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A proposito di Europei e di football

Serie A
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Dopo oltre un anno di sofferenza, di stadi vuoti, di esultanze strozzate in gola sui divani di casa, il calcio è tornato a divertire e far sognare i tifosi. Questi Europei hanno finalmente riportato, almeno in parte, la gente sugli spalti, per condividere una passione, per supportare da vicino gli idoli della propria nazionale, per festeggiare insieme a loro gol e notti magiche.

Sull’importanza del “gioco più bello del mondo”, ha scritto giusto un anno fa un agile manualetto Giancristiano Desiderio: s’intitola Football. Trattato sulla libertà del calcio. Quando uscì, ai primi di luglio 2020, era ancora in pieno svolgimento un inedito e serrato campionato estivo di calcio, che ripartiva dolorante dopo il traumatico stop imposto dal Covid-19. Oggi che le cose stanno tornando pian piano alla normalità, e il calcio sta tornando con la sua potenza aggregante a riempire di nuovo la nostra quotidianità, oggi più che mai la lettura di questo libro offre più d’uno spunto di riflessione. Anzitutto va detto che è un libro di filosofia. E se Jean Paul Sartre ha scritto che il calcio è la metafora della vita, in questo Trattato sulla libertà del calcio, come recita appunto il sottotitolo, Desiderio capovolge il luogo comune affermando che è invece la vita ad essere la metafora del calcio.

L’Autore, tra un Prologo che introduce il concetto di calcio come conoscenza e un Epilogo che indaga la mente calcistica, racchiude diciassette brevi capitoli nei quali disserta su argomenti alquanto sfiziosi, e in particolare su una questione che gli sta particolarmente a cuore, ovvero sulle due regole fondamentali del calcio. Si tratta di due regole orali codificate dal campione olandese Johan Cruijff, il Controllo e l’Abbandono del pallone, così sintetizzabili: il calciatore può giocare a calcio perché non è il padrone assoluto del Gioco. Allo stesso modo, scrive Desiderio, funziona anche la vita, l’uomo può vivere la libertà perché non è il padrone assoluto della Vita. E allora il calcio è troppo importante per lasciarlo ai giocatori, ai presidenti, ai giornalisti e agli intellettuali.

Non a caso nel Novecento ha sconfitto i totalitarismi di Hitler e di Stalin. football è anche un testo ricco di storia e di storie vere, spesso dimenticate o ignote ai più: da quella del calciatore che fermò Hitler a quella di Árpád Weisz, l’ebreo che con il Grande Bologna inventò il calcio moderno (alla cui memoria è dedicato anche il libro); da quella dell’alpino Vittorio Pozzo a quella del centravanti che negli anni Ottanta, in Campania, giocava contemporaneamente in due squadre con due nomi diversi. Per finire con alcune pagine riservate alla famigerata Var, illusione diabolica che affonda le radici nel risentimento giustizialista anti-juventino. Ne risulta un vero e proprio trattato sulla libertà, in cui il cal­cio è il modello cognitivo del Controllo & Abbandono, che sostituisce quello deleterio del “sistema di sicurezza” della storia del pensiero occidentale.

 

Qui di seguito, il capitolo dedicato alla storia di Mozart. Il calciatore che fermò Hitler:

“Il 12 marzo 1938 è il giorno dell’Anschluss. Adolf Hitler mette le mani sull’Austria e ne diviene il padrone. I sol­dati tedeschi, sotto una pioggia battente, marciano per le strade di Vienna in direzione del Prater. L’obiettivo di Hitler è la costituzione della Grande Germania. Non solo in politica. Anche nel calcio. Con l’annessione dell’Austria, infatti, ci sarà anche la fine della gloriosa storia del Wunderteam: la squadra delle meraviglie la cui me­raviglia tra le meraviglie è Matthias Sindelar, per molti il più grande giocatore di sempre. Il piano di Goebbels – capo della propaganda della macchina totalitaria del regime nazionalsocialista – è semplice, potrebbe perfino funzionare: la Nazionale austriaca non ha più senso di esistere e i giocatori possono confluire nella Nazionale tedesca creando così, appunto, la Grande Germania. Non una squadra ma uno squadrone irresistibile che ai pros­simi campionati del mondo in Francia sarà in grado di contendere il titolo ai campioni di Vittorio Pozzo e lì, a Parigi, Matthias Sindelar potrà giocare la partita della vita contro Giuseppe Meazza. La Germania di Hitler potrà così vincere il campionato mondiale e dimostrare al mondo intero chi ne è davvero il padrone assoluto. Piano semplice e diabolico. Goebbels, però, non aveva fatto i conti con il capitano della Nazionale austriaca, con quello stupor mundi di Matthias Sindelar detto Cartavelina o anche, per l’eleganza e la leggerezza, I Piedi di Mozart.

I Piedi di Mozart ha trentacinque anni, i capelli biondi, gli occhi blu, un ginocchio operato, fasciato, dolorante. È indubbiamente il giocatore di calcio più celebre del suo tempo. È corteggiato dalle donne, dalle aziende, dagli inglesi che lo vorrebbero veder giocare sui loro campi. Cartavelina, giocando contro l’Inghilterra, ha segnato un gol memorabile del quale, naturalmente, non si hanno le immagini ma l’arbitro, stupefatto dalla grandezza del giocatore, ci ha lasciato il suo ricordo a futura memoria: «Il gol di Sindelar fu un autentico capolavoro. Qualcosa che non era mai stato realizzato avendo gli inglesi come avversari. Sindelar partì dalla linea di metà campo e con il suo inimitabile stile superò semplicemente chiunque gli si parasse davanti e depose la palla in rete.» Mezzo secolo dopo la scena si ripeté, ancora una volta contro gli inglesi. Sarà Maradona a dribblare tutti e a deporre la palla in rete. Ma I Piedi di Mozart aveva suonato quella musica prima, ben prima di Diego Armando.

