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L’eutanasia in Svizzera

Benché l’eutanasia non sia ancora disciplinata espressamente da una legge federale, la Svizzera, accanto all’Olanda, è uno degli Stati in cui un numero non indifferente di cittadini dell’U.E., affetti da malattie inguaribili, si recano per morire, soffrendo il meno possibile e determinando essi stessi il momento del proprio decesso. Come accade anche in altri Stati, in mancanza di un’espressa disciplina legislativa, l’individuazione dei limiti, entro i quali è ammissibile contribuire a provocare la morte di una persona, è affidata all’interprete delle leggi. Un contributo di grande rilevanza in proposito l’ha dato la corte suprema svizzera (Bundesgericht) con la sua sentenza di fondamentale importanza d.d. 3.11.06 (Leitentscheid BGE), con la quale è stato statuito che “ogni persona capace di intendere e di volere, ha il diritto di decidere in ordine ai modi e ai tempi della propria morte;Trattasi di un diritto di tutti gli uomini riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Si distingue tra vari tipi di Sterbehilfe: 1) direkte aktive Sterbehilfe; 2) indirekte aktive Sterbehilfe e 3) passive Sterbehilfe.

I La direkte aktive Sterbehilfe (che si concreta in un’azione attiva e diretta ad abbreviare la vita di un’ altra persona come per esempio quando un medico o altra persona pratica al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte), non è lecita in Svizzera in quanto penalmente sanzionata dagli articoli 111 e segg. del codice penale elvetico.

II Lecita si ritiene invece la indirekte Sterbehilfe che ricorre nel caso in cui, al fine di abbreviare le sofferenze di una persona, alla stessa vengono somministrate dosi di medicinali (p.es.morfio) che hanno come effetto collaterale quello di abbreviare la durata della vita; somministrando medicinali di tal genere, viene messo in conto una probabile e prevedibile morte anticipata (rispetto al corso naturale) della persona. La indirekte, aktive Sterbehilfe viene ritenuta lecita, dal punto di vista etico, anche dall’Accademia della Scienza Medica Svizzera (si vedano le relative “direttive” emanate da quest’organo scientifico).

III Altrettanto lecita viene ritenuta la passive Sterbehilfe che si sostanzia nella mancata messa in atto o nell’interruzione di pratiche mediche per la conservazione della vita (per esempio la somministrazione di ossigeno artificiale viene interrotta, pur essendo la stessa necessaria per la ventilazione di un paziente il quale, prevedibilmente, è destinato a morire in difetto di ossigeno artificiale).

IV L’aiuto al suicidio (Beihilfe zum Selbstmord, detto anche Suizidhilfe), p. es. procurando al suicida un veleno, viene punito in Svizzera esclusivamente se il fatto viene commesso per “selbstsuechtige Beweggruende”, cioè per motivi di lucro; l’art. 115 del codice penale svizzero prevede in tal caso la pena detentiva fino a 5 anni oppure la pena pecuniaria(!).

Se non ricorre l’estremo dei motivi di lucro, il fatto non è punibile. Ci sono organizzazioni in Svizzera, come p. es. la EXIT, che prestano aiuto al suicidio senza perseguire motivi di lucro e finora non sono state perseguite penalmente.

Il governo svizzero, nel 2006, aveva preso atto di una mozione della commissione giustizia dello Staenderat, camera regionale elvetica, con la quale l’esecutivo era stato sollecitato a prendere iniziative in ordine al problema della Sterbehilfe. Il governo di allora non ritenne necessario un intervento legislativo, in particolare di modificare le norme contenute in materia nel codice penale elvetico. Neppure è stata ravvisata l’esigenza di introdurre una specie di autorizzazione e/o di sorveglianza sulle organizzazioni che operano nel campo del suicidio assistito, come p.es. la EXIT, organizzazione alla quale si è accennato sopra. L’esecutivo è stato dell’avviso che il divieto della direkte, aktive Sterbehilfe di cui agli artt. 111 e segg. del codice penale svizzero, sia sufficiente per tracciare validamente ed efficacemente i confini tra il lecito e l’illecito. Il governo aveva anche fatto notare che il potenziamento della c.d. palliative care, cioè della medicina palliativa, di competenza dei singoli cantoni (regioni), aveva avuto per effetto che i casi di indirekte Sterbehilfe e di passive Sterbehilfe sono andati diminuendo.

