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OMS e Covid-19: il pesce piccolo ma non muto racconta una storia di virus e segreti

Feltrinelli Editore, Serie Bianca, maggio 2021
Tramonto
Ph. Erika Pucci / Tramonto

Aveva soltanto guadagnato di aver conosciuto la peste e di ricordarsene,

di aver conosciuto l’amicizia e di ricordarsene,

di conoscere l’affetto e di doversene ricordare un giorno.

Quanto l’uomo poteva guadagnare,

al gioco della peste e della vita,

era la conoscenza e la memoria.
(Albert Camus, La peste)

 

La verità, bisogna pur dirlo, è intollerabile,

l’uomo non è fatto per sostenerla;

così la evita come la peste.

(Emil Cioran, Quaderni 1957-1972)

 

 

Premessa

È di pochi giorni addietro la pubblicazione del libro di Francesco Zambon (“Il pesce piccolo. Una storia di virus e segreti” di Francesco Zambon, Feltrinelli Editore, Serie Bianca, maggio 2021) che adesso si recensisce.

È una storia di grande interesse che racconta, secondo la prospettiva del suo protagonista, gli eventi verificatisi tra la seconda metà di febbraio e la metà di maggio del 2020, esattamente il periodo in cui l’incubo del Covid-19 si è svelato nella sua brutalità e gli italiani hanno iniziato a confrontarsi con la durezza del lockdown.

Si è creduto quindi di rendere un servizio ai lettori informandoli di questo libro e del suo contenuto.

Si è pensato inoltre, nell’intento di adeguarsi all’aureo principio che vuole i fatti separati dalle opinioni, di dividere lo scritto in tre parti distinte.

Viene per primo il “fatto”, cioè la storia narrata da Zambon nel suo libro.

Segue la prima opinione, quella del recensore, che si risolve essenzialmente nel tentativo di individuare i temi cruciali desumibili da quella storia e gli interrogativi che ne nascono.

La parte finale è stata scritta da Vittore d’Acquarone, avvocato del foro di Verona, che ha prestato consulenza legale a Francesco Zambon in conseguenza degli eventi descritti nel libro.

È stato chiesto a d’Acquarone di descrivere le percezioni ricavate nell’esercizio del suo ruolo ed egli, rispondendo in forma di lettera, ha soddisfatto cortesemente la richiesta fornendo un ulteriore e prezioso punto di vista.

In definitiva si tratta di tre sguardi, ognuno diverso dagli altri ma tutti alla ricerca del senso di una storia che rimarrà a lungo nella memoria individuale e collettiva degli italiani.

 

1. Il narratore e la sua storia

Sono i giorni di Carnevale del 2020 e gli italiani sanno poco del Covid-19 e ancor meno come comportarsi per evitarlo: è stata dichiarata l’emergenza sanitaria nazionale, undici Comuni tra Lombardia e Veneto sono in quarantena e c’è già il primo morto ma contemporaneamente 50.000 bergamaschi si riuniscono nello stadio cittadino per la partita tra Atalanta e Valencia, i sindaci Sala e Gori ostentano ottimismo, il presidente americano Trump sostiene che il virus è una bufala dei democratici, una banale influenza che sparirà in fretta e furia.

E ci sono anche alcuni che, per mestiere e dovere, studiano e cercano di capire: tra questi Francesco Zambon.

È un medico specializzato in sanità pubblica ed esperto di epidemiologia e dal 2008 fa parte dell’Organizzazione mondiale della sanità (di seguito OMS) come funzionario dell’ufficio regionale per l’Europa con sede a Venezia.

Ha già fatto un’eccellente carriera interna e gode di grande stima nel suo ambiente.

Zambon studia le evidenze già disponibili e già il 21 febbraio arriva alla conclusione che i contagi in Italia aumenteranno in modo vertiginoso e la renderanno il Paese europeo più flagellato dal virus.

Informa Hans Kluge (HK nel libro), direttore della regione europea dell’OMS, e ne riceve l’incarico di coordinare le attività dell’agenzia a supporto della risposta delle regioni italiane all’emergenza COVID.

Zambon accetta e contatta Dorit Nitzan (Lady D), coordinatrice delle emergenze sanitarie per l’OMS, per averne indicazioni. Riceve un freddo e laconico invito a contattare la Lombardia e nulla più.

