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Loggia P2: le conclusioni della commissione Anselmi

LOGGIA P2
LOGGIA P2

Ancora oggi a distanza di decenni dall’epicentro della sua attività si continua a menzionare la P2 in ipotesi investigative su fatti tragici, tra questi in primo piano la stagione dello stragismo mafioso.

Si propone pertanto ai lettori una sintesi delle conclusioni cui pervenne la commissione parlamentare di inchiesta sulla loggia P2, ritenendo che il loro valore sia ancora attuale.

 

Premessa

Il 17 marzo 1981 un gruppo di militari della Guardia di Finanza eseguirono varie perquisizioni su mandato della Procura di Milano nelle persone dei sostituti Giuliano Turone e Gherardo Colombo.

L’attività investigativa era parte delle indagini sull’assassinio dell’avvocato Giorgio Ambrosoli, liquidatore delle banche controllate dal finanziere Michele Sindona.

Si era appreso che Sindona, considerato mandante dell’omicidio, allo scopo di occultare la sua latitanza, aveva inscenato di essere stato sequestrato da una formazione terroristica di sinistra mentre in realtà si trovava in Sicilia sotto la protezione di esponenti di primo piano di Cosa nostra.

Per rendere più convincente la messinscena, il banchiere si fece sparare a una gamba dal medico massone e mafioso Joseph Miceli Crimi che risultava in contatto con Licio Gelli.

I finanzieri perquisirono vari luoghi di pertinenza del Gelli nella località aretina di Castiglion Fibocchi e tra questi la sede della GIOLE (Giovane Lebole), un’azienda di abbigliamento.

Proprio in quel sito trovarono una cassaforte dentro la quale era custodito un elenco degli iscritti alla

loggia massonica Propaganda 2 (meglio nota come loggia P2).

Vi figuravano ben 962 persone ognuna delle quali occupava postazioni di elevato profilo nell’amministrazione pubblica, nella politica, nell’imprenditoria.

Poco più di un anno dopo – era il luglio del 1982 – a Maria Grazia Gelli, figlia di Licio, fu sequestrato all’interno dell’aeroporto di Fiumicino un documento intitolato Piano di rinascita democratica.

Si trattava di un programma che, a dispetto del nome rassicurante, aveva una natura profondamente eversiva, tendendo all’acquisizione del controllo dei tre poteri fondamentali dello Stato e all’instaurazione di un regime autoritario.

La divulgazione dell’esistenza della loggia P2, della qualità dei suoi iscritti e della pericolosità dei suoi obiettivi destò un grave allarme nell’opinione pubblica e il bisogno di provvedimenti che mettessero quel gruppo massonico in grado di non nuocere alle istituzioni democratiche.

Seguirono risposte adeguate.

Fu infatti costituita una commissione parlamentare bicamerale di inchiesta, presieduta dalla deputata Tina Anselmi, con il compito di comprendere cosa erano stati la P2 e il piduismo.

La stessa P2 fu sciolta con la Legge 17/1982.

Furono avviati e istruiti numerosi procedimenti penali a vario titolo connessi alle gesta della loggia.

L’ampiezza dello scandalo e della reazione pubblica non può essere sintetizzata in un breve articolo.

Qui ci si limita pertanto a riassumere le conclusioni cui giunse la commissione di inchiesta.

Si ricorda per completezza che nello stesso periodo di tempo operò anche una commissione parlamentare di inchiesta sul caso Sindona. Si rimanda alla sua relazione conclusiva per una visione completa degli approfondimenti cui giunse.

 

La commissione di inchiesta sulla loggia massonica P2

Fu istituita con la L. 527/1981 nel corso della VIII legislatura.

La sua presidenza fu assunta dalla deputata democristiana Tina ANSELMI.

La sua attività, in accordo all’importanza unanimemente riconosciuta all’inchiesta, fu intensa: 147 sedute, 198 audizioni, 14 operazioni di polizia giudiziaria (ivi comprese perquisizioni e sequestri), sterminate acquisizioni documentali.