La disciplina “liberale” vigente in Svizzera in materia di suicidio assistito ed il sorgere di un certo numero di organizzazioni del tipo EXIT (denominate Suizidhilfeorganisationen), ha condotto ad una specie di Sterbetourismus (turismo della morte) verso la Svizzera e può rappresentare un pericolo per mantenere saldo il discrìmine tra il lecito e l’illecito. Ultimamente si sono intensificate le richieste e le insistenze di controllare le Suizidhilfeorganisationen e di dettare restrizioni a proposito della prescrittibilità del medicinale Natrio-Pentobarbital (NAP), spesso impiegato dalle organizzazioni suddette. Si sono levate pure voci per una riforma della legislazione svizzera sugli stupefacenti.

Nel luglio 2008, dopo che era avvenuto un mutamento al vertice del ministero della salute e del governo, il nuovo capo del dipartimento Widmer-Schlumpf, ha ravvisato l’esigenza di un “profondo chiarimento” in materia di suicidio assistito. Ha sottolineato, la Widmer-Schlumpf, che è compito precipuo dello Stato, di tutelare la vita. In Svizzera si verificano annualmente ca. 1.300 suicidi e ca. 50.000 tentativi di suicidio. La nationale Ethikkommission im Bereich der Medizin (Commissione etico-medica nazionale) – NEK – ha ribadito l’esigenza che la decisione di farsi assistere nel suicidio, deve essere presa in piena ed assoluta autonomia. Fino ad oggi non sono intervenuti mutamenti normativi in materia; neppure risultano essere state elaborate concrete proposte di legge (federali) di carattere innovativo.

Pare che la Svizzera, con la sua “prassi liberale” in materia di suicidio assistito, abbia voluto attenersi a quanto convenuto nella Convenzione sui diritti dell’Uomo e la biomedicina di Oviedo dell’aprile del 1997(conclusa tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, dell’UE e da altri Stati). Già nel preambolo di tale trattato internazionale viene messo in risalto il pericolo che potrebbe derivare alla dignità umana da un uso improprio della medicina. L’esigenza di salvaguardare la dignità dell’essere umano e di rispettare i suoi diritti e le libertà fondamentali, viene solennemente affermato nell’art. 1 del suddetto trattato.

Come regola generale, nell’art. 5. 1° comma, viene statuito che un intervento nel campo della salute può essere effettuato soltanto previo consenso – libero ed informato – della persona interessata. Il comma 1° dell’art. 6 statuisce che un intervento su una persona che non ha capacità di dare consenso, non può essere effettuato se non per un diretto beneficio della stessa. Qualora, in una situazione di urgenza, il consenso non può essere ottenuto (art. 8, 1° comma), si può procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile, purchè esso sia a beneficio della salute della persona sulla quale si interviene. Desideri precedentemente espressi da un paziente a proposito di un intervento medico, qualora il paziente, all’atto dell’intervento non sia in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenuti in considerazione (così dispone l’art. 9).

La Svizzera, pur non essendo membro dell’UE, ha accolto anche alcune statuizioni contenute nella c.d. Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’UE – 2000 ( C 364/01). Anche nel preambolo di tale accordo internazionale vengono richiamati i valori indivisibili ed universali della dignità umana e della libertà nonché l’esigenza di contribuire al mantenimento e allo sviluppo di questi valori, di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione del progresso e degli sviluppi scientifici e tecnologici. All’art. 1 la dignità umana viene definita inviolabile; va rispettata e tutelata. Ogni individuo – ai sensi dello art. 3, 1°comma - ha diritto alla propria integrità fisica e psichica; nello ambito della medicina deve essere in particolare rispettato il consenso, libero ed informato, della persona interessata.

Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta di Nizza, devono essere previste dalla legge e devono comunque rispettare il contenuto essenziale dei detti diritti e libertà; possono essere apportate limitazioni soltanto laddove sono necessarie e rispondono effettivamente a finalità di interesse generale o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

Nessuna disposizione della Carta di Nizza deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riconosciuti dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dello uomo e delle libertà fondamentali.

Nella Carta di Nizza è sancito, infine, il divieto di interpretare le disposizioni di tale trattato nel senso di menomare i diritti e le libertà ivi riconosciuti.

Nonostante i progressi indubbiamente fatti, il contemperamento tra le esigenze di tutela della vita e quelle di preservare la dignità umana, costituisce, per il legislatore, per l’interprete delle leggi e per il medico, un problema di non trascurabile rilevanza anche per il futuro; problema, per la cui soluzione saranno necessari provvedimenti particolarmente meditati ed estremamente equilibrati. Soltanto in tal modo questi due diritti fondamentali della persona umana possono trovare la loro giusta considerazione ed estensione.