Inizia marzo e la gravità della situazione è ormai chiara: inizia il lockdown nazionale, le attività scolastiche sono sospese in tutto il Paese, l’intera Lombardia è zona rossa, la provincia di Bergamo sprofonda in un dramma collettivo.

Zambon si mette all’opera con tre idee guida: la creazione di un forum in cui i sanitari italiani possano propagare le conoscenze acquisite e metterle a confronto, la trasmissione dell’esperienza italiana a quanti più Paesi possibile, la documentazione di tale esperienza.

Vuole che ogni vita persa serva a salvarne altre e il miglior modo per farlo è scrivere un rapporto che descriva il know how italiano e lo renda disponibile a tutti.

Costituisce un team in cui sono rappresentate ad alto livello le competenze che servono: sanitarie, epidemiologiche, comunicative, normative, documentali.

Tutti insieme scelgono di scrivere il rapporto come un racconto facile e coinvolgente, alla portata di molti.

Intanto marzo non smentisce le sue tragiche promesse: contagi e morti dilagano e a Bergamo sfilano convogli militari carichi di salme avviate alla cremazione.

Zambon parla del suo progetto a Ranieri Guerra, assistente del direttore generale dell’OMS, Tedros Ghebreyesus.

Guerra lo approva entusiasticamente e si trovano anche i fondi che servono per la sua realizzazione, utilizzando una piccola parte di una donazione kuwaitiana all’Italia.

È chiaro a tutti che dovrà trattarsi di un rapporto indipendente, frutto esclusivo del lavoro interno dell’OMS e senza alcuna commistione con le autorità sanitarie italiane.

È altrettanto chiaro che il rapporto seguirà senza eccezioni il rigidissimo protocollo interno dell’agenzia e dovrà essere approvato da un triplice livello: il proponente, il suo supervisore e il direttore della divisione competente, ognuno dei quali si fa garante del contenuto.

Il 2 maggio il testo è pronto: il lavoro infaticabile della ventina di componenti del team ha permesso di ultimarlo in poco più di un mese e senza che il ritmo forsennato abbia impedito anche una sola delle revisioni interne necessarie.

L’11 maggio la pubblicazione ha la sua veste grafica definitiva e il rapporto è esattamente come era stato immaginato. Manca solo l’approvazione della Chief Scientist Soumya Swaminathan e del comitato che presiede ma non si prevedono difficoltà da quella direzione.

Zambon avverte Guerra nelle prime ore del mattino e riceve i suoi complimenti per aver fatto “una cosa straordinaria”.

Ancora un paio d’ore e il clima cambia drasticamente.

Guerra scrive a Zambon chiedendogli di modificare il riferimento alla datazione assai risalente (2006) del piano italiano di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale post-datandolo all’aggiornamento di dicembre 2016. Lo avverte che in serata Report si occuperà della questione e non è proprio il caso di suicidarsi. Chiude così la mail: “Così non può uscire. Per favore niente cazzate […]”.

Due minuti più tardi Guerra telefona a Zambon e ribadisce la richiesta di rettifica accennando alla pressione cui sono sottoposti Ghebreyesus e l’intera OMS. Gli rappresenta che se non lo accontenterà sarà costretto a riferire al direttore che la colpa degli attacchi all’agenzia è sua e solo sua.

Nulla è più come prima e, soprattutto, nulla è come dovrebbe essere.

Guerra non dovrebbe interferire nel lavoro di una divisione di cui non ha la direzione eppure lo fa.

Non dovrebbe minacciare possibili rappresaglie – comportamento proibitissimo nell’OMS – ma lo fa.

Non dovrebbe neanche tentare di influire su un dato, quello del mancato aggiornamento del piano pandemico, potenzialmente riferibile a una sua responsabilità dal momento che è stato direttore generale del dipartimento della prevenzione presso il ministero della Salute dal 2014 al 2017, ma fa anche questo.

Passa ancora qualche ora e arriva l’approvazione del rapporto da parte della Chief Scientist ma anche un’ulteriore mail di Guerra che mantiene la posizione espressa e accenna all’opportunità di non creare inutili tensioni proprio mentre sta partendo l’interlocuzione col ministro italiano della Salute per il mantenimento a Venezia dell’ufficio OMS per l’Europa.

Arriva la sera e il clima già pessimo peggiora dopo la puntata di Report che mette in evidenza proprio il dato che preoccupa Guerra.