I risultati cui pervenne la commissione Anselmi vennero sintetizzati in una relazione di maggioranza, condivisa dai commissari democristiani, socialisti, socialdemocratici e repubblicani, e in cinque relazioni di minoranza dei commissari Massimo Teodori (Partito radicale), Altero Matteoli e Giorgio Pisanò (Movimento sociale – Destra nazionale), Attilio Bastianini (Partito liberale italiano) e Alessandro Ghinami (Partito socialdemocratico italiano).

La sintesi che seguirà è tratta dalla relazione di maggioranza ma si darà comunque conto anche delle critiche e dei dissensi contenuti in quelle di minoranza.

I passaggi virgolettati sono tratti fedelmente dal testo ufficiale della relazione.

È significativa, già nell’apertura del testo, una precisa avvertenza: «la Commissione ha operato uno sforzo nel tentare di capire e di interpretare non solo ciò che veniva sottoposto alla sua attenzione, ma altresì ciò che ad essa veniva celato, quanto le carte e le testimonianze dicevano in termini espliciti e quanto esse rivelavano, e spesso era il più, implicitamente, attraverso i silenzi e le omissioni».

La Commissione Anselmi ebbe dunque piena consapevolezza di muoversi in acque torbide, in un gioco di luci e ombre che aveva lo scopo di depistarla e allontanarla dalla verità.

Uno spazio rilevante della relazione fu dedicato alla ricognizione del mondo massonico e delle sue caratteristiche strutturali.

Si constatò che, all’interno di quella vasta galassia, erano largamente prevalenti due comunioni: il Grande Oriente di Italia di Palazzo Giustiniani (di seguito GOI) che poteva contare su 15/20.000 iscritti e la Massoneria di Piazza del Gesù (dal nome della sede occupata), nata per scissione dalla prima, con 5/10.000 iscritti.

Tutte le altre compagini non andavano oltre qualche centinaio di iscritti.

L’osservazione dei moduli organizzativi in uso nelle due comunioni principali consentì di rilevare alcune caratteristiche comuni alle quali si attribuì natura strutturale.

Anzitutto la gerarchia.

Gli iscritti erano distribuiti secondo una scala gerarchica: alla base c’era l’Ordine, limitato ai primi tre gradi; più in alto c’era il Rito, comprensivo dei successivi trenta gradi e posto in posizione sovraordinata all’Ordine.

Sia l’ingresso in una comunione che l’avanzamento di grado erano rigidamente governati dal principio della cooptazione.

L’ingresso passava solitamente attraverso un momento comunitario che comportava una votazione ma era possibile che l’iniziazione di un adepto avvenisse ad opera del Gran Maestro (l’esponente di vertice della comunione), all’insaputa degli altri iscritti.

I soggetti ammessi con questa speciale procedura erano denominati "coperti" poiché appunto la loro ammissione era nota solo "all’orecchio del Gran Maestro" ed erano inseriti in logge anch’esse coperte, tutte accomunate dallo stesso nome – Propaganda – cui si faceva seguire un numero estratto a sorteggio per distinguerle tra loro.

Un’ulteriore caratteristica del mondo massone era la riservatezza.

Assai spesso, ad esempio, i contratti di locazione di immobili ad uso massonico erano intestati a generici centri studio i cui statuti non facevano alcuna menzione dell’oggetto reale dell’attività degli iscritti.

Questa riservatezza aveva una duplice proiezione: verso l’esterno (il cosiddetto mondo "profano") e, in tutto o in parte, anche verso l’interno della comunione.

Poteva così capitare che in alcuni registri degli appartenenti ad una loggia, costoro venissero annotati non con le loro generalità reali e complete ma con soprannomi o pseudonimi di copertura.

Nel corso delle audizioni, importanti esponenti massonici giustificarono quel costume in vario modo: la tutela dei contenuti esoterici propri del rito massone; la protezione degli iscritti da indebite curiosità e dalla storica tendenza persecutoria in loro danno; l’assenza di regole normative che obbligassero alla trasparenza.

Si constatò inoltre una spiccata tendenza alla solidarietà agli adepti che andava ben oltre i confini dell’attività massonica in senso stretto, proiettandosi decisamente verso il mondo profano.

I massoni si prestavano mutua assistenza e gli uni cooperavano alla migliore riuscita delle carriere e del successo degli altri.