Benché l’eutanasia non sia ancora disciplinata espressamente da una legge federale, la Svizzera, accanto all’Olanda, è uno degli Stati in cui un numero non indifferente di cittadini dell’U.E., affetti da malattie inguaribili, si recano per morire, soffrendo il meno possibile e determinando essi stessi il momento del proprio decesso. Come accade anche in altri Stati, in mancanza di un’espressa disciplina legislativa, l’individuazione dei limiti, entro i quali è ammissibile contribuire a provocare la morte di una persona, è affidata all’interprete delle leggi. Un contributo di grande rilevanza in proposito l’ha dato la corte suprema svizzera (Bundesgericht) con la sua sentenza di fondamentale importanza d.d. 3.11.06 (Leitentscheid BGE), con la quale è stato statuito che “ogni persona capace di intendere e di volere, ha il diritto di decidere in ordine ai modi e ai tempi della propria morte;Trattasi di un diritto di tutti gli uomini riconosciuto dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo”.

Si distingue tra vari tipi di Sterbehilfe: 1) direkte aktive Sterbehilfe; 2) indirekte aktive Sterbehilfe e 3) passive Sterbehilfe.

I La direkte aktive Sterbehilfe (che si concreta in un’azione attiva e diretta ad abbreviare la vita di un’ altra persona come per esempio quando un medico o altra persona pratica al paziente un’iniezione che conduce direttamente alla morte), non è lecita in Svizzera in quanto penalmente sanzionata dagli articoli 111 e segg. del codice penale elvetico.

II Lecita si ritiene invece la indirekte Sterbehilfe che ricorre nel caso in cui, al fine di abbreviare le sofferenze di una persona, alla stessa vengono somministrate dosi di medicinali (p.es.morfio) che hanno come effetto collaterale quello di abbreviare la durata della vita; somministrando medicinali di tal genere, viene messo in conto una probabile e prevedibile morte anticipata (rispetto al corso naturale) della persona. La indirekte, aktive Sterbehilfe viene ritenuta lecita, dal punto di vista etico, anche dall’Accademia della Scienza Medica Svizzera (si vedano le relative “direttive” emanate da quest’organo scientifico).

III Altrettanto lecita viene ritenuta la passive Sterbehilfe che si sostanzia nella mancata messa in atto o nell’interruzione di pratiche mediche per la conservazione della vita (per esempio la somministrazione di ossigeno artificiale viene interrotta, pur essendo la stessa necessaria per la ventilazione di un paziente il quale, prevedibilmente, è destinato a morire in difetto di ossigeno artificiale).

IV L’aiuto al suicidio (Beihilfe zum Selbstmord, detto anche Suizidhilfe), p. es. procurando al suicida un veleno, viene punito in Svizzera esclusivamente se il fatto viene commesso per “selbstsuechtige Beweggruende”, cioè per motivi di lucro; l’art. 115 del codice penale svizzero prevede in tal caso la pena detentiva fino a 5 anni oppure la pena pecuniaria(!).

Se non ricorre l’estremo dei motivi di lucro, il fatto non è punibile. Ci sono organizzazioni in Svizzera, come p. es. la EXIT, che prestano aiuto al suicidio senza perseguire motivi di lucro e finora non sono state perseguite penalmente.

Il governo svizzero, nel 2006, aveva preso atto di una mozione della commissione giustizia dello Staenderat, camera regionale elvetica, con la quale l’esecutivo era stato sollecitato a prendere iniziative in ordine al problema della Sterbehilfe. Il governo di allora non ritenne necessario un intervento legislativo, in particolare di modificare le norme contenute in materia nel codice penale elvetico. Neppure è stata ravvisata l’esigenza di introdurre una specie di autorizzazione e/o di sorveglianza sulle organizzazioni che operano nel campo del suicidio assistito, come p.es. la EXIT, organizzazione alla quale si è accennato sopra. L’esecutivo è stato dell’avviso che il divieto della direkte, aktive Sterbehilfe di cui agli artt. 111 e segg. del codice penale svizzero, sia sufficiente per tracciare validamente ed efficacemente i confini tra il lecito e l’illecito. Il governo aveva anche fatto notare che il potenziamento della c.d. palliative care, cioè della medicina palliativa, di competenza dei singoli cantoni (regioni), aveva avuto per effetto che i casi di indirekte Sterbehilfe e di passive Sterbehilfe sono andati diminuendo.

La disciplina “liberale” vigente in Svizzera in materia di suicidio assistito ed il sorgere di un certo numero di organizzazioni del tipo EXIT (denominate Suizidhilfeorganisationen), ha condotto ad una specie di Sterbetourismus (turismo della morte) verso la Svizzera e può rappresentare un pericolo per mantenere saldo il discrìmine tra il lecito e l’illecito. Ultimamente si sono intensificate le richieste e le insistenze di controllare le Suizidhilfeorganisationen e di dettare restrizioni a proposito della prescrittibilità del medicinale Natrio-Pentobarbital (NAP), spesso impiegato dalle organizzazioni suddette. Si sono levate pure voci per una riforma della legislazione svizzera sugli stupefacenti.

