Manifesto per una Nuova Costituente: intervista al Prof. Carlo Lottieri
Formulo alcune domande al professor Carlo Lottieri, coautore, insieme al professor Marco Bassani, del Manifesto per una “Nuova costituente: a difesa dei territori. Democrazia, libertà, federalismo” pubblicato sul sito www.nuovacostituente.org, di cui in questi giorni travagliati alcuni organi di stampa hanno dato rilievo, anche per coloro che l’hanno già sottoscritto (intellettuali, imprenditori, accademici, giornalisti, artisti, manager, professionisti fuori dal consueto coro). Ricordo subito che il Manifesto può essere sottoscritto compilando il form sulla pagina web.
D. Partiamo dalla conclusione del manifesto che esplicitamente invita “tutti gli uomini di buona volontà a darsi da fare”. Evidentemente è il primo obiettivo del Manifesto, quello di scuotere le coscienze. Sbaglio a fare riferimento, come possibile “progenitore”, all’Appello ai liberi e forti di don Luigi Sturzo del 1919 che si richiamava “A tutti gli uomini moralmente liberi e socialmente evoluti, a quanti nell’amore alla patria sanno congiungere il giusto senso dei diritti e degl’interessi nazionali con un sano internazionalismo, a quanti apprezzano e rispettano le virtù morali del nostro popolo”?
È così. Non può sfuggire che l’unico autore che viene evocato nel manifesto sia proprio don Luigi Sturzo, che ebbe il merito di sottolineare l’esigenza dell’autogoverno dei territori (al Sud e non solo) e che colse più di molti altri il nesso tra centralismo e statalismo. Abbiamo anche scelto questo “santo protettore” in ragione del fatto che da tempo si afferma che l’autogoverno sarebbe solo al servizio delle realtà dell’Italia centro-settentrionale, quando invece è soprattutto il Mezzogiorno che ha bisogno di fare da sé ed essere responsabilizzato.
D. Cerco di evidenziare i punti salienti del Manifesto. Innanzitutto mi sembra interessante e lucido non dare troppo rilievo alla pandemia ma anzi fare riferimento alle istituzioni deboli, alle libertà fragili, alla classe politica delegittimata e al debito pubblico alle stelle. In altre parole la pandemia è stata come un reagente chimico che ha evidenziato una situazione politico-economica in cancrena. Per questa ragione il Manifesto invoca la discontinuità rispetto al passato, una cesura. Quali differenze nella congerie socio-politica di oggi rispetto ad altri momenti del recente passato – penso al periodo 1989-1993 – dovrebbero portare a un esito così importante? Pensare a cambiamenti così radicali non è utopia?
Non possiamo escludere che nulla muti. In altre parole, è possibile che le popolazioni italiche non avvertano l’esigenza di liberare ogni comunità dal Palazzo, continuino a seguire logiche assistenziali e parassitarie (magari sostituendo il vecchio aiuto pubblico con nuove forme d’intervento, di matrice comunitaria), procedano senza reagire dinanzi a quel futuro di progressivo declino e crescente impoverimento che tutto sembra preannunciare. Però è anche ragionevole attendersi una reazione, dato che la crisi connessa all’epidemia e alla sua gestione politica da parte del governo ha mostrato la fragilità di un Paese oppresso dal debito pubblico e da quello pensionistico, con aree ad altissima disoccupazione, con un sistema produttivo in ginocchio. La situazione è pre-rivoluzionaria e l’unica rivoluzione positiva che si può immaginare è quella che libera i territori e li mette in competizione tra loro.
D. Il Manifesto, sin dal “sottotitolo”, ha una spiccata vocazione federalista. I richiami alle comunità locali, alle giurisdizioni piccole e numerose e all’ordinamento della Svizzera sono espliciti. La pandemia sembra aver scatenato un processo inverso, che secondo alcuni studiosi porterà all’accentramento dei poteri nello Stato e alla compressione di quelli regionali e locali. D’altro canto, governatori e sindaci hanno dato in diversi casi impressione di voler esercitare il proprio potere nel feudo piuttosto che di tenere conto degli interessi delle comunità locali. Forse dovremmo ripensare al regionalismo prima di poter ragionare sul federalismo. Non c’è ancora molta confusione su cosa si intenda per federalismo? vale la pena di parlare anche di sussidiarietà?