La diffusione della pratica solidaristica era così spinta da influenzare finanche il modello organizzativo: la comunione di Piazza del Gesù, ad esempio, aveva costituito le cosiddette camere tecniche professionali, ognuna delle quali raccoglieva gruppi omogenei di affiliati per dislocazione territoriale o collocazione professionale, e il cui scopo era quello di unire le forze per la migliore valorizzazione di ognuno degli interessati.

Un’ultima caratteristica era data dall’inserimento delle comunioni in amplissime reti massoniche internazionali che, nel caso del GOI, erano principalmente basate nel Nordamerica.

In questo quadro si mossero Licio Gelli e la loggia Propaganda 2.

Il Gelli entrò in Massoneria nel 1965 e, grazie ad una solida e privilegiata relazione con l’allora Gran Maestro del GOI, Giordano Gamberini, scalò con insolita rapidità la scala gerarchica fino a diventare nel 1971 segretario organizzativo (ruolo non previsto negli organigrammi standard) della loggia P2 con il mandato di operare per l’unificazione delle varie comunioni massoniche e la facoltà di iniziare nuovi iscritti.

Il favore accordato a Gelli proseguì anche col successore di Gamberini, il medico fiorentino Lino Salvini che nel 1975 lo elevò al grado di Maestro venerabile, e con l’ulteriore successore, il generale Ennio Battelli.

Dal 1971 in avanti il potere e l’influenza di Gelli si estesero progressivamente al punto da destare la preoccupazione di Salvini per il crescente numero di militari di grado elevato affiliati alla P2, tale da far pensare addirittura alla progettazione di un colpo di Stato.

Fin dalla sua costituzione la P2 fu connotata da un’accentuata riservatezza che prevedeva l’adozione di codici cifrati per l’indicazione degli iscritti e l’uso del nome di copertura "Centro studi di storia contemporanea" per l’indicazione della loggia.

Altre sue caratteristiche furono la spiccata proiezione verso il mondo profano e in particolare la spasmodica attenzione alle vicende politiche nazionali.

Furono invece relegati sullo sfondo i riti iniziatici e gli studi filosofici.

Un ulteriore segno distintivo fu «la connotazione marcatamente antisistematica della loggia, i cui affiliati svolgono un discorso che denuncia una posizione di critica generalizzata nei confronti di tutto il sistema politico, sbrigativamente identificato nella formula clerico-comunista».

L’attivismo di Gelli provocò destò la reazione di un gruppo di iscritti che si denominavano "massoni democratici".

Furono costoro a ispirare la denuncia del "caso Gelli" presentata nel 1973 dal Grande Oratore[1] Ermenegildo Benedetti, che tuttavia finì archiviata.

L’anno successivo, invece, in concomitanza con gli episodi dell’Italicus[2] e di Piazza della Loggia[3], il GOI ritenne giunto il momento di prendere le distanze con provvedimenti formali da Gelli e dalla sua creatura, salvo poi riabilitarla pienamente a dicembre del 1975, verosimilmente per la pressione ricattatoria che lo stesso Gelli era in grado di esercitare su Salvini.

A dispetto di questi dissensi interni, negli anni successivi e fino al 1981 la P2 continuò a prosperare fino a contare su un numero di iscritti valutato tra il 10 e il 20% dell’intero organico del GOI.

Entrarono nei suoi ranghi «figure eminenti in campo nazionale nei settori della pubblica amministrazione, sia civile che militare, dell'economia, dell'editoria ed infine del mondo politico»[4].

La capacità attrattiva della P2 non subì alcuno scossone anche quando alcuni organi di stampa iniziarono a darne conoscenza ai lettori e a sottolineare «la pericolosità del fenomeno ed il suo collegamento con attività illecite, di criminalità sia comune che politica».

Non risentì neanche, se non in misura trascurabile, di procedure giustiziali interne a carico del Gelli (oltre che di suoi sodali) che nel 1976 fu sottoposto a due processi: uno per avere offeso e irriso il Gran Maestro, l’altro per i più che sospetti legami con l’eversione nera.

La loro conduzione e il loro esito furono quantomai significativi.

Sebbene la competenza a decidere appartenesse a Tribunali massonici circoscrizionali, i processi vennero riuniti e avocati alla Corte centrale.

Ad essi venne inoltro aggregato un processo contro i massoni democratici.

