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La riforma del caporalato nel Decreto Legislativo n. 231/2001: le imprese utilizzatrici chiamate all’aggiornamento del proprio Modello organizzativo

alba a Sirolo
Ph. Luca Martini / alba a Sirolo

Con la legge 29 ottobre 2016, n. 199, il Legislatore riformula la fattispecie di cui all’articolo 603-bis, codice penale, e la inserisce nell’ambito dei reati presupposto della responsabilità amministrativa delle società e degli enti.

Il provvedimento in questione amplia la sfera di punibilità del riformato delitto, estendendo all’utilizzatore della manodopera le sanzioni originariamente previste a carico del solo caporale. Alle imprese, adesso, si demanda il compito di prevenirne la realizzazione, attraverso l’implementazione di efficaci presidi preventivi.

1. L’inadeguatezza della disciplina del 2011

La riforma in commento giunge all’esito di una riflessione sulle lacune degli strumenti normativi previgenti. Da qualche tempo, infatti, dottrina ed operatori pratici avevano evidenziato taluni limiti strutturali della fattispecie - introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento con la legge 14 settembre 2011, n. 148 - ritenuta tecnicamente inidonea a colmare il vuoto di tutela per cui era stata originariamente concepita. Tra questi, anzitutto, la poco lungimirante identificazione del soggetto attivo del reato nel solo caporale, ovvero nel promotore dell’attività organizzata di interposizione illecita nel mercato del lavoro.

Esigenze di carattere preventivo hanno condotto, quindi, a ridisegnare la fisionomia della norma, per porre un limite risoluto al dilagante fenomeno di sfruttamento del lavoro che sembrerebbe coinvolgere circa 400.000 lavoratori in Italia, tra cittadini italiani e stranieri, secondo le stime dei sindacati e delle associazioni di volontariato.

2. La riforma dell’articolo 603-bis, codice penale

Significativa, in tal senso, è anzitutto l’estensione della punibilità a chi «utilizza, assume o impiega manodopera» sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Tale condotta si aggiunge, quindi, al comportamento tipico del reclutatore di manodopera, ampliando la sfera di operatività dell’incriminazione. Si elimina invece il riferimento ai requisiti obiettivi dello stato di necessità del lavoratore ed alla violenza, minaccia o intimidazione da esercitarsi verso quest’ultimo, che avevano imbrigliato il delitto in commento in maglie troppo strette per consentirne la puntuale applicazione.

Di sicuro interesse anche la ridefinizione degli indici di sfruttamento di cui al secondo comma del 603-bis, che, come rilevato, sembrano adempiere ad una funzione di orientamento probatorio per il giudice che si trovi a valutare in concreto la sussistenza del reato. Tra questi, la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi nazionali o dalla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo e alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

3. Il caporalato tra i delitti contro la personalità individuale

La nuova cornice normativa spicca, inoltre, per l’inserimento dell’intermediazione illecita nel novero dei reati presupposto della responsabilità delle società e degli enti ed, in particolare, nell’articolo 25-quinquies del Decreto Legislativo 231/2001, ovvero tra i delitti contro la personalità individuale.

Come per le fattispecie di prostituzione e pornografia minorile e per i reati connessi alla riduzione ed al mantenimento in schiavitù, la società nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il delitto di caporalato è soggetta all’irrogazione delle più gravi sanzioni comminate dal Decreto 231: la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote, tutte le sanzioni interdittive disposte dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno ed, infine, l’interdizione definitiva dall’attività, se si accerti che l’ente sia stato utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del reato.

In effetti, la collocazione sistematica del caporalato tra i delitti contro la personalità individuale appare appropriata, sia per il bene giuridico tutelato dalla norma, sia per gli elementi di contiguità tra le fattispecie richiamate, tra le quali, in particolare, “Riduzione o mantenimento in schiavitù”, articolo 600, codice penale, “Tratta di persone”, articolo 601, codice penale, “Acquisto e alienazione di schiavi”, articolo 602, codice penale. E, a ben vedere, le relazioni con altre ipotesi di reato già inserite nel catalogo della 231, non si esauriscono a queste.

