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Rifiuti - Cassazione Penale: il titolare dell’impresa non è responsabile se lo sversamento illecito è posto in essere dal dipendente di propria iniziativa

Rifiuti - Cassazione Penale: il titolare dell’impresa non è responsabile se lo sversamento illecito è posto in essere dal dipendente di propria iniziativa
Rifiuti - Cassazione Penale: il titolare dell’impresa non è responsabile se lo sversamento illecito è posto in essere dal dipendente di propria iniziativa

La Corte di Cassazione ha stabilito che, in caso di abbandono di rifiuti speciali, il titolare dell’impresa, il quale può rispondere penalmente non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei propri dipendenti, non è comunque responsabile se la condotta criminosa rappresenta un’iniziativa personale del dipendente.

 

Il caso in esame

Il Tribunale aveva condannato la titolare di una s.n.c., in concorso con un dipendente della società con mansioni di autista, alla pena di euro 3.000 di ammenda per il reato di cui all’articolo 256, commi 1, lett. a) e 2 del Decreto Legislativo n. 152/2006per aver effettuato attività di raccolta e di trasporto di rifiuti speciali non pericolosi costituiti da acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive, abbandonandoli in modo incontrollato su una strada di pubblico transito”.

Avverso la suddetta sentenza, l’imputata aveva proposto appello, riconvertito in ricorso per cassazione in ragione dell’inappellabilità delle sentenze di condanna alla sola pena dell’ammenda (articolo 593, comma 3, del Codice di Procedura Penale), contestando l’affermazione di penale responsabilità, rilevando che la condotta era stata materialmente posta in essere dal dipendente della società che, di propria iniziativa, aveva sversato le acque della molitura delle olive sulla pubblica via, disattendendo le direttive impartitegli dalla titolare della società che gli aveva ordinato di trasportarle nei terreni per lo spandimento.

 

La decisione della Suprema Corte

La Cassazione ha preliminarmente enunciato il principio di diritto secondo cui:

i titolari e i responsabili di enti ed imprese rispondono del reato di abbandono incontrollato di rifiuti non solo a titolo commissivo, ma anche sotto il profilo della omessa vigilanza sull’operato dei dipendenti che abbiamo posto in essere la condotta di abbandono”.

Secondo i giudici di legittimità, ai fini dell’integrazione del reato di specie, ravvisabile in capo all’imprenditore o al responsabile dell’ente, non è necessaria una condotta attiva, ossia “comportamenti materiali o psicologici tali da determinare una compartecipazione, anche a livello di semplice facilitazione, negli illeciti commessi dai soggetti dediti alla gestione dei rifiuti, ben potendo concretarsi anche in una omissione, scaturente da comportamenti che violino i doveri di diligenza per la mancata adozione di tutte le misure necessarie per evitare illeciti nella predetta gestione e che legittimamente si richiedono ai soggetti preposti alla direzione dell’azienda”.

Tuttavia, affinché possa ritenersi sussistente un profilo di responsabilità penale in capo all’imprenditore, anche a titolo di culpa in vigilando, è pur sempre necessario che il giudice realizzi “un accertamento pieno dell’eventuale contenuto attivo, partecipativo o omissivo, della condotta contestata”.

Ciò in quanto la fattispecie contestata non costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva e deve, pertanto, accertarsi, ai fini della sussistenza della responsabilità, che la condotta criminosa non sia il frutto di un’autonoma iniziativa del lavoratore, in contrasto con le direttive e all’insaputa del datore di lavoro.

Alla luce dei principi sopra esposti, i giudici di legittimità hanno ritenuto che, nel caso di specie, non potesse ritenersi sussistente, al di là di ogni ragionevole dubbio, la responsabilità penale della titolare della società, in ragione del fatto che il coimputato aveva affermato di aver contravvenuto agli ordini impartitigli e nessun accertamento era stato realizzato dal giudicante, il quale aveva condannato l’imputata “semplicemente menzionando l’art. 40 c.p. come se dalla norma discendesse una responsabilità in automatico in capo alla titolare dell’impresa”.

Per tali ragioni, la Corte di Cassazione ha annullato senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla posizione dell’imputata.

(Corte di Cassazione - Sezione Terza Penale, Sentenza 20 giugno 2018, n. 28492)