L’esito complessivo fu l’irrogazione della censura al Gelli per la condotta tenuta verso il Gran maestro (cui seguì una rapidissima grazia), l’assenza di qualsiasi provvedimento per i legami con l’eversione e l’espulsione di vari massoni democratici.

Il messaggio non poteva essere più chiaro.

Così concluse la relazione riguardo a questi eventi:

«1. Gelli ha acquisito nella seconda metà degli anni settanta il controllo completo ed incontrastato della Loggia Propaganda Due, espropriandone il naturale titolare e cioè il Gran Maestro;

2. la Loggia Propaganda Due non può nemmeno eufemisticamente definirsi riservata e coperta: si tratta ormai di una associazione segreta, tale segretezza sussistendo non solo nei confronti dell'ordinamento generale e della società civile ma altresì rispetto alla organizzazione che ad essa aveva dato vita».

Nelle successive sezioni, la relazione si interessò del sequestro dell’elenco degli iscritti avvenuto a Castiglion Fibocchi (AR), presso gli uffici e la residenza di Gelli e dell’attendibilità di tale elenco.

La sua conclusione, raggiunta sulla base di plurime ragioni che qui non mette conto ripercorrere, fu questa: «Il discorso sinora svolto conduce all'univoca conclusione che le liste sequestrate a Castiglion Fibocchi sono da considerare: a. autentiche: in quanto documento rappresentativo della organizzazione massonica denominata Loggia P2 considerata nel suo aspetto soggettivo; b. attendibili: in quanto, sotto il profilo dei contenuti, è dato rinvenire numerosi e concordanti riscontri relativi ai dati contenuti nel reperto».

Le ulteriori sezioni della relazione servirono a rassegnare e giustificare le conclusioni raggiunte dalla Commissione su aspetti di particolare rilievo quali la natura associativa con finalità politiche[5] della P2, il grado di consapevolezza degli iscritti, variabile in base al rango massonico, dei fini autentici della loggia, la partecipazione massiccia di esponenti di rango elevato del ceto politico, degli apparati militari, della pubblica amministrazione, della magistratura, dell’imprenditoria e della finanza alle sue attività, i collegamenti con l’eversione nera.

Si può adesso dare spazio alla parte delle considerazioni finali della relazione e si preferisce farlo con le stesse parole dell’estensore, cominciando dal tema della segretezza: «sembra quasi di vedere enunciate, per tabulas, le regole del silenzio, omertà e sicurezza a cui si dovevano attenere gli appartenenti ad organizzazioni terroristiche o mafiose o camorristiche».

Il mutuo soccorso tra gli iscritti ma anche la capacità intimidatoria che la P2 era in grado di sprigionare sui personaggi che aveva interesse a cooptare: «Il modulo di domanda per l'affiliazione alla Loggia P2 conteneva, oltre alle richieste di informazione che è dato attendersi in consimili occasioni, un'illuminante postilla: "...eventuali ingiustizie subite nel corso della carriera ...; ...danno conseguente ... ; ... persone, istituzioni od ambienti a cui si ritiene possano essere attribuiti ... Questi dati ci pongono di fronte all'esemplificazione palese del viziato rapporto associativo che sottostava a questo organismo, al malsano intreccio di interessi che sin dal primo momento il Venerabile Licio Gelli proponeva e gli affiliati accettavano, quale base della mutua collaborazione futura. La sottoscrizione di questa domanda suona a disdoro per tutti coloro che vi hanno apposto la loro firma, perché essi hanno così denunciato la loro sfiducia nell'ordinamento quale fonte di tutela e garanzia dell'individuo, affidandosi a tal fine ad una organizzazione parallela e clandestina. Soccorre qui naturale il richiamo alle organizzazioni mafiose, già proposto, e alla loro collaudata tecnica di porsi allo stesso tempo come fonte di illegalità e di protezione contro l'illegalità da esse stesse creata, che costituisce il cardine di una sostanziale operazione tentata di avocazione di poteri statuali, nella quale va individuata la maggior ragione di pericolo di tali forme associative per la collettività. Analogamente la Loggia P2 sperimentava nei confronti di coloro che venivano individuati come elementi utili per l'organizzazione, quando recalcitranti, forme di pressione».