Matthias Sindelar è triste il giorno in cui le truppe tedesche marciano per le vie di Vienna. Quattro anni prima, durante il campionato mondiale in Italia, ha conosciuto una bella ragazza italiana: Camilla Castagnola. Dopo il loro incontro, quasi un colpo di fulmine, sono rimasti in contatto e si sono scambiati lettere d’amore, passione e calcio. Lei leggeva «La Gazzetta dello Sport» e inviava a Vienna lettere in cui raccontava della Juventus e delle squadre milanesi e del Grande Bologna allenato da Árpád Weisz, “lo squadrone che tremare il mondo fa”. Ma ora c’è davvero da tremare. È il motivo della tristezza di Cartavelina: Camilla è ebrea e in Europa sta per iniziare la tempesta antisemita. Forse, anche il capitano del Wunderteam è ebreo, ma lui non dà peso alla cosa più di tanto. Crede in ciò che fa e in ciò che è e tanto gli basta. Anche per quello che sta per accadere. Uno sconosciuto avvicina Camilla all’uscita della scuola dove insegna e le dice senza giri di parole: «Dica a Matthias di non giocare per la Germania. Lui è un simbolo, l’unico che ci è ri­masto.» Lui, il Mozart del calcio, era questo. E lo sapeva.

Prima di decretare la fine del Wunderteam, i tedeschi decidono che è il caso di disputare l’ultima partita: la partita dell’addio. La Nazionale austriaca dovrà giocare contro la Nazionale tedesca. Una sorta di fine e di inizio insieme per decretare anche l’annessione calcistica dell’Austria da parte della Germania. La partita si gioca il 3 aprile 1938. La Germania scende in campo così: Jakob, Janes, Münzenberg, Kupfer, Goldbrunner, Kitzinger, Lehner, Gellesch, Berndt, Gauchel e Fath. L’Austria ri­sponde così: Platzer, Schmaus, Sesta, Wagner, Mock, Skoumal, Hahnemann, Stroh, Sindelar, Binder e Pesser.

Il commissario tecnico degli austriaci, la mente del Wunderteam, Hugo Meisl, è morto e Cartavelina è capitano e tecnico della sua squadra. Le squadre scendono in campo. Saluto nazista. Sindelar e Sesta non alzano il braccio. Inizia la partita – chiamata la partita della morte – e Cartavelina sembra giocare controvoglia, come se si fosse piegato al volere dei tedeschi. Con il secondo tempo cambia la musica. Mozart segna con un pallonetto deli­zioso ed esulta in faccia ai tedeschi. Poco dopo c’è il raddoppio firmato proprio da Sesta. Il Prater è in festa e Goebbels capisce che sarà molto difficile portare Sindelar a giocare in Francia con la Nazionale di Hitler. Ormai, Sindelar è un simbolo austriaco ed è un campione anti­nazista. Goebbels non si dà per vinto e comincia a dire cose così: «I viennesi hanno un loro idolo, il grande cal­ciatore Sindelar. Vogliamo credere, anzi siamo sicuri, che Sindelar sarà sempre degno di questa stima anche negli impegni futuri.»

Mancano pochissimi mesi all’appuntamento calcistico in Francia. Goebbels fa marcare stretto Matthias Sindelar. Gli mette alle costole Dolitte ossia il capo della Gestapo a Vienna. Dolitte incontra il grande calciatore più volte e gli parla. Gli dice: «Pensi a Parigi, una finale Germania-Italia. Sindelar contro Meazza, i due più grandi calciatori del mondo.» Il capo della Gestapo nomina anche Camilla e la rappresenta sugli spalti della tribuna combattuta tra il sostegno per la Nazionale italiana e l’amore per il suo Matthias. Mentre ascolta le parole sinistre di Dolitte, Cartavelina già sa che non giocherà mai con la Germania.

Hitler non vincerà mai il campionato e non sarà il padrone del mondo.

Il 23 gennaio 1939 Matthias e Camilla sono trovati morti nel loro appartamento, l’uno accanto all’altra. Nella stanza vi è una stufa a gas. È ordinata l’autopsia che attribuirà la morte all’avvelenamento da monossido di carbonio. Il 26 gennaio 1939 Vittorio Pozzo, il commissario tecnico-giornalista, su «La Stampa» di Torino così lo ricordava: «La sua non era una finta scomposta, plateale, marcata. Era un accenno, una sfumatura, il tocco di un artista. Fingeva di andare a destra e poi convergeva a sinistra colla facilità, la leggerezza, l’eleganza di un passo di danza alla Strauss, mentre l’avversario, ingannato e nemmeno sfiorato, finiva a terra nel suo vano tentativo di carica.» Nemmeno Hitler riuscì a marcarlo.”

Giancristiano Desiderio, football. Trattato sulla libertà del calcio, Liberilibri 2020, collana Altrove, pagg. 136, euro 15.00, ISBN 978-88-98094-75-2