Passano ancora due giorni, è il 13 maggio, e il rapporto di Zambon e del suo team è on-line a partire dalle 17.10. Le pressioni interne non lo hanno convinto a fermare la pubblicazione e in più Hans Kluge è dalla sua parte. Il documento è inviato a migliaia di destinatari e i download dalla rete sono altrettanto imponenti.

Ma non è ancora finita.

La sera di quello stesso giorno Guerra gli spedisce una nuova mail. Parla dell’OMS come una consapevole foglia di fico delle decisioni impopolari assunte dal ministro Speranza e dunque dell’inopportunità di passare adesso tra i critici delle politiche italiane di contrasto alla pandemia e correre il rischio di urtare la sensibilità politica del ministro, tanto più in un momento in cui l’Italia ha appena donato dieci milioni di euro all’OMS dopo anni di chiari di luna.

Poi l’epilogo: il 14 maggio, alle 12.34, a neanche venti ore dalla sua messa on-line, il rapporto viene ritirato, al suo creatore e ispiratore sarà di seguito tolto il potere di decidere in autonomia la ripubblicazione e Hans Kluge, perfino lui, manifesta il suo disappunto per la tensione creatasi con gli italiani a causa di quel documento.

Si adducono come causa del ritiro le informazioni contenute in un minuscolo riquadro iniziale del rapporto focalizzato sulla Cina e sulla cronologia pandemica di quella nazione e le tensioni politiche, particolarmente con gli USA, che sarebbero generate dall’impressione di ritardi nella comunicazione cinese.

Tutto però porta a pensare che il ritiro del report sia dovuto piuttosto a dinamiche interne all’OMS. Zambon prova a reagire, cerca solidarietà e appoggi, scrive a tanti, Ghebreyesus compreso, ma non riceve né aiuto né risposte. La partita è persa ed è persa per sempre perché, se anche riuscisse a ribaltare le cose fino al punto di poter ripubblicare il rapporto, ogni giorno passato prima di riuscirci gli farebbe perdere freschezza e aderenza all’andamento della pandemia.

È persa anche la partita personale di Zambon che, sempre più isolato e ostracizzato dalla sua organizzazione, arriverà dopo mesi di tormento personale a dimettersi.

Nel frattempo, tuttavia, si aprono nuove strade.

La stampa internazionale, ad iniziare dal quotidiano inglese Guardian, rilancia la denuncia di Zambon, Report di Sigfrido Ranucci continua ad occuparsene e sulla sua scia si muovono altri conduttori televisivi come Massimo Giletti con Non è l’Arena, l’associazione dei familiari delle vittime del bergamasco recupera il rapporto e lo produce a supporto di un esposto alla Procura locale.

Due le conseguenze, uguali e contrarie: Zambon diventa una sorta di appestato per l’OMS; questa diventa a sua volta il bersaglio di campagne critiche se non addirittura denigratorie sempre più diffuse.

Assume sempre più rilievo l’operato della Procura di Bergamo e la sua decisione di convocare Zambon come persona informata sui fatti.

Neanche questo piace all’OMS che si premura di ricordargli il suo status di agente di un’organizzazione internazionale e l’immunità funzionale che gli spetta in quanto tale: la direttiva è di non presentarsi alla convocazione, sebbene Guerra, anche egli protetto dall’immunità, abbia accettato di presentarsi in Procura e rispondere alle domande postegli dagli inquirenti.

Zambon dapprima accetta il diktat ma dopo la terza convocazione cambia idea, va in Procura e sostiene un esame di cinque ore.

 

2. Il recensore e gli interrogativi

Zambon ha raccontato la sua storia e “Il pesce piccolo” è nelle librerie, disponibile per chiunque voglia leggerlo.

Non si vuole qui cedere alla tentazione di schierarsi e dare ragione o torto all’Autore, non è questo il senso di una recensione.

Si preferisce invece provare a identificare i profili di interesse generale che si incrociano con gli eventi di cui Zambon è stato sicuramente protagonista e testimone e forse, se la sua storia fosse confermata, anche vittima.

Pare di poter iniziare dall’OMS e dalla sua natura.

Si tratta di un’istituzione specializzata dell’ONU il cui fine è “portare tutti i popoli al più alto grado possibile di sanità”.

Aiuta, se richiesta, i Governi a rafforzare i loro servizi sanitari e gli fornisce l’assistenza tecnica appropriata.

