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L’ars educandi

Ballerine, Edgar Degas (1884-1885), museo d'Orsay, Parigi
Ballerine, Edgar Degas (1884-1885), museo d'Orsay, Parigi

Nel XXI secolo si parla di “emergenza educativa”, “crisi educativa”, “disagio educativo”, ma cos’è o cosa deve o può essere l’educazione oggi?

“I giusti, i grandi di ogni tempo, hanno il dovere di perpetuare la stirpe e i valori, trasmettendo ai figli gli ideali che li hanno resi giusti e grandi” (da “La selva oscura” dello scrittore Francesco Fioretti).

L’educazione è relazione e tradizione.

Una delle parole ripetute nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia è “spirito”, quel soffio, quell’energia, quell’anelito che unisce le generazioni, che aleggia nella vita e che, purtroppo, spesso manca in quegli adulti che dovrebbero essere responsabili dei più piccoli, quali genitori e educatori.

Educare è essere testimoni del passato, passare il testimone del presente, è una relazione generativa e rigenerante tra generazioni, di generazione in generazione, di emozione in emozione, che contribuisce anche alla sostenibilità e all’equità intragenerazionale e intergenerazionale, è una forma di solidarietà doverosa ai sensi dell’art. 2 della Costituzione. “Un vuoto che va riempito: non di cose, ma di persone, di senso, di relazioni, di speranze e di ideali più grandi di una semplice vacanza, di un oggetto o di denaro facile. […] La speranza ci insegna a guardare avanti, a continuare a cercare e a credere che un cambiamento è possibile. A patto, però, che anziché preoccuparci tanto delle cose dei nostri ragazzi, ci si occupi di più del loro «dove» sono, del senso e dei valori da costruire con loro e da testimoniare (non solo «trasmettere»)” (don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele). Testimoniare è “affermare qualcosa per diretta conoscenza” e i bambini ed i ragazzi hanno bisogno di testimoni di vita vissuta, così si riesce ad “inculcare” in loro quello che veramente vale, come previsto negli obiettivi dell’educazione secondo l’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia (lettere b, c ed e).

“Il fanciullo ha diritto alla libertà di espressione. Questo diritto comprende la libertà di ricercare, ricevere e diffondere informazioni e idee di ogni genere, a prescindere dalle frontiere, sia verbalmente che per iscritto o a mezzo stampa o in forma artistica o mediante qualsiasi altro mezzo scelto dal fanciullo” (dall’art. 13 par. 1 Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia). Ricercare, ricevere: cominciano con il prefisso “ri”, che indica un ritorno ad una fase anteriore, una ripetizione di un’azione, ovvero feedback, una circolazione, che è quello che avviene in ogni relazione: così l’educazione favorisce la libertà di espressione ed è essa stessa libertà di espressione, essere ed esserci. Perché l’esprimersi presuppone un “io” che si rivolge ad un altro “io”, come nell’arte, ovvero nell’arte della vita.

“Dillo a parole tue! Se gli occhi potessero parlare, cosa direbbero?” (Max a Liesel, la bambina protagonista del film “Storia di una ladra di libri”). La libera espressione (da “premere per far uscire”) può cominciare dall’educazione dello sguardo, dall’educazione allo sguardo.

Un’altra indicazione pedagogica la si ricava dall’art. 14 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: il diritto e il dovere di guidare i fanciulli. Questa era, è e sarà l’essenza dell’educazione senza bisogno di alcuna qualificazione (alla legalità, alla convivenza, ecc.). L’educazione è diventata un’emergenza non per gli educandi, ma per la fuga degli educatori e in particolare la resa incondizionata dei genitori che devono essere “genitori”, generare, non solo nel concepimento della vita ma anche nella concezione della vita.

Una delle competenze auspicabili per gli educatori è l’empatia, ma è necessario prima saper ri-conoscersi e sincronizzarsi con se stessi, come si legge nelle parole del bioeticista Paolo Marino Cattorini: “Esercitiamo empatia con soggetti morali sconosciuti o addirittura prima disprezzati. […] Ebbene, questa scoperta rimbalza su di noi: impariamo a perdonarci ciò che non potevamo controllare e prendiamo il coraggio di criticare le nostre velenose omissioni, l’apatia, il silenzio complice”. Per sane relazioni è necessario educare all’empatia, empatizzare l’educazione. L’educazione (e pure l’istruzione) è efficace se si entra nel cuore dell’educando e si prende a cuore l’educando.