I contatti con l’eversione nera: «Prima tra tali situazioni nelle quali appare sicuramente documentato un coinvolgimento significativo di Licio Gelli e di uomini della loggia, è il cosiddetto golpe Borghese, attuato nella notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, sotto la spinta degli esponenti oltranzisti del Fronte Nazionale, i quali avevano da ultimo prevalso all'interno dell'organizzazione.

È così dato rilevare prima di tutto come molti dei personaggi che nel golpe ebbero un ruolo non secondario appartengano alla Loggia P2 o alla Massoneria […] gli accertamenti compiuti dai giudici bolognesi, così come sono stati base per una sentenza assolutoria per non sufficientemente provate responsabilità personali degli imputati, costituiscono altresì base quanto mai solida, quando vengano integrati con ulteriori elementi in possesso della Commissione, per affermare: 1. che la strage dell'Italicus è ascrivibile ad una organizzazione terroristica di ispirazione neofascista o neonazista operante in Toscana; 2. che la Loggia P2 svolse opera di istigazione agli attentati e di finanziamento nei confronti dei gruppi della destra extraparlamentare toscana;

3. che la Loggia P2 è quindi gravemente coinvolta nella strage dell'Italicus e può ritenersene anzi addirittura responsabile in termini non giudiziari ma storico-politici, quale essenziale retroterra economico, organizzativo e morale».

La natura ultima della P2: «la Loggia P2 consegna alla nostra meditazione una operazione politica ispirata ad una concezione pre-ideologica del potere, ambìto nella sua più diretta e brutale effettività; un cinismo di progetti e di opere che riporta alla mente la massima gattopardesca secondo la quale "bisogna che tutto cambi perché tutto resti com'era": così per Gelli, per gli uomini che lo ispirano da vicino e da lontano, per coloro che si muovono con lui in sintonia di intenti e di azioni, sembra che tutto debba muoversi perché tutto rimanga immobile. La prima imprescindibile difesa contro questo progetto politico, metastasi delle istituzioni, negatore di ogni civile progresso, sta appunto nel prenderne dolorosamente atto, nell'avvertire, senza ipocriti infingimenti, l'insidia che esso rappresenta per noi tutti - riconoscendola come tale al di là di pretestuose polemiche, che la gravità del fenomeno non consente - poiché esso colpisce con indiscriminata, perversa efficacia, non parti dei sistema, ma il sistema stesso nella sua più intima ragione di esistere: la sovranità dei cittadini, ultima e definitiva sede del potere che governa la Repubblica».

Segretezza, mutuo soccorso, capacità intimidatoria, coinvolgimento nelle trame dell’eversione nera, ricerca spasmodica e brutale del potere.

Ognuno di questi tratti – non si può che dar ragione alla relazione – evoca un’indiscutibile affinità al mondo mafioso.

Resta solo da dire a questo punto delle relazioni di minoranza.

Quella redatta dal senatore Bastianini servì non a criticare o sminuire le conclusioni raggiunte ma a denunciare un atteggiamento di eccessiva timidezza così descritto dall’interessato:

«La complessità dell'azione della P2, il suo intreccio con i servizi segreti, il suo grado di penetrazione nella società sono elementi tali da non lasciare adito a ragionevoli dubbi che vi siano state coperture, connivenze e ispirazioni maggiori […] Ma la Commissione, nei suoi lavori, poco ha cercato oltre e sopra a Gelli e la relazione, su questa materia, ancora più tace. Si tratta quindi di una relazione incompleta. A conclusione di una indagine incompiuta, che arresta le proprie valutazioni proprio dove comincia la P2 più vera».

Si mosse nella direzione opposta la relazione del deputato Ghinami che, dopo aver mosso una critica epistemologica alla relazione di maggioranza[6], trovò ingiustificata la patente di attendibilità agli elenchi di Castiglion Fibocchi e dissentì dalla perentorietà del giudizio sulla consapevolezza degli iscritti dei fini illeciti della P2.

Le relazioni dei parlamentari Matteoli e Pisanò condivisero una radicale contestazione delle conclusioni del documento di maggioranza, sulla base di un comune presupposto: Licio Gelli e la loggia P2 si erano incuneati profondamente negli equilibri del potere nazionale fino a diventarne parte integrante; l’inchiesta si astenne dunque in modo deliberato dagli approfondimenti che sarebbero stati necessari per mettere in luce le responsabilità degli esponenti di vertice del nostro Paese senza la cui connivenza la penetrazione della P2 non sarebbe stata possibile.