4. Il caporalato come fenomeno criminale e le relazioni con gli altri reati previsti nella 231

Anzitutto si dica, infatti, che la previsione della clausola di sussidiarietà espressa nel primo comma dell’articolo 603-bis «salvo che il fatto costituisca più grave reato», ci consente di affermare l’assorbimento di tale fattispecie nei tre reati sopra citati - più gravemente puniti - qualora gli stessi si traducano nello sfruttamento di prestazioni lavorative, dando luogo, pertanto, ad un concorso apparente di norme. Rispetto ad altre ipotesi di delitti 231 emerge, invece, una chiara possibilità di concorso materiale o formale, nella medesima vicenda criminale, con il reato di caporalato. Si pensi, ad esempio, al delitto di “Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” (articolo 25-duodecies), che potrebbe concorrere nell’ipotesi in cui l’impresa utilizzatrice occupasse alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento di cui al 603-bis, ovvero al contestuale concorso del reato di “Omicidio colposo” o “lesioni colpose gravi o gravissime” (articolo 25-septies), qualora si determinasse anche un evento lesivo, oppure la morte del lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno, impiegato dall’impresa utilizzatrice in condizioni di sfruttamento. Inoltre, nel quadro criminogeno così dipinto, tutt’altro che inverosimile, il caporalato ben potrebbe configurarsi come uno tra i reati-scopo dei “delitti di criminalità organizzata” di cui all’articolo 24-ter, Decreto Legislativo n. 231/2001, commessi anche con i caratteri della transnazionalità, tra cui, “Associazione per delinquere” ed “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.

Si comprende, pertanto, la complessità dello scenario che le società sono chiamate adesso a fronteggiare per prevenire il verificarsi della riformata fattispecie.

5. Processi ed attività a rischio ai fini dell’aggiornamento del MOGC

Questo perché, a prescindere dal settore industriale di operatività, il rischio di realizzazione del reato è correlabile trasversalmente a qualsiasi ente che impieghi lavoratori in condizioni di sfruttamento, ovvero conferisca in appalto servizi ad altre imprese fornitrici, senza avere attuato le cautele necessarie, e, quindi, concorrendo nell’eventuale reato posto in essere dalle stesse.

Se è vero, infatti, che il processo più esposto alle necessità di adeguamento risulta quello relativo alla gestione delle risorse umane – ed, in particolare, l’attività di selezione ed assunzione del personale - è altresì vero che questo non sia il solo a presentare esigenze di tal tipo. Ed il riferimento, anzitutto, va al processo di approvvigionamento, nell’ambito del quale ancor più attenzione dovrà essere prestata alla qualifica dei fornitori o partners commerciali, in modo da assicurare il rispetto da parte di questi delle normative vigenti in materia di salute e sicurezza ed in materia di diritto sindacale, oltre agli adempimenti a favore dei lavoratori prescritti dalle principali fonti di contrattazione collettiva, prevedendo, in caso di eventuali violazioni, la risoluzione espressa del contratto stipulato.

In questo senso, alle imprese potrebbe anche suggerirsi la previsione di clausole di auditing nell’ambito degli accordi commerciali con i propri fornitori, per verificare direttamente, a mezzo di visite ispettive, l’ottemperanza alle normative richiamate, ovvero esigere la trasmissione di tutta la documentazione che possa risultare utile a tal scopo. È opportuno, infine, ricordare la relazione intercorrente tra gli indici di sfruttamento previsti nella fattispecie di nuovo conio e la corretta gestione del processo relativo alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dal momento che l’integrazione del reato di caporalato potrebbe derivare anche dalla consapevole violazione delle norme vigenti in tale ambito, a prescindere dal verificarsi di un evento lesivo a danno del lavoratore. Da ciò, peraltro, probabilmente non sarebbe improprio desumere un arretramento della soglia di tutela penale rivolta verso i beni giuridici della vita e della incolumità individuale, già tutelati nella 231 a mezzo dei delitti colposi di omicidio e lesioni gravi e gravissime, in ragione dell’inserimento del caporalato tra i reati presupposto della responsabilità degli enti.

 

 

L’aggiornamento del MOGC al delitto di caporalato: elementi da considerare

 

Principali processi a rischio

 

 

Possibili ipotesi di concorso con altri reati 231

 

  • Risorse Umane

 

  • Approvvigionamento

 

  • Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro →a rischio indiretto per il tramite degli indici di sfruttamento

 

 

  • Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

 

  • Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro

 

  • Delitti di criminalità organizzata, compiuti anche con i caratteri della transnazionalità

 

  • Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (600 c.p.); Tratta di persone (601 c.p.); Acquisto e alienazione di schiavi (602 c.p.) →concorso apparente di norme con assorbimento del caporalato, nei casi in cui tali delitti comportino lo sfruttamento di prestazioni lavorative

 

Con la legge 29 ottobre 2016, n. 199, il Legislatore riformula la fattispecie di cui all’articolo 603-bis, codice penale, e la inserisce nell’ambito dei reati presupposto della responsabilità amministrativa delle società e degli enti.