A mio parere c’è la necessità di trasformare la prigione attuale – perché la Repubblica italiana è davvero una sorta di carcere – in una casa che sia confortevole per tutti. Oggi abbiamo un sistema centralista, basato sulla cosiddetta “finanza derivata”, che genera classi politiche locali voraci (desiderose di ricevere il massimo delle risorse per moltiplicare spesa pubblica e clientele) in quanto irresponsabili. I fautori di questa iniziativa politica intendono far sì, invece, che ogni comunità locale viva del proprio, possa fissare le proprie regole e i propri livelli di tassazione, entrando quindi in una positiva concorrenza.
D. Volendo parlare di comunità locali mi viene anche in mente il valore della tradizione e, forse sono desueto, il senso profondo del cristianesimo che ha plasmato secoli di civiltà europea e in particolare il periodo medioevale, quello appunto dei tanti liberi comuni. Non è forse il momento di guardare a quel momento storico senza i pregiudizi laicisti? La società scristianizzata è una società più o meno vittima del potere di turno?
Noi siamo eredi di una società, quella medievale, che era unita dai valori della tradizione giudaico-cristiana, dall’eredità filosofica greca e dal diritto romano. Quella stessa società europea – molto unitaria da tanti punti di vista sul piano dei valori e degli scambi – era anche caratterizzata da un altissimo numero di piccole giurisdizioni indipendenti, che hanno permesso – soprattutto nell’esperienza dei liberi comuni (nell’Italia centro-settentrionale e nelle Fiandre) – l’affermarsi del capitalismo. Dobbiamo far risorgere Siena, Genova, Napoli, Venezia, Bologna, Milano, Firenze e Palermo affinché un ordine di libertà possa porre le premesse per una vera rinascita.
D. Vengo a uno dei punti del Manifesto che mi lascia perplesso: la democrazia diretta. Non è stato il cavallo di battaglia del Movimento 5Stelle secondo la logica dell’uno vale uno? Penso ad esempio al referendum sull’acqua pubblica che sta causando e che causerà infiniti danni. Siamo certi che sia una delle soluzioni in un mondo dove – e lo stiamo vivendo in questi giorni – siamo portati a prendere decisioni sull’emotività, ad esprimere like senza sapere di cosa si sta parlando? D’altro canto c’è chi propugna il “potere ai tecnici”. Non si tratta della riedizione in chiave moderna e tecnologica della diatriba tra democrazia e oligarchia di ateniese memoria?
Noi crediamo che quanti ci governano e ci spogliano della maggior parte delle nostre libertà e delle nostre risorse lo facciano perché “sono stati votati”. Questo significa che attribuiscono al voto un valore altissimo: capace perfino di annichilire ogni libertà. In questo quadro, invocare la facoltà di poter interpellare il popolo su molte questioni (anche sulle tasse, anche sui rapporti internazionali, anche sui confini… ciò che oggi la Costituzione vieta) significa prendere sul serio la democrazia, in modo che essa non sia utilizzata solo per mortificarci e per moltiplicare il potere di pochi, ma possa anche favorire un processo di liberazione dei singoli e delle comunità. Se la Repubblica italiana fosse stata democratica avrebbe già interpellato, ad esempio, le popolazioni del Tirolo Meridionale e avrebbe chiesto loro se vogliono restare in Italia oppure scegliere un’altra soluzione. Quello che vale a Merano e Bolzano, però, vale per tutti. Inoltre, la democrazia diretta è capace di innescare – come mostra l’esperienza elvetica – un processo di educazione della gente comune, che non a caso in Svizzera ha perfino rigettato a larga maggioranza l’ipotesi di un reddito di cittadinanza.
D. Gli attuali scenari catastrofici dovrebbero fare “rinascere la richiesta di un processo che permetta davvero di rifondare la società su nuove basi”. Qualcuno direbbe un programma troppo vasto. Partiamo da un primo passo: quale ritiene potrebbe essere un primo obiettivo concreto da raggiungere nell’arco di due/tre mesi? e ancora come pensa di misurare il successo del Manifesto (non credo abbia in mente il numero dei sottoscrittori)?
In questa fase stiamo facendoci conoscere, stiamo allargando la cerchia dei nostri aderenti, definendo responsabili territoriali, costruendo un blog di qualità, avvicinando anche personalità note al pubblico (hanno firmato il manifesto, tra gli altri, Francesco Alberoni, Stefano Zecchi e Romano Bracalini), sviluppando relazioni importanti con movimenti locali che credono nel diritto ad autogovernarsi e realtà di altro tipo che comunque reputano cruciale una svolta istituzionale. Tutto questo mira a porre la questione del diritto dei territori ad autogovernarsi al centro della discussione. Il 18 luglio saranno mille giorni da quando, in Veneto e in Lombardia, si è votato massicciamente a favore di un referendum sul regionalismo differenziato che il Palazzo romano e gli stessi palazzetti regionali (con i loro “governatori” delle province romane) hanno subito messo nel cassetto. Nuova Costituente è nata affinché tutto questo cambi.