Anche la relazione del parlamentare Teodori fu improntata, sia pure secondo una visuale ideologica contrapposta a quella di Matteoli e Pisanò, a un atteggiamento di radicale contestazione delle conclusioni della maggioranza, anche in questo caso accusata di non avere fatto quanto serviva per accertare le responsabilità di sistema e l’effettiva e devastante influenza di Gelli e degli uomini della P2 sulla vita nazionale.

Quale che sia il valore che si voglia annettere alle critiche di metodo o sostanza delle relazioni di minoranza, alcuni fatti emersero con chiarezza cristallina e non furono messi in discussione da nessuna contestazione: la P2 fu l’artefice di un disegno di oggettiva natura eversiva; i metodi che caratterizzarono ogni segmento della sua attività meritarono la loro assimilazione a quelli propri delle organizzazioni mafiose.

 

[1] Il Grande Oratore è il custode dell’ortodossia massonica e del rispetto delle leggi e delle regole. Gli spetta inoltre curare l’istruzione massonica degli adepti.

[2] Fu un attentato terroristico dinamitardo compiuto nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974 sul treno Italicus mentre transitava a San Benedetto in Val di Sambro (BO). Un ordigno fu fatto esplodere in una delle carrozze del treno e provocò la morte di 12 persone e il ferimento di altre 48. Le inchieste e i processi celebrati per l’attentato non produssero alcuna condanna ma la pista più accreditata fu costantemente quella dell’eversione nera.

[3] Si trattò anche in questo caso di un gravissimo attentato, compiuto il 28 maggio 1974 in piazza della Loggia a Brescia. Un ordigno, collocato in un cestino dei rifiuti, esplose mentre era in corso una manifestazione sindacale antifascista, uccidendo otto persone e ferendone più di cento. Ne seguirono plurimi processi in esito ai quali furono condannati in via definitiva taluni soggetti accreditati di militanza in formazioni di estrema destra.

[4] Si accertò l’affiliazione di 50 alti ufficiali dell’Esercito, 29 della Marina, 32 dei Carabinieri, 9 dell'Aeronautica, 37 della Guardia di Finanza, 22 della Pubblica sicurezza e ancora di 14 magistrati, tutti i vertici dei servizi segreti, 9 diplomatici, 3 ministri, 59 tra senatori e deputati e uomini politici, 10 dipendenti della RAI, 4 editori, 8 direttori di quotidiani, 22 giornalisti, 3 scrittori, 53 dipendenti di Ministeri, 49 di istituti bancari, 83 industriali, 124 professionisti, numerosi dirigenti di aziende pubbliche e private di società pubbliche e private.

[5] La loro minuziosa e assertiva descrizione è contenuta nel già menzionato Piano di rinascita democratica, rinvenuto nel 1982 nel doppiofondo di una valigia sequestrata alla figlia di Gelli. Il Piano, a dispetto della sua aggettivazione, vagheggiava un regime di tipo autoritario che avrebbe dovuto assumere un capillare controllo dello Stato, sia pure per tappe progressive. Il testo, già allegato agli atti della Commissione Anselmi, è reperibile in una congerie di indirizzi web. Si segnala tra i tanti: https://www.ilfattoquotidiano.it/wp-content/uploads/2010/07/Il-Piano-di-rinascita-democratica-della-P2-commentato-da-Marco-Travaglio.pdf cui va il merito di averlo diffuso per primo.

[6] Queste le sue parole: «Era da preferire un metodo che partisse dai fatti accertati prima di elevare la propria riflessione a livello di teoria […] Il metodo seguito dalla Relazione è stato invece quello di partire da una ipotesi che precede l'osservazione, per verificarla poi alla luce dei fatti: è quello che in epistemologia si chiama il metodo popperiano. Ma esso è stato usato in maniera non corretta: infatti, secondo Popper, l'ipotesi deve essere abbandonata qualora venga confutata dai fatti che contrastano con essa e sostituita con un'altra ipotesi più adeguata. Cosa che il relatore non ha fatto».