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Obbligo vaccinale e “addomesticamento” di Stato

Marina di Ravenna
Ph. Ermes Galli / Marina di Ravenna

Da un anno e mezzo ci troviamo in un continuo “stato di emergenza” che ha più volte consentito, anche oltre ogni ragionevolezza (si pensi, ad esempio, alla misura del coprifuoco), una crescente violazione delle libertà individuali da parte del Palazzo.

Siamo in un regime totalitario?

No di certo, ma al tempo stesso è bene ricordare la lezione di Friedrich von Hayek, che nel suo testo del 1944 spiegò che la via verso la schiavitù è fatta di tantissime piccole privazioni della libertà, con il risultato che alla fine i governanti dispongono in maniera illimitata dei governati. Recensendo quel libro, George Orwell evidenziò che quanto emerge da tale dissoluzione del diritto “consegna a una minoranza tirannica poteri tali che neppure gli inquisitori spagnoli sognavano di avere”.

La nostra società è cambiata in profondità, al punto che perfino un diritto fondamentale come quello di disporre di sé (“il corpo è mio”) è oggi contestato, sulla base della celebrazione di una scienza di Stato che non ammette contraddittori. Si parla ormai apertamente e senza vergogna di “vaccino obbligatorio”, perché nel pensiero unico allineato al governo quanti non si adeguano sono visti come minacce per la vita altrui. Non soltanto persone immorali, ma anche criminali: e questo indipendentemente dai loro comportamenti nella vita di ogni giorno.

Non esistendo più quali soggetti diversi e distinti, siamo ricondotti a un uomo medio che – “per il bene del popolo” – deve vaccinarsi: quali che siano le sue specifiche esigenze, l’età, lo stile di vita, ecc. Alla fine, siamo quello che il potere ha deciso che noi si sia.

L’appello dei docenti universitari contro il green pass muove invece dal fatto che non ci può essere scienza senza un libero confronto e senza rispetto verso il prossimo. Nelle scorse ore il presidente della Conferenza dei Rettori, professor Ferruccio Resta, ha detto che “l’università sta con il green pass”: eppure ogni studioso deve soprattutto essere fedele alla propria coscienza e al dovere di cercare la verità, anche contro quanto gli uomini di Stato affermano.

L’università non può quindi stare con nessuno (e tanto meno con i governanti!) se vuole rimanere un luogo di ricerca e scambio intellettuale.

Ecco perché i firmatari dell’appello hanno espresso il loro dissenso verso una misura che pone studenti, personale amministrativo e docenti di fronte a un ricatto: o ci si vaccina, infatti, oppure si finisce in un limbo popolato da cittadini di serie B costretti a lunghe file per il tampone e a oneri aggiuntivi.

Tanto più che soltanto le università italiane hanno adottato questa misura.

I fautori nostrani del green pass non si preoccupano per quello che sta succedendo nelle università di Parigi, Amsterdam, Francoforte, Londra e Zurigo? Lo sanno che in quelle università la frequenza è aperta ai vaccinati e ai non vaccinati? Siamo noi che viviamo in una “bolla” di isteria e demonizzazione del prossimo, oppure sono gli altri a sbagliare?

Nei mesi scorsi avevo pensato di vaccinarmi, in ragione della mia età e del mio stato di salute. Quando ho visto emergere queste logiche autoritarie (“obbligo” è termine inequivoco), ho dovuto considerare che nelle mie lezioni evidenzio di continuo che una società è tanto più libera quanto più i singoli hanno il coraggio di rivendicare i loro diritti, anche pagando il prezzo di tutto ciò. La scelta di sottoscrivere l’appello viene da lì.

Questo perché il green pass è uno strumento vergognoso e diseducativo per spingere le persone (studenti inclusi) a fare quello che, di loro volontà, non farebbero. È una pratica di addomesticamento, ma c’è molto di più.

Nell’ordine che s’è imposto sfruttando la crisi pandemica non soltanto il governo ha rivendicato la disponibilità del corpo di ognuno sulla base di una visione dogmatica e anti-scientifica della scienza, ma ha anche spento ogni confronto intellettuale. Perfino studiosi autorevoli (da Giorgio Agamben a Massimo Cacciari, ad Alessandro Barbero) in queste ore sono stati volgarmente “bullizzati” perché si sono espressi fuori dal coro.

La stessa terminologia usata dal ceto politico deve metterci in guardia, perché quando la ministra Maria Cristina Messa parla di una “libertà collettiva” che sarebbe da anteporre alle libertà individuali, è ovvio che la lezione di Hayek risulta attualissima. Cos’è la libertà collettiva? Nulla: è soltanto la libertà dei governanti di disporre dei diritti dei singoli. È la fine della libertà. Ed è contro tutto questo che molti universitari hanno inteso reagire.