Stimola e promuove lo sviluppo dell’azione intesa alla soppressione delle malattie epidemiche, endemiche ed altre.

Si adopera per promuovere la più vasta diffusione dei progressi della scienza medica e “favorisce la formazione, tra i popoli, di un’opinione pubblica illuminata su tutti i problemi della sanità”.

L’OMS è tenuta ad operare all’insegna dell’indipendenza e “Nell’esercizio delle loro funzioni, il Direttore generale ed il personale non devono domandare né ricevere istruzioni da nessun governo od autorità straniera all’Organizzazione. Essi devono astenersi da qualsiasi azione che possa nuocere alla loro qualità di funzionari internazionali. Ogni Stato Membro dell’Organizzazione si impegna, a sua volta, a rispettare il carattere esclusivamente internazionale del Direttore generale e del personale, e rinuncia ad esercitare qualsiasi influenza sugli stessi”.

I funzionari dell’OMS godono di un’immunità funzionale, cioè limitata agli atti compiuti nell’esercizio delle funzioni.

Sono esclusi dall’immunità non solo gli atti estranei alla funzione ma anche quelli che, pur connessi alla funzione, siano stati compiuti dal funzionario non in veste ufficiale.

Sono del pari esclusi gli atti compiuti anche solo in parte per motivi estranei all’interesse dell’istituzione o, peggio, per esclusivo vantaggio personale.

Sono infine esclusi gli atti che, pur coperti legittimamente dall’immunità, perdano successivamente questa copertura per revoca dell’immunità medesima essendosi tradotti in un ostacolo alla giustizia e sempre che la revoca non crei pregiudizio all’istituzione.

Questo è il quadro d’insieme che si ricava dal Trattato istitutivo dell’OMS firmato a New York il 22 luglio 1946 e dalla Convenzione sui privilegi e le immunità delle istituzioni specializzate conclusa a New York il 21 novembre 1947.

È quanto basta per permettere ai lettori un confronto consapevole tra le condotte tenute dai personaggi pubblici che, secondo Zambon, hanno determinato il ritiro del suo rapporto e ciò che spettava loro di fare nella veste di funzionari dell’OMS o rappresentanti a vari livelli del dicastero italiano della Salute o degli istituti e dei comitati di cui questo si avvale.

È di uguale rilievo la prospettiva della circolazione delle conoscenze mediche e scientifiche.

La storia di Zambon mette in scena un conflitto: da un lato l’interesse privato e pubblico alla massima e non filtrata diffusione delle conoscenze; dall’altro l’interesse alla mediazione politica sul presupposto che il sapere non è neutro e deve essere “gestito” nella sua acquisizione e divulgazione così da non urtare la “sensibilità” delle piccole e grandi potenze senza la cui benevolenza nessun organismo tecnico, per quanto di rango elevato, potrebbe raggiungere i suoi scopi.

Strettamente affine alla questione precedente è il rapporto tra istituzioni pubbliche e singoli individui la cui identificazione passa per le risposte ad alcune domande: per chi opera un’agenzia specializzata come l’OMS, per i Governi o per i cittadini? Se il fine è quello di promuovere l’efficienza della sanità, chi sono i primi destinatari delle conoscenze necessarie, i Governi, gli individui o entrambi? È ammissibile immaginare che gli interessi conoscitivi dei primi possano, anche solo temporaneamente, entrare in conflitto con quelli dei secondi e giustificare informazioni filtrate o veri e propri black-out?

Ancora, la fatica letteraria di Zambon porta per l’ennesima volta alla ribalta la condizione dell’essere umano di fronte al potere.

La sua è la storia di un uomo non ignaro del potere poiché ne fa parte pur non gestendolo a livelli apicali.

Un uomo che occupa una postazione chiave in un periodo tra i più traumatici della recente storia umana e che, grazie al suo ruolo e alle sue personali capacità, accumula un sapere rilevante.

La sua tensione verso la divulgazione di quel sapere viene frustrata dalle ostilità interne e quell’uomo sceglie di resistere e arrivare ugualmente alla meta. Ha fatto bene o male? Poteva fare ciò che ha fatto e, ancor prima, è giusto o sbagliato che lo abbia fatto? È l’attualizzazione del mito di Prometeo o c’è solo qualcuno che deborda dalla sua sfera di competenze della quale non fa parte quella “sensibilità politica” che andrebbe tenuta in conto come ulteriore linea guida nella comunicazione della scienza e dei suoi risultati?