D. Non voglio trascinarla in polemiche politiche. Mi permetta però una domanda diretta sulla compressione delle libertà che stiamo subendo da febbraio. Ho recentemente sostenuto che c’è molto dolo in questo processo – almeno negli ultimi sviluppi – perché le forze politiche al governo sostengono da tempo teorie della decrescita felice e guardano alla libera imprenditoria con la lente di dottrine di derivazione marxista. Mi dica sinceramente, esagero?
Credo che, nei vari paesi, si sia reagito diversamente sulla base di due considerazioni: quale opinione si aveva dei diritti fondamentali dei singoli; quale attenzione si mostrava verso l’importanza dello sviluppo economico. Nel primo caso, è chiaro che da noi il diritto si è dissolto. Invece che delineare poche e chiare regole in merito a ciò che non si doveva fare al fine di non mettere a rischio il prossimo, si è preferito adottare un lockdown durissimo, chiudendo perfino – mi lasci fare questo esempio – i concessionari di automobili (ed è ovvio che, date le dimensioni delle vetture, è molto difficile trovarsi a due metri di distanza da qualcuno in negozi di tale natura).
L’altra questione cruciale è l’assoluto disinteresse per gli scambi e la produzione. La nostra è una classe politica fatta di burocratici pubblici: non c’è quindi da stupirsi che fosse persuasa che nulla di grave sarebbe successo da un blocco totale per molte settimane. In fondo, quando resta a casa il dipendente statale continua a ricevere il suo stipendio… hanno distrutto senza nemmeno ben percepirlo quel che restava del sistema produttivo. E ora ci troveremo con milioni di disoccupati e con una marea di imprese, soprattutto piccole e piccolissime, condannate al fallimento.
D. Al di là delle forze politiche attuali, se il grande pubblico – a causa anche del lavoro dei mass media – è impregnato di logiche centraliste, stataliste e assistenzialiste, come si può pensare di scuotere le coscienze? forse goccia dopo goccia, iniziativa dopo iniziativa. In questo senso Filodiritto sta portando il proprio mattoncino cercando di creare un piccolo spazio dove si dà voce a coloro che fanno circolare idee “nuove” molto poco trattate dalla grande stampa. Come giudica questa iniziativa, cosa si potrebbe fare di più? Il mondo accademico – anche quello più “innovativo” – è spesso chiuso alla realtà del web, non pensa che bisognerebbe combattere “il nemico” scendendo nella stessa arena?
In un mondo d’informazione così chiusa e asfittica (aggiungerei pure, molto omologata), una realtà come Filodiritto è preziosa. In questo senso, è cruciale che chi vuole innovare e girare pagina deve fare i conti con questi nuovi mezzi che sono connessi al web. Non a caso, la prima iniziativa di Nuova Costituente è stata la nascita di un sito per ospitare il manifesto e la seconda il varo di un blog con tantissime e diverse voci.
D. Possiamo dire che, pur continuando ad essere scettici sui risultati, dobbiamo agire con coraggio ognuno nel proprio settore/campo?
Si può e si deve essere realisti, ma non si deve necessariamente essere scettici. Nulla è facile, ma non so quanto possa durare questo regime basato su piccole élite autoreferenziali, su larghe masse parassitarie e su un’imprenditoria pubblica e/o politicizzata che è tutt’uno con questa classe politica. Lo sfascio della società nel suo insieme si farà giorno dopo giorno evidente e quanti – da destra a sinistra – ci hanno sgovernato in questi anni avranno serie difficoltà a restare in sella. La legittimazione del regime è, credo, sempre più palese.
Ci si può quindi attendere che la società, ora, inizi ad alzare la voce: un po’ come è successo nei paesi del socialismo reale nel 1989. Non dobbiamo sorprenderci se in una prima fase molti reagiranno in maniera scomposta e se da più parti si chiederanno medicine che nei fatti sono pure veleno: per guarire una società ultra-centralista si chiederà di aumentare il ruolo di Roma e del ceto politico.
Qualcuno deve indicare la strada opposta, spingendo per una rinascita delle comunità e per un nuovo ordine in cui ognuno sia “padrone a casa sua”. Una società tanto differenziata come la nostra non può essere amministrata in modo uniforme. Un po’ alla volta si finirà per comprenderlo.