Nuovo matrimonio e convivenza more uxorio fanno perdere il diritto di abitare la “casa familiare”?
1. L’estinzione del diritto a godere della casa familiare
In materia di attribuzione del godimento della casa che fu familiare, quando si disgreghi la coppia genitoriale, la regola dettata, oggi, nell’articolo 337-sexies codice civile, e precedentemente nell’abrogato articolo 155-quater codice civile, stabilisce che essa sia disposta tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Nonostante ciò, nello stesso articolo 337-sexies codice civile, poco dopo avere ribadito il ruolo di cardine rivestito dall'interesse dei figli, il legislatore, nell’indicare esplicitamente alcune cause di estinzione del diritto dell’assegnatario, prevede testualmente i casi in cui l’assegnatario “conviva more uxorio”, oppure “contragga nuovo matrimonio”.
Accanto a queste, poi, si dispone che il diritto al godimento della casa familiare venga meno anche nel caso in cui l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente in essa. Queste ultime ipotesi di estinzione, peraltro, hanno ben diverso fondamento rispetto alle altre due appena richiamate: è chiaro, difatti, come esse, presupponendo che l’assegnatario, e dunque la prole, non vivano, o non vivano più, in quella che era la casa familiare, leghino, coerentemente, l’estinzione del diritto, proprio al venire meno del suo stesso scopo.
2. Il godimento della casa familiare come componente dell’obbligo costituzionale di mantenimento della prole
Osservando le previsioni di nuovo matrimonio e convivenza more uxorio del genitore assegnatario della casa, quali cause di automatica estinzione dell’assegnazione, viceversa, fin dal primo apparire di esse (originariamente nell’articolo 155-quater codice civile, introdotto dalla legge 54/2006 e oggi abrogato dal decreto legislativo 154/2013, che ne ha traslato, immutato per la parte ora in considerazione, il contenuto nell’attuale articolo 337-sexies codice civile) ebbi modo di notare e sottolineare la contraddittorietà di un’assegnazione che doveva essere disposta tenendo conto dell’interesse dei figli, ma che pareva poter cessare per cause che non indicavano - né indicano - il venire meno di tale interesse, e che potevano – e possono – non avere alcuna relazione con esso.
Nel suo tenore letterale, del resto, già il previgente articolo 155-quater, 1° comma, codice civile non sembrava, a prima vista, offrire molte vie d’uscita da tale evidente cortocircuito. Differentemente da quanto capitava in altri punti della legge 54/2006, difatti, il legislatore qui non aveva disposto, accanto alla regola, alcuna esplicita eccezione; non aveva previsto espressamente, vale a dire, che il giudice potesse estinguere il diritto di abitazione, ma, eccezionalmente, potesse anche disporne la continuazione, magari motivando, e spiegando come e perché tale continuazione fosse maggiormente rispondente all’interesse dei figli. Da ciò poteva sembrare discendere, dunque, che in ogni caso di nuovo matrimonio, o anche di convivenza more uxorio, del genitore con cui la prole conviveva, e che aveva il godimento della casa familiare, tale diritto si sarebbe estinto, e l’altro genitore avrebbe potuto sempre ottenere la liberazione dell’immobile, anche in totale disprezzo dell’interesse della prole stessa.
Le previsioni richiamate, insomma, apparivano chiaramente in contrasto con la ratio principale dell’articolo che le conteneva, nonché con una delle direttive fondamentali anche dell’intera legge 54/2006, vale a dire, appunto, la tutela dell’interesse morale e materiale della prole. Tutto ciò, già anni or sono mi aveva portato, tra l’altro, a notare come il legislatore, nel prevedere le mentovate ipotesi di estinzione del diritto dell’assegnatario della casa, pareva non avere tenuto conto di un’importante posizione della Consulta in ordine al contenuto del dovere di mantenimento della prole (Corte Cost., 13.5.1998, n. 166).
Infatti, la Corte Costituzionale, già prima della vigenza dell’articolo 155-quater codice civile, aveva sottolineato come il concetto di mantenimento della prole, doveroso ex articolo 30 Cost., comprendesse “in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio” e come, a tal fine, assumesse “profonda rilevanza la predisposizione e la conservazione dell’ambiente domestico, considerato quale centro di affetti, di interessi e di consuetudini di vita, che contribuisce in misura fondamentale alla formazione armonica della personalità del figlio”, sicché l’obbligo di mantenimento stabilito all’articolo 30 Cost. si sostanziava anche “nell’assicurare ai figli l’idoneità della dimora, intesa quale luogo di formazione e sviluppo della personalità psico-fisica dei medesimi” (così, sempre Corte Cost., 13.5.1998, n. 166).
Alla luce di questa lettura offerta dalla Consulta sul contenuto del dovere, costituzionalmente sancito, per i genitori, di mantenere la prole, mi era parso chiaro come ogni norma di legge ordinaria che avesse inteso consentire al genitore di privare improvvisamente il figlio di tale ambiente domestico, e per ragioni che potevano non avere nulla a che fare con l’interesse del figlio stesso, sarebbe stata da reputare in contrasto con l’articolo 30 Cost.