Infine, come ultimo passaggio di questa storia, è stata un bene o un male la ribalta mediatica coeva e successiva agli eventi cruciali che hanno scandito la storia di Zambon? È un vantaggio o uno svantaggio che l’OMS, i suoi rappresentanti e le sue attività siano stati esposti al rischio – ma è ormai quasi una certezza – di una rovinosa perdita di credibilità e che ciò sia avvenuto in un periodo in cui gli umori antiscientisti sono più forti che mai e la sfiducia nella gestione pubblica della pandemia e nell’efficacia dei vaccini è ben presente nell’opinione pubblica?

Il che è come dire: gli errori e le cattive prassi di un’organizzazione si combattono meglio dentro o fuori di essa?

Ed è un bene o un male che Zambon, da medico e autorevole esponente di una prestigiosa agenzia ONU, si sia trasformato (o sia stato trasformato suo malgrado) in un personaggio a forte caratterizzazione mediatica?

Soltanto domande, fatte nella speranza di alimentare un dibattito sui temi serissimi posti dal libro e dal suo Autore e su una storia complicata.

Vale la pena leggerlo, questo è certo.

 

3. Il consulente legale e la “cosa giusta”

Carissimo Vincenzo,

cogli gli aspetti centrali della vicenda e poni interrogativi importanti e attuali e che ci porterebbero lontano.

C’è tuttavia, tra le Tue molte domande, almeno così mi pare, un denominatore comune: Francesco Zambon ha fatto la cosa giusta?

Mi limito, su questo aspetto, a qualche breve e avventurosa considerazione.

Non ho la risposta, non so se ci sia. Provo a spiegarmi, la cosa giusta per chi? Per i parenti delle vittime, per l’OMS, per il Governo italiano, per la procura di Bergamo, per l’informazione o per la scienza?

Ciascuno di questi soggetti pretende tutt’ora di convergere verso un’istanza di verità che assertivamente eleva a giustizia, che assume prioritaria e indeclinabile, trascurando però ciò che gli è prerogativa.

È umanamente prevedibile e giustificabile solo per i parenti delle vittime che debba esserci una colpa per le loro sofferenze, ma neppure tra i parenti delle vittime e la magistratura vi può essere sovrapponibilità d’intenti, siccome l’assoluto emotivo delle prime diverge, certamente quanto al metodo, dalle garanzie che dovrebbero assistere l’attribuzione della responsabilità giuridica da parte della seconda.

Politica e informazione dovrebbero mediare con lealtà, la scienza orientare e orientarsi, invece tendenzialmente abdicano al ruolo e così al loro proprio giudizio, siccome, fatalmente attratti dall’opportunismo dello schieramento, indulgono a convenienze, a compiacere tifoserie, alla gestione obliqua del compromesso.

Tutto bene o tutto male, e per il male coralmente si invoca la certificazione della condanna penale.

E cosa c’entra il pesce piccolo? Il pesce piccolo, perché piccolo era e forse rimane, ha, addirittura suo malgrado e non studiatamente, inceppato il sistema, che ora vorrebbe travolgerlo o all’opposto glorificarlo (comprensibilmente quest’ultimi gli sono preferiti). Ma lui ha fatto il suo, nulla di più e niente affatto di meno.

Non c’è la pretesa di una verità nella storia di Francesco Zambon, c’è invece evidenza dell’ombra sulla propaganda indipendente dell’OMS, dell’attitudine autocelebrativa del potere, della prevalente faziosità informativa, della rifiutata relatività della scienza.

Il medico veneziano ha affrontato il suo dilemma e fatto domande, non ha dispensato responsi. E ha difeso, in vero con inconsueta tenacia per indole e circostanze, il diritto, suo e collettivo, a ottenere risposte, respingendo sistematicamente al mittente gli inviti alla desistenza. Questo il talento del pesce piccolo, se è anche un merito lo giudicherà il lettore.

Accompagnarlo in questo percorso è stato un privilegio, umano e professionale: Francesco Zambon non è una parte in giudizio, è un uomo che vuole conoscere ed esercitare appieno i suoi diritti, senza sottrarsi ai suoi doveri, con ambizione ma senza celebrazioni.