Il provvedimento in questione amplia la sfera di punibilità del riformato delitto, estendendo all’utilizzatore della manodopera le sanzioni originariamente previste a carico del solo caporale. Alle imprese, adesso, si demanda il compito di prevenirne la realizzazione, attraverso l’implementazione di efficaci presidi preventivi.

1. L’inadeguatezza della disciplina del 2011

La riforma in commento giunge all’esito di una riflessione sulle lacune degli strumenti normativi previgenti. Da qualche tempo, infatti, dottrina ed operatori pratici avevano evidenziato taluni limiti strutturali della fattispecie - introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento con la legge 14 settembre 2011, n. 148 - ritenuta tecnicamente inidonea a colmare il vuoto di tutela per cui era stata originariamente concepita. Tra questi, anzitutto, la poco lungimirante identificazione del soggetto attivo del reato nel solo caporale, ovvero nel promotore dell’attività organizzata di interposizione illecita nel mercato del lavoro.

Esigenze di carattere preventivo hanno condotto, quindi, a ridisegnare la fisionomia della norma, per porre un limite risoluto al dilagante fenomeno di sfruttamento del lavoro che sembrerebbe coinvolgere circa 400.000 lavoratori in Italia, tra cittadini italiani e stranieri, secondo le stime dei sindacati e delle associazioni di volontariato.

2. La riforma dell’articolo 603-bis, codice penale

Significativa, in tal senso, è anzitutto l’estensione della punibilità a chi «utilizza, assume o impiega manodopera» sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Tale condotta si aggiunge, quindi, al comportamento tipico del reclutatore di manodopera, ampliando la sfera di operatività dell’incriminazione. Si elimina invece il riferimento ai requisiti obiettivi dello stato di necessità del lavoratore ed alla violenza, minaccia o intimidazione da esercitarsi verso quest’ultimo, che avevano imbrigliato il delitto in commento in maglie troppo strette per consentirne la puntuale applicazione.

Di sicuro interesse anche la ridefinizione degli indici di sfruttamento di cui al secondo comma del 603-bis, che, come rilevato, sembrano adempiere ad una funzione di orientamento probatorio per il giudice che si trovi a valutare in concreto la sussistenza del reato. Tra questi, la reiterata corresponsione di retribuzioni palesemente difformi dai contratti collettivi nazionali o dalla quantità e qualità del lavoro prestato; la reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo e alle ferie; la sussistenza di violazioni delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro; la sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti.

3. Il caporalato tra i delitti contro la personalità individuale

La nuova cornice normativa spicca, inoltre, per l’inserimento dell’intermediazione illecita nel novero dei reati presupposto della responsabilità delle società e degli enti ed, in particolare, nell’articolo 25-quinquies del Decreto Legislativo 231/2001, ovvero tra i delitti contro la personalità individuale.

Come per le fattispecie di prostituzione e pornografia minorile e per i reati connessi alla riduzione ed al mantenimento in schiavitù, la società nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il delitto di caporalato è soggetta all’irrogazione delle più gravi sanzioni comminate dal Decreto 231: la sanzione pecuniaria da quattrocento a mille quote, tutte le sanzioni interdittive disposte dall’articolo 9, comma 2, per una durata non inferiore ad un anno ed, infine, l’interdizione definitiva dall’attività, se si accerti che l’ente sia stato utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione del reato.

In effetti, la collocazione sistematica del caporalato tra i delitti contro la personalità individuale appare appropriata, sia per il bene giuridico tutelato dalla norma, sia per gli elementi di contiguità tra le fattispecie richiamate, tra le quali, in particolare, “Riduzione o mantenimento in schiavitù”, articolo 600, codice penale, “Tratta di persone”, articolo 601, codice penale, “Acquisto e alienazione di schiavi”, articolo 602, codice penale. E, a ben vedere, le relazioni con altre ipotesi di reato già inserite nel catalogo della legge 231, non si esauriscono a queste.