3. L’estinzione del diritto ad abitare la casa familiare nella lettura della Corte Costituzionale
Successivamente a quelle mie considerazioni – ma pur sempre nella vigenza dell’articolo 155-quater codice civile e prima della sostituzione di esso con l’articolo 337-sexies codice civile – la Corte Costituzionale ha avuto modo di esprimersi anche specificamente sulla legittimità delle due cause di estinzione del diritto al godimento della casa familiare ora in parola, ed ha rimarcato che il concetto di mantenimento della prole, così come enucleato nella propria medesima (e qui appena richiamata) giurisprudenza, comprenda in via primaria il soddisfacimento delle esigenze materiali, connesse inscindibilmente alla prestazione dei mezzi necessari per garantire un corretto sviluppo psicologico e fisico del figlio, tra le quali assume profonda rilevanza proprio quella relativa alla predisposizione e conservazione dell’ambiente domestico (Corte Cost., 30.7.2008, n. 308).
La Consulta ha ribadito, dunque, che, sotto tale profilo, l’obbligo costituzionale di mantenimento necessariamente si sostanzia anche nell’assicurare ai figli la idoneità della dimora, intesa quale luogo di formazione e sviluppo della personalità psico-fisica degli stessi. Ecco che, allora, da tale contesto emerge come, non solo l’assegnazione della casa familiare, ma anche la cessazione dell’assegnazione stessa, debba in ogni caso essere subordinata, pur nel silenzio della legge, ad una valutazione, da parte del giudice, di rispondenza all’interesse della prole. Valutazione da compiersi sempre, dunque, e che sempre può portare alla negazione dell’estinzione del diritto dell’assegnatario, anche quando questi abbia contratto nuovo matrimonio, o conviva more uxorio (ancora Corte Cost., 30.7.2008, n. 308).
La Consulta, in sintesi, ha reputato: che l’articolo 155-quater codice civile, ove interpretato, sulla base del solo dato letterale, nel senso che la convivenza more uxorio o il nuovo matrimonio dell’assegnatario della casa fossero circostanze idonee, di per sé stesse, a determinare la cessazione dell’assegnazione, non sarebbe stato coerente con i fini di tutela della prole, per i quale l’istituto dell’assegnazione è sorto; che, tuttavia, la coerenza della disciplina, e la sua costituzionalità avrebbero potuto essere recuperate, interpretando la norma mentovata nel senso che l’assegnazione della casa coniugale non venisse meno automaticamente e di diritto, al verificarsi di uno tra i due eventi indicati (instaurazione di una convivenza di fatto, nuovo matrimonio), ma che la decadenza dalla stessa andasse, sempre e comunque, subordinata ad un giudizio di conformità all’interesse del minore. “Tale lettura”, concludeva la Corte, “non fa altro che evidenziare un principio in realtà già presente nell’ordinamento, e consente di attribuire alla norma censurata un contenuto conforme ai parametri costituzionali, come, del resto, già ritenuto da diversi giudici di merito e dalla prevalente dottrina” (Corte Cost., 30.7.2008, n. 308).
4. La Consulta illumina e il legislatore chiude gli occhi
Sottolineo, prima di concludere, come, di fronte a una così chiara e, devo dire, prevedibile posizione della Corte Costituzionale riguardo al testo già del vecchio articolo 155-quater codice civile, sorprenda che quello stesso testo, con la sua ingannevole formulazione lessicale, sia trasmigrato, immutato, nel successivo articolo 337-sexies codice civile, oggi vigente.
Stupisce, insomma, che il legislatore del 2013, nel modellare il testo dell’articolo 337-sexies codice civile su quello del previgente articolo 155-quater si sia limitato ad una sorta di “copia-incolla”, senza adeguarlo anche espressamente alla lettura già indicata dalla Consulta riguardo a due delle cause di estinzione del diritto dell’assegnatario colà previste.
Noto, per concludere, come ancora più censurabile appaia il mancato adeguamento, di quel medesimo testo, alla lettura indicata dalla Consulta e qui appena richiamata, riscontrabile in una recente e assai discussa proposta di legge, che intenderebbe intervenire profondamente sui rapporti con la prole e per la prole nella famiglia in crisi, e che apporterebbe profonde modifiche pure all’attuale articolo 337-sexies codice civile, tuttavia senza mutare in nulla il passaggio in cui si dispone seccamente l’estinzione del diritto ad abitare nella casa familiare per il genitore che “conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio” (cfr. articolo 14, DDL n. 735, presentato al Senato il 1° agosto 2018, c.d. “D.D.L. Pillon”). Non è dubbio, d’altro canto, che l’interpretazione costituzionalmente orientata che il Giudice delle leggi ha dato del previgente articolo 155-quater codice civile valga, oggi, per l’articolo 337-sexies codice civile, e varrebbe domani, se mai il menzionato disegno dovesse divenire legge.