Nel luglio 2008, dopo che era avvenuto un mutamento al vertice del ministero della salute e del governo, il nuovo capo del dipartimento Widmer-Schlumpf, ha ravvisato l’esigenza di un “profondo chiarimento” in materia di suicidio assistito. Ha sottolineato, la Widmer-Schlumpf, che è compito precipuo dello Stato, di tutelare la vita. In Svizzera si verificano annualmente ca. 1.300 suicidi e ca. 50.000 tentativi di suicidio. La nationale Ethikkommission im Bereich der Medizin (Commissione etico-medica nazionale) – NEK – ha ribadito l’esigenza che la decisione di farsi assistere nel suicidio, deve essere presa in piena ed assoluta autonomia. Fino ad oggi non sono intervenuti mutamenti normativi in materia; neppure risultano essere state elaborate concrete proposte di legge (federali) di carattere innovativo.

Pare che la Svizzera, con la sua “prassi liberale” in materia di suicidio assistito, abbia voluto attenersi a quanto convenuto nella Convenzione sui diritti dell’Uomo e la biomedicina di Oviedo dell’aprile del 1997(conclusa tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa, dell’UE e da altri Stati). Già nel preambolo di tale trattato internazionale viene messo in risalto il pericolo che potrebbe derivare alla dignità umana da un uso improprio della medicina. L’esigenza di salvaguardare la dignità dell’essere umano e di rispettare i suoi diritti e le libertà fondamentali, viene solennemente affermato nell’art. 1 del suddetto trattato.

Come regola generale, nell’art. 5. 1° comma, viene statuito che un intervento nel campo della salute può essere effettuato soltanto previo consenso – libero ed informato – della persona interessata. Il comma 1° dell’art. 6 statuisce che un intervento su una persona che non ha capacità di dare consenso, non può essere effettuato se non per un diretto beneficio della stessa. Qualora, in una situazione di urgenza, il consenso non può essere ottenuto (art. 8, 1° comma), si può procedere immediatamente a qualsiasi intervento medico indispensabile, purchè esso sia a beneficio della salute della persona sulla quale si interviene. Desideri precedentemente espressi da un paziente a proposito di un intervento medico, qualora il paziente, all’atto dell’intervento non sia in grado di esprimere la sua volontà, devono essere tenuti in considerazione (così dispone l’art. 9).

La Svizzera, pur non essendo membro dell’UE, ha accolto anche alcune statuizioni contenute nella c.d. Carta di Nizza (Carta dei diritti fondamentali dell’UE – 2000 ( C 364/01). Anche nel preambolo di tale accordo internazionale vengono richiamati i valori indivisibili ed universali della dignità umana e della libertà nonché l’esigenza di contribuire al mantenimento e allo sviluppo di questi valori, di rafforzare la tutela dei diritti fondamentali alla luce dell’evoluzione del progresso e degli sviluppi scientifici e tecnologici. All’art. 1 la dignità umana viene definita inviolabile; va rispettata e tutelata. Ogni individuo – ai sensi dello art. 3, 1°comma - ha diritto alla propria integrità fisica e psichica; nello ambito della medicina deve essere in particolare rispettato il consenso, libero ed informato, della persona interessata.

Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla Carta di Nizza, devono essere previste dalla legge e devono comunque rispettare il contenuto essenziale dei detti diritti e libertà; possono essere apportate limitazioni soltanto laddove sono necessarie e rispondono effettivamente a finalità di interesse generale o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui.

Nessuna disposizione della Carta di Nizza deve essere interpretata come limitativa o lesiva dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, riconosciuti dal diritto internazionale e dalle convenzioni internazionali, in particolare dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dello uomo e delle libertà fondamentali.

Nella Carta di Nizza è sancito, infine, il divieto di interpretare le disposizioni di tale trattato nel senso di menomare i diritti e le libertà ivi riconosciuti.

Nonostante i progressi indubbiamente fatti, il contemperamento tra le esigenze di tutela della vita e quelle di preservare la dignità umana, costituisce, per il legislatore, per l’interprete delle leggi e per il medico, un problema di non trascurabile rilevanza anche per il futuro; problema, per la cui soluzione saranno necessari provvedimenti particolarmente meditati ed estremamente equilibrati. Soltanto in tal modo questi due diritti fondamentali della persona umana possono trovare la loro giusta considerazione ed estensione.