4. Il caporalato come fenomeno criminale e le relazioni con gli altri reati previsti nella 231

Anzitutto si dica, infatti, che la previsione della clausola di sussidiarietà espressa nel primo comma dell’articolo 603-bis «salvo che il fatto costituisca più grave reato», ci consente di affermare l’assorbimento di tale fattispecie nei tre reati sopra citati - più gravemente puniti - qualora gli stessi si traducano nello sfruttamento di prestazioni lavorative, dando luogo, pertanto, ad un concorso apparente di norme. Rispetto ad altre ipotesi di delitti 231 emerge, invece, una chiara possibilità di concorso materiale o formale, nella medesima vicenda criminale, con il reato di caporalato. Si pensi, ad esempio, al delitto di “Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare” (articolo 25-duodecies), che potrebbe concorrere nell’ipotesi in cui l’impresa utilizzatrice occupasse alle proprie dipendenze lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno, sottoponendoli alle condizioni di sfruttamento di cui al 603-bis, ovvero al contestuale concorso del reato di “Omicidio colposo” o “lesioni colpose gravi o gravissime” (articolo 25-septies), qualora si determinasse anche un evento lesivo, oppure la morte del lavoratore straniero privo di permesso di soggiorno, impiegato dall’impresa utilizzatrice in condizioni di sfruttamento. Inoltre, nel quadro criminogeno così dipinto, tutt’altro che inverosimile, il caporalato ben potrebbe configurarsi come uno tra i reati-scopo dei “delitti di criminalità organizzata” di cui all’articolo 24-ter, Decreto Legislativo n. 231/2001, commessi anche con i caratteri della transnazionalità, tra cui, “Associazione per delinquere” ed “Associazioni di tipo mafioso anche straniere”.

Si comprende, pertanto, la complessità dello scenario che le società sono chiamate adesso a fronteggiare per prevenire il verificarsi della riformata fattispecie.

5. Processi ed attività a rischio ai fini dell’aggiornamento del MOGC

Questo perché, a prescindere dal settore industriale di operatività, il rischio di realizzazione del reato è correlabile trasversalmente a qualsiasi ente che impieghi lavoratori in condizioni di sfruttamento, ovvero conferisca in appalto servizi ad altre imprese fornitrici, senza avere attuato le cautele necessarie, e, quindi, concorrendo nell’eventuale reato posto in essere dalle stesse.

Se è vero, infatti, che il processo più esposto alle necessità di adeguamento risulta quello relativo alla gestione delle risorse umane – ed, in particolare, l’attività di selezione ed assunzione del personale - è altresì vero che questo non sia il solo a presentare esigenze di tal tipo. Ed il riferimento, anzitutto, va al processo di approvvigionamento, nell’ambito del quale ancor più attenzione dovrà essere prestata alla qualifica dei fornitori o partners commerciali, in modo da assicurare il rispetto da parte di questi delle normative vigenti in materia di salute e sicurezza ed in materia di diritto sindacale, oltre agli adempimenti a favore dei lavoratori prescritti dalle principali fonti di contrattazione collettiva, prevedendo, in caso di eventuali violazioni, la risoluzione espressa del contratto stipulato.

In questo senso, alle imprese potrebbe anche suggerirsi la previsione di clausole di auditing nell’ambito degli accordi commerciali con i propri fornitori, per verificare direttamente, a mezzo di visite ispettive, l’ottemperanza alle normative richiamate, ovvero esigere la trasmissione di tutta la documentazione che possa risultare utile a tal scopo. È opportuno, infine, ricordare la relazione intercorrente tra gli indici di sfruttamento previsti nella fattispecie di nuovo conio e la corretta gestione del processo relativo alla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, dal momento che l’integrazione del reato di caporalato potrebbe derivare anche dalla consapevole violazione delle norme vigenti in tale ambito, a prescindere dal verificarsi di un evento lesivo a danno del lavoratore. Da ciò, peraltro, probabilmente non sarebbe improprio desumere un arretramento della soglia di tutela penale rivolta verso i beni giuridici della vita e della incolumità individuale, già tutelati nella 231 a mezzo dei delitti colposi di omicidio e lesioni gravi e gravissime, in ragione dell’inserimento del caporalato tra i reati presupposto della responsabilità degli enti.

 

 

L’aggiornamento del MOGC al delitto di caporalato: elementi da considerare

 

Principali processi a rischio

 

 

Possibili ipotesi di concorso con altri reati 231

 

  • Risorse Umane

 

  • Approvvigionamento

 

  • Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro →a rischio indiretto per il tramite degli indici di sfruttamento

 

 

  • Impiego di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare

 

  • Omicidio colposo o lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro

 

  • Delitti di criminalità organizzata, compiuti anche con i caratteri della transnazionalità

 

  • Riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù (600 c.p.); Tratta di persone (601 c.p.); Acquisto e alienazione di schiavi (602 c.p.) →concorso apparente di norme con assorbimento del caporalato, nei casi in cui tali delitti comportino lo sfruttamento di prestazioni lavorative