Un’altra competenza educativa di cui si parla anche a sproposito è l’autorevolezza. “L’autorevolezza del genitore non va mai confusa con l’autorità. La persona autorevole è capace di accogliere l’altro, di mettersi in discussione senza però perdere di vista il proprio ruolo conferitogli dall’età e dall’esperienza; l’autorevolezza si testimonia nell’incontro e mai nello scontro” (Elisa Mazzola, psicologa e psicoterapeuta). Brandendo sempre e solo l’autorevolezza e bandendo l’autorità si è esautorata la figura genitoriale. Bisognerebbe, invece, recuperare l’autorità genitoriale come espressione massima di adultità per inculcare il rispetto nei confronti di ogni autorità e in generale dell’altro da sé. Rispettare l’altro è rispecchiarsi nell’altro ed è uno degli obiettivi dell’educazione come si ricava, tra l’altro, dall’art. 29 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Lo psicologo e psicoterapeuta Fulvio Scaparro scrive: “Perché un’ora sia diversa dall’altra, perché i giorni non si assomiglino tutti, perché la festa sia una festa, il lutto un lutto, la regola una regola e la trasgressione una trasgressione, la nostra esistenza deve avere un ritmo, dei riti e dei rituali. Solo con l’esempio riusciremo a trasmettere ai nostri figli che ordine e disciplina, quando non sono concetti plumbei, inspiegabili e imposti in forma autoritaria, possono diventare, invece, la nostra forza in ogni circostanza, anche quella più avversa. Partendo anche dal dare una mano alla mamma nel tenere pulita e in ordine la nostra stanza”. Come confermato anche dallo psichiatra Daniel Siegel e dalla consulente genitoriale Tina Payne Bryson: “Non deve punire, ma mira a insegnare. La disciplina è uno dei doni più grandi che un genitore può fare al proprio figlio. Perché aiuta a crescere e a diventare persone migliori” (in “La sfida della disciplina”). Etimologicamente “disciplina” ha la stessa origine di “discepolo”: c’è chi insegna e chi impara. Il bambino deve essere messo alla scuola della vita perché sappia imparare continuamente. È quanto si ricava anche dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, in cui si usa il verbo “preparare” ripetuto, poi, nella lettera d dell’art. 29 relativo all’educazione. “Solo con una disciplina sempre vigile è possibile educare correttamente il proprio pensiero, che è comunque ciò che abbiamo di più prezioso. Che dovremmo avere di più prezioso. Ma la gente vuole aumentare la propria memoria, le conoscenze e le parole, e non coltivare l’intelligenza. Cerca di ragionare correttamente, non di pensare correttamente. Confonde” (Antoine de Saint-Exupéry in “Lettere di giovinezza all’amica inventata”).

È vietato il lavoro minorile, ma è sempre più necessaria l’educazione al lavoro, a ri-cominciare dagli adulti, in primo luogo i genitori (e non sempre e solo la scuola). Il mestiere (etimologicamente da “servo”, come l’etimo di “famiglia”) dei genitori è come quello dei carpentieri: cominciare dal basso in maniera graduale e procedere verso l’alto; usare le mani; affrontare difficoltà e rischi; l’essere esposti allo sguardo altrui; seguire un progetto; avvalersi dell’aiuto di altri; rispettare la normativa di sicurezza; realizzare un’opera per altri. Smontate le impalcature rimane l’opera ultimata cui fare dei ritocchi se e quando necessario. Questo è costruire la vita e educare al lavoro della vita.

“L’autostima è come la foresta pluviale, una volta abbattuta ci vuole un’eternità perché ricresca” (lo psicoanalista Murray Stein, 1994). Dall’educazione dipende la costruzione o la distruzione della persona, quindi occorrono più attenzione e dedizione e così si favoriscono prevenzione, protezione e promozione. Educare è anche educare alla salute: “È essenziale mettere in grado le persone di imparare durante tutta la vita, di prepararsi ad affrontare le sue diverse tappe e di sapere fronteggiare le lesioni e le malattie croniche. Ciò deve essere reso possibile a scuola, in famiglia, nei luoghi di lavoro e in tutti gli ambienti organizzativi della comunità. È necessaria un’azione che coinvolga gli organismi educativi, professionali, commerciali e del volontariato, ma anche le stesse istituzioni” (dal paragrafo “Sviluppare le abilità personali” della Carta di Ottawa per la promozione della salute, 1986).

“Cos’è, dunque, l’uomo? Domandiamocelo ancora. È un essere che decide sempre ciò che è” (Victor Frankl, psichiatra e filosofo austriaco). Educare: educazione dell’uomo, educazione all’uomo.