, seppure in maniera larvata risale agli antichi popoli, basti pensare all’apoftegma aristotelico “in medio est virtus”, per cui qualcuno parla di mediazione mediterranea (anche per le caratteristiche del Mediterraneo, crocevia e ricettacolo di popoli e culture diversi). Facendo tesoro di ciò, in un clima di crescente conflittualità nelle famiglie e nella più grande famiglia umana è auspicabile che si recuperi questa atavica cultura della mediazione (e che l’Italia legiferi in materia di mediazione familiare recuperando il ritardo rispetto ad altri Stati d’Europa).